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Nicolino Grande Aracri

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CUTRO (KR) – Salvatore Procopio, il 47enne cutrese residente a Gualtieri, nel Reggiano, quello che si faceva i selfie con Salvini in missione in Emilia per dire no alla ‘ndrangheta anche se era stato battezzato come ‘ndranghetista dal boss Nicolino Grande Aracri, era stato incaricato di eliminare il pentito Salvatore Cortese o i suoi genitori.

Cortese, ex braccio destro del boss ed ex killer che si è autoaccusato di una decina di omicidi, anche di quelli per cui è stato assolto, è stato il primo pentito della super cosca che prima appariva impenetrabile.

Addirittura, il sanguinario ergastolano capocrimine chiedeva che una pistola fosse puntata nella «natura» della madre del pentito tanto era desideroso di vendetta e di dare un segnale perché fossero scongiurati altri pentimenti. Lo raccontano almeno due collaboratori di giustizia. Almeno questo è quello che emerge dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip distrettuale di Bologna Alberto Ziroldi, e la circostanza è inquietante perché, a quanto pare, il mammasantissima era riuscito a localizzare Cortese, a dispetto della segretezza che dovrebbe caratterizzare il sito in cui si trovano testimoni e collaboratori di giustizia.

Un segreto di Pulcinella. In cambio, Procopio sarebbe stato nominato reggente di ‘ndrangheta a Capocolonna, che oltre ad essere zona archeologica è una vasta località a cavallo tra Cutro, Crotone e Isola Capo Rizzuto in cui la sua famiglia, che ha un debole per le armi, risiede. Giuseppe Procopio, padre dell’indagato, venne arrestato e condannato per un arsenale e reati di armi sono contestati anche al figlio nel nuovo provvedimento. Suo padre si era rifiutato per il rapporto di parentela che lo lega a Cortese – «no, a mio nipote non lo faccio» – ma il figlio «azionista» – così viene descritto dai pentiti – bramoso di dare la scalata alla gerarchia criminale non si sarebbe fatto problemi di ordine morale. Ma andiamo con ordine.

Il pentito Giuseppe Liperoti narra del tentativo esperito dal boss di individuare Cortese. Glielo avrebbe riferito Giovanni Abramo, genero del mammasantissima, ma Liperoti non sa se la finalità fosse quella di «ammazzarlo o indurlo a ritrattare». La ricompensa sarebbe stata appunto la «carica di responsabile di ‘ndrangheta a Capocolonna». Fatto sta che il progetto risale all’epoca immediatamente successiva all’avvio della collaborazione con la giustizia da parte di Cortese.

Ma a vivere la vicenda più direttamente, e a riferirne nel dettaglio, è il pentito Antonio Valerio, che spiega che Salvatore Procopio avrebbe «scavalcato» il padre Giuseppe quale referente di ‘ndrangheta a Capocolonna proprio in seguito al rifiuto opposto da questi nel rendersi disponibile a «vendere» Cortese. Uno che dava fastidio, per la sua caratura criminale, anche prima del suo pentimento tanto che Valerio aggiunge che anche Nicolino Sarcone, il reggente della cellula emiliana del clan già condannato nel processo Aemilia, voleva farlo fuori.

«Cortese era imponente quando si presentava, era una figura che incuteva timore, adesso lo vediamo remissivo in aula ma non è così il Salvatore che conosco io». Sarcone, sempre secondo il racconto di Valerio, aveva tentato di coinvolgere quest’utlimo nel progetto di morte: «lo invito a venire qua alla Pieve, ti metti in un garage, come arriva ci diamo io e te perché degli altri non mi fido… lo portiamo e gli diamo una botta io e te». Ma non si fidava neanche Valerio dei Sarcone a starsene chiuso tutto il giorno in un garage ad aspettare.

Ma torniamo a Capocolonna, dove Grande Aracri, «nel periodo che c’era da uccidere Cortese», commise «un abuso», ovvero «detronizzò il padre che abdicò in favore del figlio». Ed ecco come il clan stava per individuare la vittima predestinata. «Praticamente – spiega Valerio al pm della Dda di Bologna Beatrice Ronchi – gli ha fatto lasciare il ruolo perché Salvatore di doveva impegnare perché ci fu una telefonata di Cortese che fece a qualche parente per rintracciare…tant’è che fu attenzionato perché più vole al mese andavano fuori Cutro i suoi genitori. Che Grande Aracri voleva ammazzare sua mamma e suo padre.

Quando ha visto che c’era la possibilità di ammazzare Cortese in collaborazione, questo per dare un segnale forte a qualsiasi altro volesse collaborare. All’epoca non c’era Liperoti, non c’era Giglio, non c’ero io, c’era solo Salvatore come collaboratore… ci fu questa telefonata, c’era la possibilità di prendere Salvatore, a quel punto si attenzionò Salvatore, fu cacciato Peppe e messo Salvatore come capo a Capocolonna».

«No a mio nipote non lo faccio», avrebbe detto il padre, mentre il figlio «bramoso di potere» si sarebbe attivato perché in seguito alla soffiata «c’era la possibilità di coltivare questo filone», cioè erano stati forniti elementi per risalire al luogo in cui era Cortese. Sempre secondo il pentito, Grande Aracri sarebb estato appoggiato dalle cosche di Isola Capo Rizzuto e di Crotone, poi il boss «andò dentro» e «il progetto fu abbandonato». Ma «inizialmente» il piano era addirittura quello di «uccidere suo papà e sua mamma in modo da fare stare zitto Cortese». «Grande Aracri mi disse che gli voleva mettere la pistola nella sua “natura” per dare dimostrazione della crudeltà e della capacità barbarica che aveva, di intimorire gli altri che avessero intenzione… “A sua mamma gliela metto”, dice, per far capire che pentiti non ce ne devono essere… me lo disse direttamente a me questo».

Riscontri ai racconti dei pentiti vengono dalle intercettazioni eseguite nell’ambito dell’operazione Perseverance, in cui Procopio è stato arrestato. I coindagati Giuseppe Friyio e Domenico Cordua discutono del principio di collaborazione con la giustizia di Sarcone, poi ritenuto inattendibile dagli inquirenti. «Che poi era una bufala quella di Nicolino». «Però non è stato un bel gesto».

«Però non è che si è buttato». «Non l’ha creduto Gratteri che lui ha cercato di salvarsi i fratelli, però a Salvatore non l’ha prosciolto… dice che doveva ammazzare la madre di Cortese». «Avevano preso d’occhio la madre e il padre…c’era nei progetti…deciso da Grande Aracri… l’esecutore doveva essere Salvatore Procopio». Un piano che risale al 2014. Letto, firmato e sottoscritto dall’ormai ex pentito Sarcone dinanzi ai pm della Dda di Bologna. Ma nel 2020 ne riparlano Friyo e Cordua, che sostengono che il progetto era stato caldeggiato da Ernesto Grande Aracri, fratello del boss. «Gli hanno detto a Salvatore… la vuoi la mano di Capocolonna? Allora devi fare questo».

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