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Il tribunale di Crotone

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CUTRO (CROTONE) – Il gup distrettuale di Catanzaro Luca Bonifacio ha condannato a 30 anni di reclusione Angelo Greco, di San Mauro Marchesato, detto “Lino”, detto anche “Tempesta”, storico – o presunto tale – componente del gruppo di fuoco del boss Nicolino Grande Aracri, per l’omicidio di Rosario Ruggiero commesso nel giugno ’92; e ha condannato a 12 anni Angelo Cortese, collaboratore di giustizia, ex braccio destro del boss, per ben quattro delitti – compresa l’uccisione di Ruggiero – commessi in concorso, in taluni casi, con persone che su questa terra non ci sono più, perché cadute in altri agguati mafiosi, in altri casi in concorso con indagati per cui si procede a parte.

Quattro omicidi in cui ci sarebbe sempre lo zampino del suo capo, il boss Grande Aracri, o quale mandante o nella veste di componente del commando. Sono soltanto alcuni fatti di sangue di cui si autoaccusa la gola profonda che aprì la serie di pentimenti all’interno della super cosca Grande Aracri. La pena più bassa per lui rispetto a quella inflitta a Greco discende dall’attenuante della collaborazione con la giustizia.

Il pm Antimafia Domenico Guarascio aveva chiesto 30 anni per Greco e 8 anni e 6 mesi per Greco. Gli imputati erano difesi dagli avvocati Nuccio Barbuto e Luigi Antonio Comberiati (per Greco) e Salvino Greco (per Cortese).

OMICIDIO LAZZARO

Cortese è accusato di aver agito in concorso con gli esponenti di vertice della cosca di Petilia Policastro. Del gruppo di fuoco avrebbero fatto parte, oltre a Cortese, i desaparecidos Antonio Macrì e Rosario Sorrentino, scomparsi nel nulla nell’agosto 2000, e Grande Aracri che avrebbe guidato l’auto Peugeot “405” rubata su cui viaggiava il commando che affiancò una Mercedes su cui era la vittima predestinata, uccisa con cinque colpi di fucile calibro 112. Il movente sarebbe riconducibile al mandato volto a eliminare un personaggio ostile ai Comberiati. Il fatto risale al 16 giugno ’92.

OMICIDIO RUGGIERO

Cortese avrebbe agito in concorso con altri per uccidere Rosario Ruggiero, e in particolare con Grande Aracri (che per questo delitto è stato condannato a 30 anni in via definitiva), leader del gruppo criminale dominante a Cutro, e i fratelli Ernesto e Antonio, ritenuti mandanti, che avrebbero fornito tre pistole ai killer. Ma anche con Domenico Lazzarini, incaricato di compiere un sopralluogo presso la falegnameria della vittima.

Con Giuseppe Grano, l’unico non cutrese del gruppo essendo di Mesoraca (la sua assoluzione è stata annullata con rinvio dalla Cassazione), che avrebbe guidato l’auto del commando, una Fiat “Croma”, su cui era il gruppo di fuoco composto, sempre secondo l’accusa, da Angelo Greco, Antonio Rocca e Sergio Iazzolino, di Sersale (assassinato nel 2003) i quali, armati ciascuno di una pistola, avrebbero sparato più colpi contro l’obiettivo che sarebbe successivamente morto nell’ospedale di Crotone per le ferite riportate.

Il ruolo di Cortese, in particolare, sarebbe stato quello di predisporre l’auto rubata usata nell’agguato apponendovi una targa di cartone e, insieme al desaparecido Rosario Sorrentino, di prelevare il commando che portò a casa di Rodolfo Pane, di Marcedusa, anche lui successivamente caduto in un agguato. Tra i principali accusatori il pentito Antonio Valerio, assolto dall’accusa di essere stato il mandante, che ha raccontato che Grande Aracri, con cinismo criminale, mimava i gesti compiuti dalla vittima predestinata, perché nel tentativo di scappare Ruggiero era rimasto «attaccato alla porta di casa» e «cercava di aggrapparsi».

Le macabre battute le avrebbe fatte il mandante, allora boss emergente, mentre oggi è ritenuto a capo di una “provincia” di ‘ndrangheta, che intese così «dare soddisfazione» a Valerio, oggi collaboratore di giustizia. Perché Ruggiero uccise il padre del pentito, Gino, nel ’77, e per questo fu condannato a 14 anni. Il movente sarebbe riconducibile a una serie di concause (l’«abitino», nel gergo ‘ndranghetistico), anche se gli attriti iniziarono quando Valerio si rivolse per gli infissi a un altro anziché a Ruggiero, falegname e vicino di casa. Ma c’entrerebbero anche una questione di «corna», perché il papà di Valerio era «biricchino», e, soprattutto, una rivalità nel settore del trasporto perché entrambi vi operavano, nonché pretese “verticistiche” di Ruggiero nell’ambito mafioso. L’omicidio fu compiuto il 24 giugno ’92.

OMICIDIO VILLIRILLO

Cortese avrebbe dato il via al raid nell’officina di un gommista dopo aver constatato la presenza della vittima predestinata, Antonio Villirillo. L’azione sarebbe stata organizzata da Grande Aracri che avrebbe chiesto il supporto della cosca di Petilia Policastro e in particolare del boss Vincenzo Comberiati, che avrebbe messo a disposizione i suoi uomini quali componenti del gruppo di fuoco, ovvero Salvatore Comberiati classe ’59, Pasquale Liotti e Vincenzo Scandale e avrebbe fornito l’auto e le armi usate nell’agguato e gli appartamenti in cui si nascose il commando.

Esecutori materiali vengono indicati Salvatore Comberiati, quale autista del commando, Vincenzo Comberiati, Liotti e Scandale, i primi due armati di pistola e l’ultimo di fucile. Il movente sarebbe ricollegabile alla vendetta da parte di un esponente della cosca cutrese, quel Nicolino Sarcone che poi sarebbe divenuto il capo della cellula reggiana, nei confronti di Villirillo, “reo” di aver intrattenuto una relazione con una donna che già era stata sua compagna. Il fatto di sangue fu commesso il 5 gennaio ’93.

OMICIDIO GALDINI

In attuazione del programma della consorteria criminale, Cortese avrebbe preso parte a un altro progetto di morte. L’uccisione di Marcello Galdini. Mandanti sarebbero stati Grande Aracri e Domenico Lazzarini, Salvatore Peta e Rosario Sorrentino sono indicati come esecutori materiali insieme a Cortese che aveva il compito di assicurare che l’azione fosse stata portata a termine. Accadde il 14 settembre ’92.

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