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LOCRI – «Gli ho fatto prendere il numero di targa, poi glielo dato a uno che sapevo e dopo due giorni mi ha mandato a dire che sono quelli di Genova, addirittura della Dia di Genova, questi hanno oramai tutto quei rapporti».

Sono le parole di una persona non ancora identificata dalle forze dell’ordine che conversa amichevolmente con Giuseppe Raso, l’uomo considerato a capo del “locale” di Canolo e finito nelle carte dell’inchiesta “Saggezza” della Dda di Reggio Calabria che ha portato una decina di giorni fa all’arresto di 38 persone nella Locride.

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Un’indagine, quella dei magistrati reggini, che in realtà risulta strategica per le dinamiche criminali e sociali della provincia di Reggio Calabria. Quella captata dagli investigatori non è una conversazione qualsiasi, è una quasi certezza che all’interno delle istituzioni ci sia una talpa, qualcuno che fornisce informazioni ai boss della ‘ndrangheta, qualcuno capace di indicare un’auto con quattro persone a bordo come appartenente alla “Dia di Genova”.

A “soffiare” nelle orecchie dei padrini qualche dritta importante è di certo qualcuno di ben inserito nelle maglie dello Stato, potrebbe essere uno stesso appartenente all’apparato investigativo antimafia, o comunque un soggetto vicinissimo agli ambienti investigativi “altolocati”. Infatti il controllo della targa di un auto in uso a agenti della Dia nella migliore delle ipotesi darebbe come esito la certificazione che la macchina è di proprietà del Ministero dell’Interno, arrivare a circoscrivere la vettura come in forza alla Direzione investigativa antimafia, precisando anche l’ambito territoriale di competenza (Genova), significa avere le mani ben inserite nel contesto istituzionale.

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