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Un asilo nido

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LA CALABRIA non è una regione mother friendly. Lo dice il Rapporto “Le Equilibriste: la maternità in Italia” di Save the Children, giunto alla settima edizione e diffuso alla vigilia della Festa della mamma. Il rapporto include l’Indice delle madri, elaborato dall’Istat per individuare le Regioni che si impegnano, di più o di meno, a sostenere la maternità in Italia.

L’INDICE DELLE MADRI

Undici gli indicatori presi in considerazione per valutare la condizione delle madri in tre diverse aree: quelle della cura, del lavoro e dei servizi. In testa le province autonome di Bolzano e Trento, che confermano il primato delle precedenti edizioni. Seguono l’Emilia Romagna, il Friuli Venezia Giulia, la Lombardia, la Toscana e la Valle d’Aosta. Le regioni del Mezzogiorno (più il Lazio) si posizionano tutte in coda. La Calabria è penultima, peggio fa solo la Campania. Unica nota positiva che emerge dal rapporto è il trend in miglioramento delle regioni meridionali, che rispetto agli ultimi quattro anni crescono di 4 punti. Nei tre ambiti presi in esame la Calabria risale (di poco, è sedicesima su 21) solo alla voce “cura”, dominio che analizza due indicatori: il tasso di fecondità (o numero medio di figli per donna) e la distribuzione del lavoro di cura all’interno delle coppie di genitori occupati, che più di altri hanno difficoltà a conciliare i tempi di vita.

La regione è poi terzultima per il dominio ‘lavoro’, che prende in considerazione la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Calabria fanalino di coda infine per i servizi: si conferma ultima (posizione che nel rapporto mantiene dal 2018) per percentuale di bambini che frequentano la scuola dell’infanzia e indice di presa in carico dei bambini all’asilo nido. Rispetto al passato, comunque, fa registrare un significativo miglioramento del valore, seguendo un trend nazionale di crescita.

IL RAPPORTO

In generale il Paese non esce bene dal report di Save the Children. Lo scenario è definito «molto critico». Ben il 42,6% delle mamme tra i 25 e i 54 anni non è occupata, con un divario rispetto ai loro compagni di più di 30 punti percentuali. Laddove il lavoro è stato conservato, spesso si trasforma in un contratto part-time: è il caso del 39,2% delle donne con 2 o più figli minori.

Nel primo semestre 2021, solo un contratto a tempo indeterminato su 10 è a favore delle donne. Nel 2020 sono state più di 30mila le donne con figli che hanno rassegnato le dimissioni. Tra le motivazione più segnalate la difficoltà di conciliare la vita lavorativa con le esigenze di cura dei figli. Pesa, là dove manchino parenti di supporto, l’assenza di servizi sul territorio, carenti e troppo costosi, come gli asili nido.

I dati disponibili, relativi ai nidi, riguardano l’anno educativo 2019-2020, quindi vigilia e inizio pandemia. «Le disparità nell’offerta di servizi da parte dei Comuni e della presa in carico alla vigilia della pandemia erano enormi – si legge nel rapporto – dal 30,4% della Provincia autonoma di Trento e il 28,7% dell’Emilia-Romagna al risibile 3,1% della Calabria, il 4% della Campania e il 5,8% della Sicilia. E anche la spesa dei Comuni per bambino 0-2 anni variava sensibilmente: dai quasi 2mila euro pro-capite in Emilia Romagna ai 149 euro della Calabria, con una media nazionale di circa 900 euro». Non resta che confidare nel Pnrr.

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