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Un doganiere infedele del porto di Gioia Tauro alterava le scansioni dei carichi per nascondere la droga, il tutto per 270mila euro

GIOIA TAURO – «Ha fatto tutto a regola d’arte». Così Rosario Bonifazio e Francesco Giovinazzo, tra le 36 persone arrestate dalla Guardia di finanza con l’accusa di avere gestito un traffico internazionale di droga con base logistica nel porto container di Goia Tauro, commentavano il lavoro fatto dal presunto complice, un doganiere infedele che era riuscito, a quanto pare, ad alterare gli esiti di una scansione radiogena rendendo più difficile individuare le anomalie all’interno dei pacchi di caffè.

Ma quei pacchi avevano un cattivo aroma, perché dentro c’erano 300 chili di cocaina. Dal bianco al nero, questo l’oscuramento che si nota palesemente nell’immagine memorizzata nel sistema in bianco e nero. Ma quelle anomalie erano facilmente ravvisabili con l’utilizzo dei filtri in uso al personale preposto ai controlli.

IL MUTO, IL DOGANIERE INFEDELE CHE ALTERAVA LE SCANSIONI AL PORTO DI GIOIA TAURO “NASCONDENDO” LA DROGA

Lo chiamavano il “muto”, e non lo menzionavano nella conversazione intercettata anche se facevano riferimento a un doganiere che aveva manomesso l’esito della scansione e quindi aveva omesso di segnalare l’incoerenza generata nell’immagine dalla presenza dello stupefacente. Ben 300 chili, valore nove milioni, e per il suo “lavoro pulito” Pasquale Sergio, 61enne dipendente dell’Agenzia delle Dogane nativo di Bianco, avrebbe incassato il 3 per cento. Ben 270mila euro. Tant’è che a suo carico il gip distrettuale di Reggio Calabria, Giovanna Sergi, ha disposto un sequestro patrimoniale per 261mila euro.

Era il 18 dicembre del 2020 e la nave Msc Adelaide, proveniente da Santos, n Brasile, trasportava caffè. Ma tutto questo era possibile perché «c’è una squadra in mano ai doganieri». La conferma verrebbe dalla viva voce di uno degli indagati, Nazareno Valente, che ammetterebbe di far parte di una “squadra” di portuali infedeli. Sono 14, del resto, gli operatori dello scalo arrestati nell’operazione, tutti dipendenti delle imprese che operano nel porto o alla Mct.

UN RUOLO FONDAMENTALE PER IL PASSAGGIO DEI CONTAINER

«La squadra è quella che ci sono io e non ve lo dico per farmi bello», avrebbe svelato l’indagato. Ma fondamentale sarebbe stato il ruolo del doganiere che aveva appena comunicato ai coindagati che il container di loro interesse non era più sottoposto a vincoli e pertanto si sarebbero potuti organizzare nei giorni successivi per il recupero del carico. «Organizziamo per il lavoro del caffè… sono qua con il doganiere… è libero». In un altro brano intercettato nell’ambito dell’inchiesta diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Giuseppe Lombardo e dai sostituti Domenico Cappelleri e Paola D’Ambrosio, si parla del compenso spettante all’addetto allo scanner, pari al 3 per cento del valore stimato del carico.

«Ok allora il tre solo per lo scanner». In un altro colloquio captato dagli inquirenti, gli indagati Giuseppe Papalia e Vincenzo Brandimarte commentano uno dei tanti sequestri di droga eseguiti dai finanzieri al porto di Gioia Tauro. Leggendo un articolo corredato da una foto su un rinvenimento di cocaina fatto proprio grazie alle rilevazioni dello scanner, Papalia recrimina che Sergio gli aveva mentito perché lo riconosce nell’immagine. Eppure Sergio pare che gli avesse detto che era stato un “amico”, cioè un suo collega. Ma ciò, secondo gli inquirenti, non è altro che la prova di accordi pregressi.

C’È DEL MARCIO AL PORTO DI GIOIA TAURO

C’è del marcio, al porto di Gioia Tauro, e la stessa intercettazione sulla “squadra” rivelerebbe che numerosi operatori portuali sarebbero abitualmente dediti all’attività di esfiltrazione di ingenti quantitativi di cocaina occultati a bordo di container provenienti dal Sudamerica e in transito presso lo scalo. Un’attività che presenta enormi rischi ma che, negli anni, è stata affinata.

L’inchiesta messa a segno dalla Dda rileva che, in particolare, l’organizzazione criminale al centro delle indagini utilizzerebbe due gruppi, uno di Palmi e uno di Gioia Tauro, in grado di garantire l’esfiltrazione dal porto della partita di cocaina in arrivo. I due gruppi affidano pertanto il lavoro a una squadra di portuali che cura il trasbordo dal container e a una compagine che, invece, si occuperebbe del ritiro su mezzo pesante, alterando le attività di aziende compiacenti. Sullo sfondo, le trattative tra i portuali per fare in modo di essere di turno alla data precisa dello sbarco.

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