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L’ipotesi del ricercatore Rauti registra una tendenza all’informatizzazione criminale dei clan e adesso i pirati informatici si spostano verso il Vibonese


CROTONE – «Possibile che gli hacker tedeschi abbiano formato quelli della “famiglia”». La vede così Antonio Walter Rauti, research fellow della Sda Bocconi di Milano e PhD presso l’Università degli Studi di Milano. Uno dei coautori di “The Dark-Web Side of Mafias”, lo studio interdisciplinare realizzato anche da Antonio Nicaso, Greta Nasi e Luca Fantacci. Lo studio ha svelato che Crotone è stata la “capitale” delle criptovalute.

Un dato anomalo e sorprendente riconducibile forse alla capacità delle cosche del Crotonese di guardare a nuovi, sofisticati scenari criminali. Come acclarato dall’inchiesta che nel giugno scorso ha portato all’operazione Glicine-Acheronte. Un’inchiesta che, tra l’altro, ha svelato che hacker tedeschi erano stati reclutati dalla cosca Megna e per un periodo hanno soggiornato a Crotone. «L’attività di mining – spiega Rauti, i cui interessi di ricerca si concentrano su criminalità organizzata, sicurezza informatica e innovazione nella PA – è soggetta a meno rischi rispetto alla conversione in cripto già esistenti. La ‘ndrangheta è interessata a come far circolare denaro in modo non tracciato e le critpo in questo senso sono certamente lo strumento migliore».

Coordinatore del Rapporto annuale sul Cybercrime del Cybrec della Fondazione Magna Grecia, che ha collaborato con gli autori di questo pregevole lavoro, Rauti osserva che «la presenza di mining intenso può essere correlata ad aree ad alta densità mafiosa. Non siamo sicuri che lo facessero le cosche. È più realistico pensare che lo facessero hacker reclutati dalle cosche e che siano venuti a formare in loco».

La proliferazione di parchi eolici, in particolare a Isola Capo Rizzuto, dove si registra il picco dell’attività di mining, può contribuire ad abbattere il notevole dispendio energetico correlato all’estrazione di criptovalute? «L’ipotesi è suggestiva – ammette lo studioso – perché è più facile infiltrarsi nelle newco dell’eolico rispetto, per esempio, alle società del fotovoltaico. Ma è difficile dimostrarlo al momento».

Lo studio analizza non solo in campo teorico ma anche informatico le modalità con cui la criminalità organizzata potrebbe agire nell’attività estrattiva di criptovalute. Dal mining illecito al money laundering, dal riciclaggio di denaro alle transazioni illegali per pagare carichi di cocaina fino alle piattaforme di scambio per acquistare valuta legale. In questo contesto è balzata all’attenzione quella presenza anomala di hotspot che si registra non solo nel Crotonese ma anche nella Locride. Infine, una chicca che riguarda proprio pirati informatici e clan del Vibonese. «Il fenomeno – svela infatti Rauti – parrebbe essersi spostato nel Vibonese».

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