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Una protesta dei lavoratori delle terme

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COSENZA – Si occupano di pulire strade e piazze, effettuare intonacature, operare scavi e movimento terra, ma anche – in un caso specifico – di vendita e permuta di terreni o – in un altro caso – di studi di fattibilità, ricerche, consulenze e progettazioni. Sono le specialità che offrono – visure camerali alla mano – le cinque società che hanno partecipato all’avviso esplorativo pubblicato dai Comuni di Acquappesa e Guardia Piemontese per la individuazione del nuovo potenziale gestore del compendio termale tra i più noti d’Europa.

Un centro di cure e benessere che sfrutta acque sulfuree considerate le migliori in assoluto del Continente e che da diversi decenni attrae migliaia di visitatori, ogni anno, provenienti da ogni parte del mondo. Un compendio termale ora chiuso perché la politica a tutti i livelli – Comuni, ma anche e soprattutto Regione Calabria – ha deciso di prendere tempo, così come hanno fatto i Giudici amministrativi, che hanno rinviato a dopo l’estate, su richiesta di parte, la vertenza per mettere la parola fine sulla concessione termale.

Insomma, le Luigiane questa stagione non apriranno e 250 lavoratori (più altri 250 indiretti) saranno senza più occupazione.

Tornando agli aspiranti nuovi gestori, sono quattro aziende campane e una di Torino (i cui soci sono tutti di Napoli, costituita lo scorso anno). Aziende provenienti da Casoria, Castel Volturno, Lauro, Casalnuovo di Napoli che, alla luce delle esigue risorse a disposizione, e dell’oggetto sociale di ogni singolo soggetto giuridico, non si comprende come dovrebbero, anche solo in teoria, gestire le Terme Luigiane. Di male in peggio, dunque. E la stagione 2021 è ormai bruciata.

Ma procediamo con ordine. Il 26 maggio scorso, com’è noto, Sateca (gestore temporaneo) ha inviato ai due Comuni un’ipotesi di accordo che prevedeva: la fornitura di 40 litri al secondo di acqua calda termale, quantitativo minimo per far funzionare le proprie strutture; il versamento di un canone annuo di 30mila euro per il 40% dell’acqua termale, considerato congruo perché i Comuni versano alla Regione, per il 100% della risorsa idrotermale, 22mila euro.

Il 9 giugno, però, i Comuni hanno proposto a Sateca la fornitura di soli 10 litri al secondo e un canone annuo che, per il primo anno, era indicato in 93mila euro e, per i successivi anni, veniva fissato in 373mila euro.

Il tutto calcolato sulla base di un documento della Conferenza delle Regioni del 2006 che fa riferimento ad acque destinate al consumo umano e non per uso termale e senza tenere conto della delibera 183 del 2012 con la quale la Regione Calabria stabilisce i canoni per le concessioni termali. Il canone richiesto dai Comuni nella loro proposta per i 40 litri necessari a Sateca, è fissato in 1.000.742,40 euro, corrispondenti ai due terzi della somma dei canoni pagati annualmente da tutte le stazioni termali in Italia.

Il 10 giugno 2021, i legali di Sateca hanno inviato al Presidente della Regione la proposta ricevuta dai comuni, bollandola come “insostenibile”: sia per l’irrisorio quantitativo di acqua offerto, sia per l’incredibile prezzo richiesto, manifestamente sproporzionato rispetto a quanto pagato dagli stessi Comuni alla Regione.

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