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Giornalista spiato con trojan, Musolino (MD): il suo uso deve essere morigerato. Su giustizia e stampa: le riforme previste «sembrano più ispirate a censurare il ruolo di controllo del potere che caratterizza il giornalismo, piuttosto che a tutelare i diritti delle persone coinvolte nelle indagini». Manzini: occorre contemperare la libertà (e l’utilità) della stampa e la presunzione di innocenza..


LA vicenda del Trojan disposto dalla procura di Salerno per il giornalista del Quotidiano Paolo Orofino, peraltro neppure iscritto come indagato, sta facendo discutere. Dopo l’intervento congiunto delle Camere penali calabresi, che hanno stigmatizzato l’accaduto (LEGGI), oggi ospitiamo alcune autorevoli prese di posizione, che da una diversa angolazione e con diverse argomentazioni, sottolineano la gravità del fatto.

Orofino ha subito l’intercettazione nel 2020, nell’ambito di un’inchiesta a carico di un magistrato calabrese, fascicolo poi archiviato dalla stessa procura salernitana. Solo qualche settimana fa il cronista ha scoperto di essere stato sottoposto a intercettazione telematica nell’ambito di quel procedimento penale.

STEFANO MUSOLINO: «TROJAN STRUMENTO INDISPENSABILE PER LE INDAGINI MA ANCHE INVASIVO»

«Il Trojan è uno strumento indispensabile per le indagini – dice Stefano Musolino, procuratore aggiunto a Reggio Calabria e Segretario nazionale di Magistratura democratica – ma anche molto invasivo; perciò, il suo uso deve essere morigerato per come già dispone la legge. Ma accanto ai limiti legislativi – sottolinea il procuratore – ce ne sono altri di opportunità che sono rimessi alla prudenza investigativa, specie quando l’obbiettivo delle intercettazioni sia una persona che coltiva relazioni ed acquisisce informazioni nell’ambito della sua attività professionale».

«Al di fuori dei casi di reati di criminalità organizzata, installare un trojan su un telefono di una persona non indagata costituisce una ipotesi davvero eccezionale. Il giornalismo – prosegue il magistrato – è uno degli organismi di garanzia nella cosiddetta costituzione materiale, perché contribuisce al controllo dei poteri e dei potenti (il Watergate ha fatto la storia del giornalismo e fa scuola di giornalismo, ndr). Certo, talvolta la modalità di gestione delle notizie da fonte giudiziaria non ha tenuto nel giusto conto i diritti delle persone coinvolte nelle indagini a difendere la loro immagine pubblica da modalità informative che non tenevano nel giusto conto la natura precaria degli accertamenti penali che si sviluppano per progressive progressioni, culminanti nelle sentenze.
Tuttavia – spiega il magistrato – le proposte di legge in gestazione governative sembrano più ispirate a censurare il ruolo di controllo del potere che caratterizza il giornalismo, piuttosto che a tutelare i diritti delle persone coinvolte nelle indagini. Questa, insomma, sembra più essere l’occasione per imporre restrizioni e limiti ad un modo di fare giornalismo sgradito, perché non assoggettato al potere, a cui vengono imposte censure che riducendo la qualità dell’informazione, impoveriscono la possibilità di tutti i cittadini di essere meglio consapevoli ed avvertiti dei modi in cui gli interessi pubblici ed i poteri esercitano le loro funzioni».

GIORNALISTA SPIATO CON TROJAN, MARISA MANZINI: «CONTEMPERARE LA LIBERTÀ DI STAMPA E PRESUNZIONE DI INNOCENZA»

Sull’opportunità di utilizzare il trojan e sulle riforme alla Giustizia abbiamo chiesto un parere pure al magistrato Marisa Manzini, già pm antimafia e oggi sostituto procuratore generale a Catanzaro. «Le intercettazioni telefoniche e ambientali – afferma Marisa Manzini – sono fondamentali nelle indagini per gravi crimini e, in particolare, nelle investigazioni che hanno ad oggetto le associazioni mafiose. Il captatore informatico trojan, poi, è certamente uno strumento invasivo ma particolarmente efficace, consentendo agli inquirenti di acquisire conversazioni e chat tra il soggetto di interesse e le persone che, a vario titolo, sono entrate nel suo giro d’azione».

