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Il neo-pentito Antonio Accorinti racconta 20 anni di dinamiche criminali nel vibonese: parla delle “carrette”, dell’accordo coi Melluso e della dipendenza dalla Locale di Zungri

VIBO VALENTIA – Racconta circa 20 anni di criminalità nel territorio di Briatico. Personaggi, estorsioni, danneggiamenti, alleanze e contrapposizioni tra gruppi e scissioni. Antonio Accorinti, ex rampollo dell’omonima ’ndrina guidata dal padre Nino sta vuotando il sacco alla Dda di Catanzaro. In questi primi tre verbali rilasciati (depositati al processo “Imponimento”) parla appunto delle dinamiche nel centro costiero del Vibonese.  Fino al 2007 aveva avuto un ruolo marginale. Ma aveva comunque deciso di entrare nella struttura criminale dopo l’arresto del padre nell’operazione “Odissea” (risalente a un anno prima).

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E questo lo portò a conoscere pezzi da novanta della galassia ndranghetista vibonese. Tra questi Peppone Accorinti, presunto boss di Zungri, con cui il “padre aveva un rapporto fraterno, alla pari”, Francesco Barbieri (genero di quest’ultimo), Tonino La Rosa, a capo del clan di Tropea, Pasquale Quaranta (referente dei Mancuso su Ricadi), Nazzareno Colace, uomo di Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni”, e ancora Lele Fiamingo, Agostino Papaianni e un uomo di Cessaniti, forse Sorrentino, detto “l’Eremita”. “Tutti venivano anche a mangiare a casa mia”. Il pentito aggiungeva che il “vero boss di Briatico era Giuseppe Bonavita”, ma successivamente ha “capito che a comandare in realtà era mio padre”.

aCCORINTI E LE DINAMICHE CRIMINALI NEL VIBONESE: La struttura briaticese

Non che ci volesse poi molto a comprenderlo, ma anche Accorinti  jr ricorda che a Briatico “esisteva una struttura di criminalità organizzata. Infatti all’epoca era attivo un gruppo molto coeso che gestiva il paese. Oltre che da Giuseppe Bonavita e da mio padre, era composto da Armando Bonavita, Giacomo e Marco Borello, Saverio Prostamo, Salvatore Muggeri e Giuseppe Comito che però non aveva un ruolo di rilievo, non essendo parte della famiglia. Tutti gli altri personaggi che frequentavano mio padre, e che ho indicato sopra, erano comunque appartenenti alla criminalità organizzata, ma attivi in altri comuni della provincia”.

“Ricordo in particolare che Francesco e Antonino Barbieri (il cui figlio è stato da mio padre battezzato) erano i referenti per la zona di Pannaconi. Peppone Accorinti per la zona di Zungri, Nazzareno Colace. Per quella di Portosalvo e Vibo Marina, Raffaele Fiamingo per Rombiolo, Pasquale Quaranta per Santa Domenica di Ricadi e Antonio La Rosa per Tropea”.

Facendo poi un rapido passaggio su una serie di atti intimidatori nei confronti di “tale Cavallaro  che videro coinvolti anche Saverio Prostamo, Salvatore Muggeri e Comito” e l’incendio in un cantiere edile in località “Brace”, nel 2002-2003 col successivo incontro con Antonio Tripodi, Fiamingo e Francesco Mancuso alias “Tabacco” il quale “pretendeva che gli Accorinti pagassero i danni”, il pentito si ha raccontato che  “Ciccio “Tabacco” voleva che mio padre andasse dalla sua parte, ma lui rifiutò, dicendo che lui sarebbe rimasto fedele solo a “Scarpuni”. Fui proprio io a riferire tale risposta a Tabacco”.

La presunta carretta a Nino Accorinti

Secondo le rivelazioni del collaboratore di giustizia Ciccio Barbieri e Francesco Bonavita avrebbero “armato una carretta” nei confronti del padre Nino e l’episodio fu l’incendio di  un garage del proprietario della Baia della Rocchetta, il Marchese Francesco Giuseppe Bisogni. “Mio padre mi disse di  recarmi da Francesco Barbieri che avrebbe risolto la questione il quale mi disse subito che, ad incendiare il garage, era stato  Giuseppe Pugliese di Sciconi e mi suggerì di andargli a sparare. Andai quindi da Francesco Giuseppe Bonavita il quale mi confermò l’identità dell’autore dell’incendio”. Accorinti jr si recò quindi da questa persona la quale negò ogni addebito. Fu lì che lui “capì che i due stavano tramando alle mie spalle. Ma soprattutto alle spalle di mio padre. Sicuramente perché a loro non andava bene il fatto che mio padre fosse cresciuto molto economicamente in quel periodo, escludendo Bonavita dagli affari più remunerativi”.

CRISI CRIMINALI NEL VIBONESE, La famiglia ACCORINTI nel mirino

Gli Accorinti di Briatico erano quindi finiti nel mirino di altre famiglie tant’è che ad un certo punto giravano sempre armati, come dopo il danneggiamento e le cartucceal Club Med di Pizzo (“che noi avevamo contribuito a costruire”).

“Ci  preoccupammo perché intuimmo che stava per accadere qualcosa contro di noi, infatti giravamo sempre armati. A seguito di questi episodi minatori, andai a Nicotera a parlare con Tita Buccafusca (moglie di “Scarpuni”), e  ricordo che c’era il fratello il quale mi assicurò che se la sarebbero vista loro. Quando tornai a Briatico venne da me Bonavita a chiedermi se fosse successo qualcosa ed io, per mettergli paura, gli risposi di essere già andato a parlare a Nicotera. Quella stessa sera lui mi convocò per cercare di capire chi fosse stato a sparare al Club Med. Ci recammo cortile dell’Eden Park dove erano presenti Francesco Barbieri e Nicola Fusca i quali mi chiesero il motivo per cui fossi andato a Nicotera”.

“Quando capirono che anche noi eravamo armati, Barbieri mi tranquillizzò dicendomi di essere amico di mio padre e mi chiese di fare un’azione al Club Med perché “U biondu” (così loro chiamavano Pantaleone Mancuso “Scarpuni”) non avrebbe dovuto intromettersi in questa vicenda in quanto in quel territorio erano competenti altre persone, non mi dissero quali, ma io sapevo che si riferiva agli Anello e ai Vallelunga. Un giorno, incontrai Damiano Vallelunga al Tribunale di Vibo che mi confermò che Luni “u biondu” si stava allargando ingiustificatamente nelle loro zone, tuttavia mi tranquillizzò dicendomi che non ce l’aveva con mio padre che per lui era come un fratello”. Il pentito aggiunge che anche dopo la scarcerazione del padre, sempre nel 2007, sarebbero proseguiti i tentativi di indebolire la famiglia anche con danneggiamenti come quello al Lido “La Rocchetta”.

dINAMICHE CRIMINALI NEL VIBONESE, L’entrata dei Melluso NEL CLAN ACCORINTI

Il pentito ha poi riferito sull’ingresso di nuove figure nel clan come i Melluso (e la contestuale l’uscita di altre), ricordando come agli inizi degli anni 2000, questi non facessero parte del gruppo degli Accorinti ma “erano legati ai Tripodi di Vibo Marina e tramite questi a Francesco Mancuso alias Tabacco. Analoga posizione era all’epoca propria anche della famiglia Niglia che, per quanto ne so,  avevano paura di noi e sicuramente non erano schierati con noi. L’assetto  del mio gruppo, dalla scarcerazione di mio padre, è rimasto sostanzialmente identico con qualche aggiunta, come quella di Marchese. Sino al sequestro del Mulino, sino al 2011, c’era anche Armando Bonavita, che tuttavia rimaneva sempre un po’ in disparte”.

