X
<
>

Cecilia Mangini

Condividi:
3 minuti per la lettura

Subito dopo la scomparsa di Mario Gallo la Cineteca della Calabria decide di intitolargli una manifestazione cinematografica, di livello internazionale, che ne possa ricordare la memoria e promuovere l’elevata idea di arte cinematografica che ha contraddistinto il suo lavoro di produttore ed il suo pensiero intellettuale. Tra i primi premiati, non poteva mancare Cecilia Mangini, oggi 93 anni, apprezzata documentarista e autrice di originali lavori di taglio etno/antropologico, con particolare attenzione al Meridione d’Italia e al mondo delle donne.

Cecilia, la mia generazione vive un momento di grande oscurità. Lei che ha vissuto le difficoltà della guerra, che consiglio si sente di dare ai giovani?
«È un momento di grande oscurità, complicato dalla pandemia del Covid.19 ma non possiamo né dobbiamo dire che siamo in guerra. L’ultima, quella della seconda guerra mondiale, ha travolto le nazioni dell’Europa e ha avuto milioni di morti, di mutilati, di invalidi non solo militari, anche civili, anche di donne e bambini uccisi dai bombardamenti a tappeto americani. Covid.19 è una pandemia, non è la prima, non sarà l’ultima. Ci fa paura perché oggi non abbiamo ancora nessun vaccino, e ci stiamo ammalando qui, nelle nostre strade, nelle nostre piazze, non in Africa o in Australia. Alle ragazze e ai ragazzi di oggi dico che il loro nemico è la disuguaglianza, non poter studiare, non poter avere a disposizione le gioie della cultura, dei musei, dell’arte. Parafrasando il detto di Benito Mussolini a tutti gli italiani “Chi si ferma è perduto”, a tutta la gioventù di oggi dico: È perduto chi non combatte contro le disuguaglianze».

Il cinema documentario che tipo di ispirazione può trarre da questo momento storico così drammatico?
«La divisione in due categorie, il film e il documentario, è di comodo: l’hanno imposta i produttori, perché i loro guadagni salgono alle stelle quando il film attrae e diverte non per merito ma per pubblicità, vale a dire per persuasione occulta. Per Natale hanno imposto gli orridi cine-panettoni, invece le prime immagini cinematografiche a partire dai fratelli Lumiere prive del sonoro erano visivamente significanti e significative, le chiamiamo inquadrature perché ci parlano come i quadri».

Il comparto della sala cinematografica italiana, che viveva già prima una crisi notevole, come pensa potrà rinnovarsi dopo questi mesi di stallo?
«La crisi del cinema italiano continuerà imperterrita se proseguiremo nell’andazzo che ormai dura da tempo, da quando, morto e finito il Neorealismo, per pigrizia abbiamo lasciato appassire la fantasia, la cultura, l’inventività. Esistono registi che possono dirsi registi ma sono pochi e i grandi attori, i globuli rossi della cinematografia, sono pochi. Anche la politica è in crisi, nell’era attuale dei Matteo Salvini e dei Matteo Renzi, arroganti e narcisisti. Se il nostro cinema, non solo il documentario, ritrovasse i suoi predecessori, non i neorealisti per antonomasia, De Sica e Rossellini ma i grandissimi realisti finiti nel dimenticatoio, Luchino Visconti, Pietro Germi, Elio Petri, Francesco Rosi, Mario Monicelli, Ettore Scola, se se, se… È vero, sono una vecchiaccia con tutte le limitazioni dell’età, ma a studiare non rinuncio: insisto a raccomandarlo a tutti, guardateli, studiateli, fatevi possedere dalla loro umanità».

Ci parli del documentario che ha realizzato nel 2019 insieme al fotografo e filmmaker Paolo Pisanelli Due scatole dimenticate. Dopo la presentazione al Festival di Rotterdam, a gennaio di quest’anno, vi preparavate a fare il giro di Festival e rassegne nazionali ed internazionali.
«Nel 1964-‘65 insieme a mio marito, il regista Lino Del Fra abbiamo vissuto per tre mesi nel Vietnam del Nord in guerra con gli U.s.a. per effettuare i sopralluoghi per un film documentario sulla lotta di quel popolo deciso a conquistare l’unità e l’indipendenza. Dalla frontiera con la Cina fino al confine con il Sud, abbiamo esplorato le città, i porti, i paesi, le risaie, i fronti di guerra. In quell’occasione ho realizzato un reportage fotografico, in parte ancora inedito. Dal ritrovamento di quelle fotografie è nato Due scatole dimenticate, un film da camera che racconta di una guerra, della memoria che svanisce, di una sfida contro il tempo che passa. Ora, il Covid.19 ci ha fermato ma ripartiremo più forti che mai perché la memoria non si può fermare».

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE