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CUTRO – Si presenta in aula con un braccio ingessato, un giovane pakistano. Si è fatto male aggrappandosi a una porta con cui è arrivato a riva, spinto dalla corrente, tre settimane fa. «Mi sono salvato a nuoto, salendo sopra un legno. Ci ho messo mezz’ora ad arrivare in spiaggia e a terra non c’erano ancora i carabinieri».

Chiama in causa i ritardi nei soccorsi a terra una delle testimonianze approdate ieri al vaglio del gip del Tribunale minorile di Catanzaro Donatella Garcea, dinanzi alla quale si è celebrata la seconda udienza dell’incidente probatorio a carico di un presunto scafista, anche lui, pakistano che non ha ancora compiuto 18 anni  – lo difende l’avvocato Salvatore Perri – indagato, insieme a quattro adulti (uno è ancora irreperibile), per il tragico naufragio del 26 febbraio scorso a Steccato di Cutro. I migranti, assistiti dall’avvocato Pietro Vitale, hanno ripercorso la vicenda aggiungendo altri particolari, incalzati dal pm Maria Rita Tartaglia ma anche dall’avvocato Francesco Verri, del pool di legali che assiste i familiari delle vittime.

«Mi hanno detto: “Vai con la nave e arrivi in Italia, senza specificare dove esattamente” – ha detto un superstite pakistano – Era la prima volta che cercavo di venire. Sono salito su una prima nave bianca. Poi abbiamo cambiato barca. Non c’erano salvagenti in nessuno dei due casi. Il mare non ricordo se era agitato. Molte persone si sentivano male. In questo caso potevano salire sopra per poco. Il permesso lo dava il comandante. Sono salito su, si vedevano le luci dell’Italia, il mare era grosso, c’erano onde. Ho sentito una botta, ero sopra. Mi sono salvato a nuoto, salendo sopra un legno. Ci ho messo mezz’ora ad arrivare in spiaggia a nuoto. Ribadisco che ci ho messo mezz’ora e a terra non c’erano ancora i carabinieri».

Ma ecco cosa ha detto un altro naufrago, anch’egli pakistano. «La prima barca era buona ma piccola. Poi ci siamo spostati su un’altra barca. La guidavano in tre – racconta il giovane superstite – I viaggiatori erano seduti sotto ma anche nella parte superiore. Potevamo salire tranquillamente sopra e fermarci 10, al massimo 15 minuti. C’erano due persone che accompagnavano le persone su e giù. L’indagato era anche nella prima barca. La seconda barca era vecchia. Non c’erano salvagenti. Respiravo male e quindi salivo sopra – racconta ancora il superstite – Sapevamo solo che ci avrebbero portato in Italia, non dove L’indagato aiutava le persone a salire sopra, traduceva perché parlava turco. Viaggiava sopra, stava con un’altra persona del Pakistan. Uno dei due pakistani ha raccolto dei soldi sulla barca. Anche l’indagato ha raccolto denaro. Giravano con una borsa. Quando stavamo arrivando, la navigazione proseguiva tranquillamente.

Il mare era agitato, eravamo preoccupati. Avevamo anche ansia di arrivare Anche quelli che stavano sopra, erano coperti. Quando il mare si è molto agitato, i comandanti sono scappati. Era buio… Non so nuotare, mi ha salvato Dio, sono stato espulso verso riva e con l’aiuto di un pezzo di legno. Quando sono arrivato a terra c’erano solo due pescatori, i carabinieri sono arrivati 10, 15 minuti dopo», dice.

E ancora: «Ho pagato il viaggio in contanti in Turchia ma quel denaro è stato tenuto bloccato. Della consegna si è occupato mio cugino. Non so se il denaro è finito nella stessa borsa con cui a bordo è stato raccolto il denaro. Più che una borsa o uno zaino, era un sacco». Uno dei testi, in particolare, ha detto che aveva cercato di intraprendere un primo viaggio prima di quello dello sbarco. Ma, giunto sul luogo dell’imbarco, non c’era la barca e i migranti sono ritornati indietro ma non hanno chiesto dettagli. Gli organizzatori, però, non erano gli stessi. Il naufrago ha aggiunto che al primo tentativo c’erano anche i due pakistani indagati per lo sbarco di Steccato, tra cui quello minorenne. Sul ruolo di quest’ultimo ha affermato che si limitava a tradurre dai turchi e si occupava dei migranti ammassati in stiva facendoli salire in coperta a prendere aria. «Aiutava le persone, chi aveva bambini, famiglie», ha detto, confermando quanto già riferito da un altro teste nella precedente udienza con riferimento al ritorno a proprie spese in taxi da parte di un gruppo di migranti dopo il primo tentativo di sbarco andato a vuoto. Tra quanti avrebbero pagato il taxi anche il minorenne, come fatto emergere dall’avvocato Perri. Oggi una nuova udienza, nel corso della quale saranno sentiti altri quattro scampati al massacro, ma in seguito alla produzione di ulteriori testimonianze saranno necessarie ancora tre udienze. Dalla prossima settimana potrebbe essere celebrato l’incidente probatorio dinanzi al gip del Tribunale di Crotone Michele Ciociola a carico degli indagati adulti.

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