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Il cast della serie Sky con Giuseppe Gagliardi

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Tecnicamente è un prison crime, ma nel caso di “Il re”, la serie Sky con Luca Zingaretti iniziata il 18 marzo con i primi due episodi, una classificazione per etichette di genere sarebbe riduttiva – un po’ come definire i romanzi di Durrenmatt semplicemente dei gialli. La storia che ruota attorno al grandioso Bruno Testori, direttore carcerario che agisce come un sovrano al di sopra di ogni legge ed etica, tra suspence e colpi di scena, svela una metafora sulla natura umana, il bene e il male.

Il regista Giuseppe Gagliardi, cosentino classe 1977, qui al terzo grande progetto seriale dopo la trilogia “1992-1993-1994” e “Non uccidere”, spiega che l’idea ha una prospettiva ribaltata rispetto alla formula classica delle fiction carcerarie: «E’ una visione atipica perché qui il fulcro del racconto non sono i detenuti ma il direttore, che ha un doppio binario, da una parte il lavoro nel carcere e dall’altro la sua vita privata che si svolge all’esterno. Questo ci ha dato la possibilità di mettere a confronto i conflitti dentro e fuori e rappresentare nell’ambiente del penitenziario una specie di società in vitro, specchio di quella delle persone libere, per raccontare cosa accade quando un uomo si perde»

L’atmosfera del carcere è cupa e influenza la metà oscura dell’animo umano. Cancellare i confini della liceità e immergersi nel torbido è un battesimo di fuoco quando si ha a che fare con il crimine, così come in politica (Tangentopoli, tema di “1992”, è una parabola esemplare). In questo senso Testori non è un personaggio di genere ma una cinica rappresentazione della realtà.

«Testori ha il ruolo di governare un inferno e che l’ambiente carcerario sia angoscioso è innegabile . Lo abbiamo sperimentato noi stessi durante le riprese, quando giravamo scene ispirate a fatti di cronaca e ci trovavamo a scoprire in tempo reale sviluppi nuovi e dettagli agghiaccianti, ad esempio sulle violenze di Santa Maria Capua Vetere. La vita in cattività è durissima e condiziona le persone in modo inquietante. Attraverso le vicende di Testori vogliamo far identificare lo spettatore e indurlo a pensare come si comporterebbe in quella situazione. Il punto di vista sul Re è equidistante e neutrale, non viene mai giudicato ma neanche si parteggia per lui, è il pubblico che deve farsi la sua idea personale»

Un asset importante di questa serie è Luca Zingaretti. Una garanzia, si può dire che non sbagli un colpo.

«E’ stato fantastico vederlo all’opera, ti accorgi subito della sua grande esperienza, è un professionista navigato che si è formato in teatro e conosce la fatica di questo lavoro. Insieme prima di girare abbiamo  studiato tanto il personaggio, è stata una bella collaborazione anche dal punto di vista umano. Soprattutto ha avuto il merito di essere credibile in un ruolo così complesso riuscendo a scrollarsi la maschera ingombrante di Montalbano»

Tra gli attori della serie c’è pure un suo grande amico, il cantautore Peppe Voltarelli nel ruolo di uno dei fedelissimi pretoriani del braccio armato di Testori. Com’è andata questa reunion così diversa dalle vostre precedenti collaborazioni?

«Con Peppe collaboriamo dal 2003 e abbiamo sempre una grande intesa. Prima di tutto il resto, è stato molto divertente rivederci su un set dopo un anno e mezzo di pandemia»

In questa serie ha un peso potentissimo il luogo carcere. Avete girato in due strutture penitenziarie in disuso, a Civitavecchia e Torino, ma il set narrativo è una sorta di Alcatraz sospesa in una zona di frontiera, l’immaginario San Michele.

«Il carcere della storia si trova in una città di frontiera che non viene mai citata ma solo evocata, che nella realtà delle riprese era Trieste. Girare dentro locali carcerari veri però è stato fondamentale soprattutto per gli attori, che hanno sentito l’immersione nella realtà, hanno guadagnato con naturalezza il loro mondo. Gli scenografi hanno fatto un lavoro enorme per riarredare quasi 7000 mq di superficie ma l’atmosfera era perfetta, radicalmente diversa da come sarebbe stato con una ricostruzione in studio. Cambia tutto».

Non spoileriamo, ma dai fili annodati nelle prime puntate sembra di capire che il finale della serie condurrà a una riflessione profonda sui più antichi scontri culturali della storia dell’uomo, gli stessi che oggi hanno riacceso la miccia di una guerra mondiale

«“Il re” racconta lo scontro tra due mondi e due culture opposti: nel carcere questo dissidio è molto evidente perché i detenuti appartengono a etnie diverse e la battaglia che nasce in questo microcosmo diventa la metafora di ciò che accade fuori, nel mondo esterno. Il senso di questa storia rimanda alla vita vera perché mostra come l’ottusità di un capo possa far precipitare le cose in modo anche tragico. Quando un essere umano pensa di potersi paragonare a un grande condottiero inizia una discesa nell’abisso con conseguenze terribili»

La salvezza potrebbe essere in un’ammissione di fragilità? Testori è un duro senza tetto né legge nel suo regno del carcere ma nella vita privata fa i conti con il fallimento familiare e perde la sua magnificenza.

«E’ proprio così e infatti Testori mostra palesemente questa ambivalenza. Non sappiamo come finirà in questa storia, ma in generale i tratti di onnipotenza nascono sempre in personalità fragili e sotterraneamente insicure»

Prima di questa fortunata successione di serie tv l’ultima volta al cinema era stata il 2011, anno di “Tatanka”. Le manca? Lo streaming è una direzione artistica o obbligata?

«No, io sono nella condizione di poter scegliere ed è un grande privilegio per chi fa questo mestiere. In questi anni ho avuto proposte cinematografiche che non mi convincevano e ho preferito rifiutare, “Il Re” mi piaceva e l’ho fatto. Sicuramente le serie sono molto impegnative e rallentano la possibilità di lavorare ad altro, ma vorrei dedicarmi a un racconto di respiro più disteso, una durata di un’ora e mezzo ha ritmi diversi e adesso sento l’esigenza proprio di questo. Sto scrivendo un film che spero di girare nel 2023, parla della colpa. E’ la storia di un uomo che ha commesso un errore ed è andato a nascondersi lontano»

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