X
<
>

Sandro Principe ex assessore regionale e sindaco di Rende

Condividi:
7 minuti per la lettura

COSENZA – Rino Formica, più volte ministro e uomo di punta del Psi di Craxi, diceva che «La politica è sangue e merda». La metafora sarà forse poco elegante, ma terribilmente vera. Lo sa bene un altro socialista illustre, Sandro Principe, che per la politica si è preso un colpo di pistola in faccia una sera di maggio e poi è stato vittima di un calvario giudiziario durato dieci anni e che, in primo grado, si è concluso con una assoluzione con formula piena.

Principe alla lettura della sentenza l’hanno vista sciogliersi in lacrime…

«Bè gli occhi erano lucidi per una tensione che finalmente si scioglie… il risultato positivo non poteva che fare piacere…»

Cosa ha pensato in quel momento?

«In quel momento sono tante le cose che ti passano per la testa. Non le dico il film della mia vita, ma sicuramente gli ultimi dieci anni che per fortuna non sono stati di isolamento perchè l’affetto e la stima delle persone nei miei confronti non è mai venuto meno. Per citare il mio legale, l’avvocato Franco Sammarco, che ringrazio di vero cuore unitamente alla giovane e valida avvocatessa Anna Spada, nessuno ha creduto in questa accusa assurda».

Questo non significa che sia stato facile…

«No perchè scattano anche meccanismi psicologici particolari. Accuse così pesanti ti umiliano, tendi ad autoisolarti perchè spesso ti senti a disagio con le persone al di là della solidarietà che ti manifestano. Per fortuna ho avuto al mio fianco la mia famiglia che mi ha dato una grande forza. A questo proposito mi permetta di esprimere tutta la mia solidarietà e vicinanza ai familiari di Bernaudo, Ruffolo e Gagliardi perchè so quanto soffrono le persone a te più vicine quando capitano queste cose».

Si aspettava un’assoluzione così “piena”?

«Sulla base delle carte mi aspettavo un esito favorevole poichè come i miei legali hanno ben detto nulla è emerso a mio carico. Sono stato intercettato e pedinato per dieci anni. Per quattro anni, in conseguenza dell’attentato subito, ho vissuto sotto scorta. Non è venuto fuori, ovviamente, alcun elemento per sostenere l’accusa. Guardi poi io sono cresciuto fra i grandi maestri del diritto come Costantino Mortati, ho grande fiducia nella nostra Costituzione perchè so bene che il nostro sistema ha degli anticorpi in grado di correggere eventuali disfunzioni. Ed infatti debbo dire che la magistratura giudicante ha mostrato  competenza, capacità di lavoro e grande serenità».

Quali sono questi anticorpi cui fa riferimento?

«La democrazia si distingue dagli altri sistemi per un aspetto: ad ogni potere deve corrispondere una responsabilità».

Anche in magistratura? Il tema della responsabilità civile dei magistrati è dibattuto da anni…

«Bisogna distinguere fra magistratura inquirente e giudicante. Chi si chiude in una camera di consiglio per giudicare gli atti di un processo sta dimostrando in Italia la sua reale imparzialità di giudizio, serenità e cultura giuridica. Diverso è il discorso per la  magistratura inquirente. Naturalmente non faccio di tutta l’erba un fascio, ma spesso in alcune inchieste si sceglie l’obiettivo al quale si fa di tutto per cucire un abito su misura. Come giustamente ha osservato l’avvocato Franco Sammarco è necessario o non è necessario partire dalla notizia criminis?».

L’esigenza di una profonda riforma della giustizia mi pare sia avvertita…

«Quando Vassalli ha scritto il nuovo codice penale ha voluto passare dal processo inquisitorio a quello accusatorio. L’obiettivo di fondo era mettere sullo stesso piano accusa e difesa con un giudice terzo. Ricordo che una volta Claudio Martelli mi raccontò che quando era Guardasigilli andò in Francia per un incontro con i colleghi europei. Il collega francese gli disse che noi italiani eravamo stati molto coraggiosi ad introdurre questo nuovo tipo di processo, in quanto a suo dire in Francia non c’erano le condizioni affinchè pubblico accusatore e difesa stessero su un piano di parità. In effetti la parità fra accusa e difesa in Italia è una sorta di utopia perchè qui il pm ha a sua disposizione una infinità di mezzi, polizia giudiziaria, tecnologie, risorse economiche di cui gli avvocati onestamente non possono disporre».

Tornando al suo di processo, cosa l’ha fatta soffrire di più?

«Il mio pensiero va alla città di Rende. L’ho detto nell’immediatezza della sentenza, lo ribadisco adesso a mente più fredda. La mia città non meritava la ribalta nazionale per questi temi perchè il danno d’immagine è stato altissimo. Poi non va dimenticato che al centro di questa vicenda c’era un sindaco riconosciuto, quasi storicizzato direi..»

E questo che significa?

«Significa che se fossimo stati dei corrotti c’era una evidente responsabilità anche dei cittadini visto che siamo stati eletti per decenni e sempre con amplissimi consensi. La città non meritava la ribalta nazionale per queste vicende, una città che è un modello per il Sud per le tante opere realizzate, per la capacità di accogliere un numero di studenti dell’Università della Calabria pari al numero dei residenti, per il suo impianto urbanistico e per la modernità che Rende esprime da sempre».

Ma lei si è fatto un’idea del perchè di tutto questo?

«Guardi a me la dietrologia non mi è mai piaciuta. Vorrei però elencare alcune circostanze in modo che lei e i suoi lettori possiate farvi il giudizio che riterrete più opportuno».

Quali?

«In concomitanza con il primo atto giudiziario che è stata la perquisizione a Bernaudo e Ruffolo (ex sindaco ed ex assessore di Rende, ndr) una tv privata locale faceva una sorta di speciale in cui anticipava tutti gli aspetti inesistenti che saranno poi alla base dell’inchiesta. Subito dopo un giornale on line regionale scriveva che la Dda aveva avanzato una richiesta d’arresto per un potente ex assessore regionale e per un capogruppo di maggioranza. Poi vennero i provvedimenti per me e Orlandino Greco».

Lei ritiene, dunque, che gli anticorpi da voi inseriti nel tessuto sociale hanno tenuto Rende lontana da certe devianze?

«Una cosa certamente posso dire. Nel corso di più di 30 anni abbiamo realizzato miliardi e miliardi di opere pubbliche e private. Non c’è una sola di queste opere che sia macchiata da un’ombra».

Senta lei ha subito un attentato, poi questa vicenda giudiziaria…

«Non mi chieda se ne è valsa la pena».

Non glielo chiedo però il prezzo che ha pagato è altissimo…

«Il prezzo è stato senz’altro altissimo, ma ho avuto grandi soddisfazioni non solo in termini elettorali ma anche come realizzazioni a Rende e in Calabria»

Lo rifarebbe?

«Chi lo sa, la mia vita è andata così. Ma mi lasci dire duna cosa. Ad un giovane preparato, competente, che si avvia ad avere successo personale e professionale nella vita, non me la sentirei di spingerlo a fare politica, data la situazione del Paese. E’ come invitarlo a camminare in un campo minato. La mia vicenda è devastante anche per questo motivo. I giovani preparati non si impegnano in politica, vanno via dalla Calabria e forse fanno bene. Guardi che mi faccio schifo quando dico queste cose, perchè se nessuno resta come facciamo a costruire una classe dirigente dignitosa per il futuro? Il vero problema è che la Calabria si prosciuga ogni giorno di più delle sue forze più fresche e vitali».

E lei adesso cosa farà?

«Il ruolo che mi hanno assegnato i miei cittadini ovvero il consigliere comunale di minoranza a Rende. Cerco di dare il mio contributo per evitare che la città faccia ulteriori passi indietro, in termini di servizi, rispetto a qualche anno fa».

E poi?

«Poi si vedrà. Vorrei dare il mio contributo in termini di suggerimenti e d’esperienza non per spingere la migliore gioventù ad impegnarsi in politica ma per creare un minimo di condizioni affinchè questo accada. Essendo la politica una vocazione, non va spinta. Se c’è va solo sostenuta».

Senta fra poco ci sono i referendum sulla giustizia. Andrà a votare?

«Il voto è segreto, ma lascio alla sua immaginazione quale sarà il mio».

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE