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I fratelli Bandiera

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COSENZA – La storia dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera è legata tragicamente e indissolubilmente alla città di Cosenza e, più in generale, alla Calabria. Il 25 luglio del 1844 i due patrioti veneziani vennero fucilati nel Vallone di Rovito in seguito alla sentenza della corte marziale del Regno delle Due Sicilie.

Un capitolo importante del Risorgimento che vide protagonisti i due fratelli nella sfortunata spedizione nel capoluogo bruzio che aveva l’obiettivo di avviare il processo d’unificazione.

DISCEPOLI DI MAZZINI

Figli del barone veneziano Francesco Giulio Bandiera e di Anna Marsich, entrambi divennero ufficiali della Regia Marina austriaca. Giova ricordare che all’epoca la Serenissima era territorio austriaco. Attilio ed Emilio erano però affascinati dal pensiero di Giuseppe Mazzini e propugnavano l’unificazione nazionale individuando nell’Austria, nello Stato Pontificio e nei Borbone i nemici da combattere. Ancor prima di entrare in contatto con Mazzini fondarono la società carbonara Esperia. Il loro era un patriottismo “elitario” che, pur non disprezzandole, poco si fidava delle masse popolari. L’idea, approssimativa e azzardata, dei due fratelli era quella di sollevare il Meridione per poi risalire la penisola. D’altronde uno scontro diretto e frontale con l’Austria sarebbe stato impari e dall’esito prevedibile. Ma, come spesso accadde in quegli anni tumultuosi, il fervore patriottico era caratterizzato da improvvisazione e superficialità. E molti si accorsero, a caro prezzo, che gli ideali poco potevano fare contro le baionette e i cannoni.

LA SPEDIZIONE IN CALABRIA DEI FRATELLI BANDIERA

Da Corfù, dove erano riparati dopo aver disertato, i fratelli Bandiera appresero nel marzo del 1844 della rivolta antiborbonica scoppiata a Cosenza. Nel giugno dello stesso anno partirono per la Calabria dopo aver organizzato alla meno peggio una spedizione composta da circa 15 persone. Tra questi da segnalare la presenza del brigante calabrese Giuseppe Meluso e dell’ambiguo avventuriero corso Pietro Boccheciampe. Sbarcati in segreto in Calabria, nei pressi di Crotone, i fratelli Bandiera si resero però conto che il moto di Cosenza era stato represso nel sangue dalle truppe borboniche e il vento della rivolta aveva cessato di soffiare ormai da diverse settimane.

Ciò nonostante, il manipolo di patrioti decise di raggiungere il capoluogo bruzio per rovesciare Ferdinando II e si diresse verso la Sila dove tuttavia furono accolti con ostilità dalla popolazione locale che li scambiò per briganti.

IL TRADIMENTO

Nel frattempo Boccheciampe, appresa la notizia che non c’era alcuna sommossa a cui partecipare, si dileguò e denunciò i compagni con l’intento di trarne vantaggio (sarà in effetti condannato solo a cinque anni di reclusione). Questa versione tuttavia, in base ad alcune lettere e documenti, è stata recentemente messa in discussione e Boccheciampe potrebbe in realtà non aver tradito i compagni.

Alcune fonti riferiscono che i Bandiera furono traditi addirittura prima ancora di lasciare Corfù in seguito alla delazione del barone Domenico De Nobili.

Quel che è certo è che i patrioti furono catturati dalla polizia borbonica dopo un breve scontro a fuoco nei dintorni di San Giovanni in Fiore. I fratelli Bandiera, Meluso e altri sette compagni dopo essere stati rinchiusi nel carcere di Palazzo Arnone vennero processati davanti all’alta corte marziale e condannati a morte. Gli imputati furono difesi dagli avvocati Cesare Marino, Tommaso Ortale e Gaetano Bova.

LA FUCILAZIONE DEI FRATELLI BANDIERA

La madre dei fratelli Bandiera, Anna Maria Marsich, appresa la notizia della cattura dei figli si recò da Venezia a Cosenza e vide un’ultima volta i figli in uno struggente addio pochi minuti prima dell’esecuzione. All’alba del 25 luglio del 1844 nel Vallone di Rovito i condannati affrontarono il plotone d’esecuzione con coraggio e dignità. Lungo la strada i due fratelli cantarono alcuni versi del melodramma “Donna Caritea”.

Prima di cadere sotto il fuoco dei gendarmi, le loro ultime parole furono il grido: «Viva l’Italia!». Attilio aveva 34 anni, Emilio appena 25.

LA SEPOLTURA

Le ossa dei patrioti, che dovevano esser gettate nella fossa comune dei delinquenti, furono salvate dal prete della chiesa di Sant’Agostino. Durante la rivolta calabrese del 1848, le spoglie, tolte dal nascondiglio, furono seppellite nella cattedrale di Cosenza. Successivamente furono nuovamente esumate dalle autorità borboniche con l’ordine di essere gettate nel Neto.

Di nuovo salvate, furono nascoste in una fossa fino a quando nel 1860 Nino Bixio, giunto a Cosenza con i volontari garibaldini, dette loro nuovamente sepoltura. Finalmente, il 16 giugno 1867 i resti mortali dei Bandiera tornarono a Venezia e furono tumulati nella chiesa dei Santissimi Giovanni e Paolo.

MONUMENTI

Dal 1860 una colonna votiva nei pressi del sito della fucilazione ricorda i due eroi risorgimentali, e dal 1937 è stato dedicato un mausoleo con un altare sul quale sono incisi i nomi dei martiri cosentini e dei componenti della spedizione dei fratelli Bandiera. Il monumento nazionale ai caduti della spedizione dei fratelli Bandiera fu realizzato in località Bucchi a Crotone. La prima pietra fu posta in occasione del centenario dell’Unità d’Italia il 26 marzo 1961, e il monumento fu inaugurato dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat il 21 aprile 1966.

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