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L'esultanza della Nazionale

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L’urlo catartico per un Paese piegato da un anno e mezzo di pandemia, che solo nelle ultime settimane comincia a vedere la luce, con tutte le incognite e la necessaria prudenza da mantenere, è arrivato in contemporanea allo stadio di Wembley e in tutt’Italia, dalle piazze delle grandi città fino ai piccoli e grandi cortei di auto spargenti gioia a furia di clacson.

La coppa che il capitano della nazionale, Giorgio Chiellini, ha sollevato dopo la vittoria ai rigori contro l’Inghilterra nella finale dei campionati europei, ha regalato brividi a un popolo che ne aveva bisogno.

Molto al di là della pur vastissima cerchia di chi capisce di pallone e ne segue imprese e quotidianità. Le statistiche, i tabelloni dei campioni europei che dipingono le emozioni di decenni, sono oggi il pane per chi non dimenticherà la sera uggiosa di Londra che s’è tinta di azzurro. I clacson contagiosi, la gioia dei bimbi alla loro prima sfilata gridando dai finestrini gli inni all’Italia vanno oltre la celebrazione di una vittoria storica per una Nazionale che era partita senza alimentare grossissime aspettative. Sarà retorica, o forse no.

Il Paese ne aveva bisogno. Aveva bisogno dello shock emotivo, di un tuffo nella gioia della vita normale. Non che gli altri Paesi non ne avessero. Ma qui entra in campo la percezione che ognuno ha più forte del proprio piccolo mondo, quello della sua comunità, quello di eventi a cui ciascuno attribuisce valenze diverse, ma capaci di creare emozioni, di far sentire la pelle d’oca con la quale si manifesta uno spirito di appartenenza, lo spirito di Paese.

“Campioni d’Europa! Grazie azzurri! Avete scritto una straordinaria pagina di storia, non solo sportiva. Vi aspettiamo a Roma”, ha commentato su Twitter Palazzo Chigi poco dopo il rigore decisivo che ha regalato agli azzurri la finale di Euro 2020. La stessa cosa l’hanno pensata milioni di persone. Anche quelle che fanno i conti con difficoltà vecchie e nuove, anche quelle che non si sono potute permettere neanche pizza e birra per assistere alla finalissima del sogno che s’è realizzato. E che ha loro regalato emozioni. Già, emozioni.

“Orgoglio italiano”, “Grazie, ragazzi…” i flash di personaggi noti e meno noti ci hanno messo davvero poche decine di minuti a saturare i canali social. Esponenti istituzionali, politici, gente che ha da due a migliaia di follower. Gioia comprensibile, persino scontata considerata l’impresa che agli azzurri non riusciva da oltre cinque decenni.

E tra tanto, meritato, grido di elogi e di gioia collettivo, ti torna davanti l’immagine del presidente Mattarella ripreso in qualche frangente dalle telecamere che hanno consentito di seguire la partita. La sobrietà e la gioia, ci insegnano quelle immagini del capo dello Stato, possono coesistere, eccome. Il sorriso e la “stanchezza”, come quella che abbiamo accumulato in questi mesi terribili, anche. Proprio perché la voglia di normalità è tanta.

Ci vuole competenza, esperienza, passione rigorosa per il “pallone” per parlare di superiorità tecnica di questa o quella squadra, di superiorità fisica, di stato di forma, di precisione, di tattica. Eppure, anche a chi non ne è dotato, manco dei rudimenti da semplice appassionato, quel brivido è venuto. E i pugni stretti di Mattarella, a contenere la tensione mentre si calciavano i rigori, rimarranno in mente. Un po’ perché nel marasma delle urla (a parte quelle per la vittoria), abbiamo dentro il bisogno di altro. E anche di quello che la partita di pallone di ieri sera ci ha regalato. I dettagli “tecnici” della bella impresa sportiva li lasciamo a chi se ne intende.

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