Ma non tutti i componenti della famiglia Accorinti accolsero l’entrata dei Melluso con favore. “Nel 2014, quando feci l’accordo criminale coi gemelli Melluso, mio cugino Giacomo Borello uscì dal gruppo e si trasferì all’estero, Marco invece è passato con Bonavita ma ha continuato sotto banco a riferirmi questioni relative alle dinamiche interne di quel gruppo. Solo Francesco Marchese rimase con me”.

L’ACCORDO STIPULATO IN CAMPAGNA

I due avrebbero stipulato l’accordo nella campagna di Leonardo Melluso “ed io mi recai assieme a Marchese. L’iniziativa di accordarci provenne direttamente da loro.  In quell’occasione decidemmo di creare un gruppo coeso. Tale decisione fu presa da me, dal momento che mio padre, come ho detto, si stava isolando a livello criminale. Si può dire che a partire dal 2011 (con il nuovo arresto di Pantaleone Mancuso) sono io a comandare all’interno del mio gruppo criminale, ad occuparmi dei rapporti con gli altri gruppi criminali, a dare disposizioni agli altri sodali, a controllare attività e territorio”. Un’alleanza che di certo non avrebbe fatto piacere al genitore del collaboratore in quanto gli “ha sempre detto di stare alla larga dai Melluso che lui non stimava affatto”.

La dipendenza dalla Locale di Zungri

I Melluso erano a affiliati a Giuseppe Antonio Accorinti nel periodo tra il 2014 e l’operazione Costa Pulita (2015). Tant’è che “Simone Melluso mi disse nello specifico che lui, suo padre Leonardo, Emanuele, e Carmine e Ferdinando Il Grande di Parghelia erano stati affiliati per la prima volta da Peppone. Successivamente ho appreso, dagli atti di Costa Pulita che gli stessi avevano chiesto anche ai Piscopisani la stessa cosa”. 

“All’epoca mi parve strano che Peppone avesse affiliato quei due gruppi perché, a quanto ne sapevo, questi erano alleati coi Tripodi e pertanto, non so se tale passaggio sia stata una farsa. So, inoltre, che i Niglia e i Romano sono stati affiliati da Accorinti per averlo appreso leggendo gli atti di “Costa Pulita” e perché i Melluso, dopo l’accordo che fecero con me, si misero a parlar male di loro, soprattutto perché si intromettevano nelle estorsioni nel territorio di loro competenza”.

E tutti dipendevano, secondo il collaboratore, da Accorinti in quanto era “il capo della locale di Zungri” tra le strutture criminali del vibonese. Una dipendenza che non era tuttavia gradita da qualcuno, come Simone Melluso il quale, “evidenziando che una parte dei proventi estorsivi doveva andare a Zungri, ragionava sul fatto che Briatico fosse una realtà criminale riconducibile alla “locale” e, quindi, in qualche modo gerarchicamente subordinata, ma secondo loro ciò non poteva comportare che gli zungresi potessero intromettersi sulle estorsioni relative al territorio di Briatico”.

Tuttavia il padre di Accorinti si rapportava con Peppone “alla pari, così come con gli altri, e aveva ed ha tutt’oggi un rapporto fraterno con lui, e dormivano insieme in casa mia. Nell’ultimo periodo Giuseppe Armando Bonavita si è staccato dal gruppo per sottomettersi a Francesco Barbieri. Per cui questi veniva chiamato in causa da Bonavita per dirimere i contrasti tra noi due”.

I rapporti si raffreddano

I rapporti tra Nino e Peppone si raffreddarono, secondo il collaboratore, per colpa di Bonavita. Ciò in quanto, dopo l’uscita dal carcere del secondo, il primo incaricò “Bonavita di recarsi da Peppone per fargli organizzare una cena per andare a mangiare insieme, perché non voleva raggiungerlo al villaggio. Bonavita disse invece ad Accorinti che mio padre non voleva vederlo in quanto si era risentito. A seguito di ciò i rapporti divennero più distaccati”.

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