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Maurizio De Lucia

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Il procuratore Maurizio De Lucia alla commissione parlamentare antimafia illustra gli sviluppi criminali che vedono Cosa nostra e ‘ndrangheta riavvicinarsi e fare affari insieme soprattutto nel campo della droga

CATANZARO – Cosa Nostra continua ad esercitare un appeal per la ‘ndrangheta. E, nonostante la mafia calabrese abbia ormai la leadership mondiale del narcotraffico, si ritesse un’alleanza antica. A svelarlo è il procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, nel corso della sua audizione in Commissione parlamentare antimafia. Ecco cosa ha detto il magistrato ai commissari quando ha affrontato il tema dei traffici di droga di Cosa Nostra.

Sviluppi criminali: «Cosa nostra sta riaprendo i rapporti con la ‘ndrangheta»

«Oggi l’organizzazione torna a gestire, seppure a livelli bassi, anche questo pezzo di territorio, ma soprattutto riallacciando e riaprendo i rapporti con la ‘ndrangheta. Abbiamo indagini recentissime che ci indicano come l’importazione venga mediata e accordata con famiglie ‘ndranghetiste per potere tornare poi sui mercati internazionali. Perché se è vero che la ‘ndrangheta ha sostanzialmente il monopolio del brokeraggio degli stupefacenti in particolare dal Sudamerica, è anche vero che un grande brand come quello di Cosa Nostra non si abbandona e quindi c’è un interesse anche della ‘ndrangheta in qualche modo a riallinearsi e comunque a creare affari insieme e i luoghi dove si creano affari sono pericolosi per la sicurezza dello Stato perché sono affari criminali che rafforzano entrambe le organizzazioni».

Sviluppi criminali, Cosa nostra e gli accordi con la ‘Ndrangheta

Ci sono altri temi che riguardano molto da vicino la Calabria, se si legge bene il resoconto dell’audizione di De Lucia. Il procuratore di Palermo parla anche delle piattaforme finanziarie e sottolinea i ritardi legislativi nel contrastare questi circuiti intensamente frequentati dalle mafie e dalla ‘ndrangheta in particolare, come si è visto di recente anche grazie a un’inchiesta della Dda di Catanzaro che sul finire del giugno scorso ha portato all’operazione Glicine Acheronte.

Sviluppi criminali tra Cosa nostra e ‘Ndrangheta, le piattaforme clandestine

Il riferimento è a quel sottobosco di piattaforme gestite, su scala globale, da un numero esiguo di trader, alle quali si può accedere soltanto con considerevoli disponibilità economiche. Piattaforme clandestine che consentono di generare percentuali di guadagno fino all’80 per cento del valore investito. È là dentro che finiscono gli investimenti finanziari delle mafie e in particolare della ‘ndrangheta, che può sfruttare enormi capitali con i quali viene così prodotta ulteriore ricchezza.

«Ormai abbiamo una serie di comunicazioni importanti che le mafie praticano attraverso le piattaforme criptate. Rispetto a questi strumenti siamo in ritardo – dice De Lucia -. Altri Paesi europei hanno forze di polizia che sono già riuscite a entrare in queste piattaforme. Noi ancora no. Abbiamo un problema di adeguamento prima che normativo addirittura tecnologico da questo punto di vista. Poi abbiamo naturalmente la necessità di avere un quadro giuridico stabile e un quadro tecnico di risorse forte per poter utilizzare questo strumento».

La Calabria e l’arresto di Matteo Messina Denaro

Ma la Calabria è stata evocata anche con riferimento all’arresto di Messina Denaro. In particolare, quando l’ex ministro Andrea Orlando ha chiesto, non solo rispetto alla vicenda della latitanza trentennale dell’ultimo degli stragisti, ma più in generale, se si possa parlare oggi di un utilizzo delle organizzazioni segrete come camera di compensazione tra i soggetti del cosiddetto «tavolino», visto che questo è sistematicamente utilizzato in Calabria, la parola è andata al procuratore aggiunto Paolo Guido, che ha coordinato le indagini che hanno portato all’arresto eccellente.

«La provincia trapanese – ha spiegato il magistrato – ha sempre avuto un legame storico con le associazioni segrete e massoniche. Non certamente per una questione idealistica o di condivisione di valori. Soprattutto quando queste associazioni si sono tradotte in centri di affari dove si concordavano importanti operazioni economiche. Esse sono il luogo dove Cosa Nostra ci ha messo il piede. Famosa su tutte, storicamente, è stata la costituzione di una società in cui negli anni Ottanta si è scoperto dopo ne facessero parte tutti i capi delle famiglie mafiose trapanesi, a cominciare dal padre di Matteo Messina Denaro, e che aveva al suo interno importanti componenti massoniche».

Sviluppi criminali, Le cosche di Cosa nostra trapanese, le associazioni massoniche e la ‘ndrangheta

«Questo è stato all’epoca uno dei più chiari esempi di cointeressenze di tipo economico tra Cosa Nostra trapanese e le associazioni massoniche. Che le associazioni massoniche abbiano potuto in qualche modo favorire la latitanza di Matteo Messina Denaro, dal punto vista pratico, è tutto da dimostrare. Abbiamo sicuramente degli elementi, uno per tutti il medico di base arrestato dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, accusato al momento di essere colui il quale ha gestito tutti gli aspetti sanitari del latitante e che negli ultimi mesi è risultato essere iscritto a una loggia massonica. Questo quindi è sicuramente un dato che da un certo punto di vista ha profili inquietanti, ma altro è il coinvolgimento dell’intero contesto massonico che, al momento, ripeto, non è provato».

Ma anche questo è in via di ricostruzione. Sempre a proposito di Messina Denaro, sono stati dimostrati suoi contatti e rapporti con imprenditori nel campo dell’energia rinnovabile, una vasta documentazione rinvenuta in occasione dell’arresto del latitante è stata sequestrata e gli inquirenti stanno cercando di risalire alle risorse finanziarie di cui il latitante aveva disponibilità. Bisognerà attendere gli sviluppi dell’indagine per sapere se queste tracce portano anche in Calabria, perché erano anche qui, come è emerso da varie inchieste, gli interessi del boss di Castelvetrano.

Matteo Messina Denaro non era il capo dei capi di Cosa nostra

Intanto, quello che è certo è che anche se Messina Denaro non è mai stato il capo di capi, nel senso che non ha governato Cosa nostra, ha comunque «svolto una funzione carismatica, essendo l’ultimo stragista libero e il soggetto in qualche misura anche mitizzato il cui ruolo è cresciuto in forza della sua importanza anche a mano a mano che gli altri venivano catturati», rileva De Lucia, e ora l’organizzazione tende a ricostruire il vertice. Una tendenza che, a dire il vero, gli inquirenti rilevano dal 2006, anno della cattura di Provenzano, che era sì il capo dei capi. E proprio le più recenti indagini, a quanto pare, attestano che ‘ndrangheta e Cosa nostra si sono riavvicinate. Parola del procuratore di Palermo.

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