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Nicolino Grande Aracri

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CUTRO (CROTONE) – I primi colloqui investigativi li avrebbe avuti col procuratore Nicola Gratteri, capo della Dda di Catanzaro che negli ultimi anni sta sferrando un’aggressione giudiziaria senza precedenti alle cosche del Crotonese e alle loro propaggini al Nord, il cui massimo esponente, il boss Nicolino Grande Aracri, vistosi senza via d’uscita dopo una serie di ergastoli per una decina di omicidi, ha iniziato a “cantare” (LEGGI).

Ed è significativo che sia andato a sentirlo proprio il magistrato più famoso d’Italia. Si chiamano tutti e due Nicola, sono entrambi dei capi, ma uno, il capocrimine, ha perso e ha deciso di pentirsi. Il percorso di collaborazione con la giustizia intrapreso da settimane, forse da un mese, da Grande Aracri, se dovesse essere ritenuto attendibile dagli inquirenti, potrebbe scatenare un vero e proprio terremoto nella ‘ndrangheta e nella cosiddetta zona grigia.

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Parliamo, infatti, del vertice indiscusso di una “provincia” mafiosa i cui tentacoli si estendevano ben oltre la provincia pitagorica e che comandava su mezza Calabria e parte dell’Emilia, della Lombardia e del Veneto.

Il 62enne Grande Aracri non è stato soltanto un “mammasantissima” sanguinario, ma anche il capo di una cosca dalla forte vocazione imprenditoriale che aveva colonizzato la grassa e rossa Emilia Romagna, quella al centro del processo “Aemilia”, il più grosso, per numero di imputati, mai celebrato contro le mafie al Nord.

La Dda di Bologna è già stata informata. Ma presto i racconti di Grande Aracri potrebbero essere valutati dalle Dda di mezza Italia, che lo hanno monitorato nella ormai famigerata tavernetta di contrada Scarazze, dove era il suo quartier generale da cui tesseva trame attraverso cui la cosca s’insinuava nell’economia apparentemente legale dialogando con pezzi di politica e istituzioni e forse in grado di condizionare processi grazie a canali in ordini cavallereschi e ambienti massonici.

Massima la cautela degli inquirenti anche alla luce di un precedente: il capo della cellula emiliana del clan, Nicolino Sarcone, non è stato ritenuto attendibile dalla Dda di Bologna perché, dopo la condanna nel processo Aemilia, è parso agli inquirenti che volesse “salvare” i fratelli senza aggiungere nulla di nuovo nelle sue dichiarazioni. I fratelli che poi sono emersi come coloro che reggevano la cosca durante la sua detenzione.

Fino a qualche giorno fa Grande Aracri era detenuto al 41 bis nel carcere di Milano Opera e non è confermato se ora si trovi in un sito protetto. L’unica cosa certa è che non si sarebbe mosso praticamente più dal penitenziario essendosi beccato, tra le numerose condanne che deve ancora scontare, anche diversi ergastoli.

Uno è divenuto definitivo per l’omicidio del suo rivale storico, il boss Antonio Dragone del quale fu luogotenente, ucciso a Cutro in un agguato in cui fu utilizzato un bazooka, nel maggio 2004 (processo Kyterion). C’è anche l’ergastolo per l’omicidio di Giuseppe Ruggiero, assassinato a Brescello nel giugno ’92 da un commando travestito da carabinieri (processo Aemilia ’92, in Appello).

C’è l’ergastolo per i sette omicidi di cui è stato ritenuto mandante negli anni di piombo tra il ’99 e il 2000, (processo Scacco Matto, Appello bis), vittime Antonio Simbari, Raffaele Dragone e Tommaso De Mare, Rosario Sorrentino, Francesco Arena e Francesco Scerbo.

Il processo in Cassazione è fissato a fine maggio e chissà se la Dda produrrà le prime cantate in vista dell’udienza. E’ la pietra miliare, il processo Scacco Matto, quello scaturito dall’operazione con cui nel dicembre 2000 furono disarticolate due cosche allora ritenute emergenti, quella dei Grande Aracri a Cutro e dei Nicoscia a Isola Capo Rizzuto, federatesi per scalzare dal comando nei rispettivi centri d’influenza le più blasonate famiglie Dragone e Arena. Ma la scalata è proseguita in Calabria e al Nord, fino al colpo forse decisivo.

Nel gennaio 2015, con una manovra a tenaglia, scattarono le operazioni Kyterion, Aemilia e Pesci, condotte rispettivamente dalle Dda di Catanzaro, Bologna e Brescia, dalle quali sono sfociati processi per oltre 300 persone in gran parte di Cutro o provenienti da Cutro. era rivoluzione nella geografia mafiosa della Calabria per l’audace rivendicazione di autonomia rispetto alla casa madre della ‘ndrangheta, come emerge dalle carte del processo Kyterion, nome bizantino di Cutro che sta per argilla.

Tant’è che il progetto di Grande Aracri è ormai scolpito nel capo d’imputazione del processo “Rinascita”, che ridisegna la mappatura della ‘ndrangheta individuando tre “province”: oltre a quelle di Reggio e Vibo Valentia, c’è, appunto, Cutro, con supremazia sulla Calabria mediana e settentrionale.

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