«Il tema che si pone è un tema estremamente delicato, perché intercettare un giornalista, inoculando sul suo telefono un trojan, significa captare anche le conversazioni che intervengono tra lo stesso e le sue eventuali fonti e se ciò può e deve essere fatto in caso di indagini per fatti delittuosi gravi che vedono indagato il giornalista, diventa estremamente pericoloso quando non sussistono questi presupposti. Io credo allora – puntualizza il magistrato – che si debba usare molta cautela quando le attività investigative incidono sui diritti delle persone e coinvolgono il diritto alla libertà di stampa, sempre nel rispetto dei principi dettati dalla nostra carta costituzionale».

IL NODO DELLE RIFORME

La Manzini poi risponde così, sollecitata sulla questione riforme: «Partirei – afferma – premettendo che come magistrato e, ancor prima, come cittadina la mia stella cometa, il mio baluardo è rappresentato dalla Carta Costituzionale. Allora non posso dimenticare che come magistrato sono tenuta ad applicare la legge e non è compito mio criticare e neppure commentare una legge in fase di approvazione».

«Detto questo, mi vorrei però soffermare su alcuni principi dettati proprio dalla nostra Costituzione. Il primo è il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero (art. 21 della Costituzione), che porta con sé anche il diritto ad una stampa libera e l’altro è quello secondo cui l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva (art. 27 della Costituzione)».

«Questi principi – sottolinea il sostituto Pg di Catanzaro – riconosciuti e tutelati dalla Costituzione, necessitano certamente di un contemperamento. È innegabile che, in alcune circostanze, la pubblicazione di brani di atti giudiziari, senza un contraddittorio, possa avere nociuto a persone che sono state, successivamente, ritenute non colpevoli o addirittura a persone che pur comparendo su quegli atti, neppure sono state sottoposte ad indagini. Ma la vera riflessione che dobbiamo fare è quella che ci porta a scegliere tra la chiusura e il silenzio di quanto avviene attorno a noi per evitare che qualcuno possa subire un pregiudizio derivante dalla conoscenza di fatti che potrebbero non assumere valenza penale, e la apertura ad una informazione libera, espressione ampia della nostra democrazia».

«SI TRATTA DI STABILIRE QUANTO LE NOTIZIE POSSANO RITENERSI DI INTERESSE PUBBLICO»

«Si tratta, insomma, di stabilire quando le notizie possano ritenersi di interesse pubblico. Vorrei focalizzare l’attenzione, in particolare, su questo nostro territorio, così meraviglioso e allo stesso tempo così tormentato. Le ordinanze cautelari a carico di persone – spesso numerose – ritenute gravemente indiziate per un delitto di mafia, danno conto di fatti e forniscono elementi che, se portati a conoscenza dei cittadini, potrebbero consentire di acquisire consapevolezza circa meccanismi e legami e così impedire l’aggravamento di situazioni in itinere o impedire il verificarsi di altre situazioni. Insomma la conoscenza di quanto si verifica sul nostro territorio è, io credo, fondamentale per consentire alle persone di attrezzarsi e combattere le ingiustizie. Nel Mezzogiorno d’Italia, più che altrove, la battaglia per la legalità passa attraverso la conoscenza e la possibilità di leggere ed ascoltare, il che permette a tutti noi di essere informati e consapevoli».

«La consapevolezza – conclude Manzini – come conquista culturale e di conoscenza è alla base della democrazia e, io credo, una informazione libera che rispetti la realtà dei fatti e che risponda ai requisiti della pertinenza e della continenza rappresenta un elemento fondamentale della democrazia».

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