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La sala parto dell'ospedale Jazzolino di Vibo Valentia

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VIBO VALENTIA – Posizioni archiviate. Il gup Francesca Del Vecchio ha stabilito che non ci sono gli estremi per sostenere l’azione penale in giudizio e così per i 10 medici indagati per la morte di Tiziana Lombardo (che diede alla luce la figlia oggi di sei anni) c’è stato il proscioglimento dell’accusa di omicidio colposo.

Escono di scena, dunque, il primario Oscar Cervadoro (avv.  Antonello Fuscà), la ginecologa Daniela Fusca (avv. Pietro Chiappalone); Pasquale De Bartolis e Antonella D’Alessandro (avv. Michelangelo Miceli);  Salvatore Falcone (Giuseppe Monteleone e Marcella Vangeli); Vincenzo Mangialavori (avv. Sandro Mauro), i ginecologi Marianna Carnovale (avv. Giuseppe Orecchio) e Tommaso Sirgiovanni (avv. Walter Franzé e Francesco Palmieri).

Il tutto è spiegato nelle quattro pagine del decreto di archiviazione nel quale si mette in evidenza come «le risultanze probatorie in atti non appaiono idonee a sostenere l’imputazione coatta o ad accogliere le richieste avanzate dalla persona offesa in merito alle ulteriori indagine da esperire». Nel 2019, infatti, la Procura di Vibo aveva già avanzato la richiesta di proscioglimento ma la famiglia della vittima – morta per le complicazioni post parto – si era opposta per il tramite degli avvocati Francesco Ruffa e Giuseppe Catalano. La questione era, quindi, stata ridiscussa e ieri c’è stato il verdetto.

Una vicenda tragica nella quale hanno avuto un ruolo dirimente le perizie medico-legali ed è proprio su queste che si è focalizzata l’attenzione del magistrato rilevando che, per come emerso dalla consulenza, «il trasferimento in sala operatoria della paziente doveva avvenire in tempi sensibilmente più rapidi rispetto all’orario di entrata, concretamente avvenuto» tuttavia, allo stesso tempo, «non può trascurarsi la difficoltà diagnostica della patologia che ha cagionato la morte della Lombardo. Infatti, la rottura dell’aneurisma dell’arteria splenica, riconducibile allo stato di iperestrogenismo gravidico, determina un’emorragia di difficile identificazione e correzione chirurgica, sia per le dimensioni della rottura (1,2 cm di circonferenza) che per la localizzazione (in prossimità dell’ilo)».

Pertanto, secondo il gup, anche a fronte di eventuali comportamenti colposi posti in essere dai sanitari, «non può comunque prescindersi dall’accertamento circa la sussistenza del nesso eziologico tra la condotta e l’evento». La rapida e urgente attuazione delle procedure mediche indicate dal marito della Lombardo, «non avrebbe comunque, oltre ogni ragionevole dubbio, scongiurato o quantomeno ritardato il decesso della stessa. Per giunta, non è neanche possibile stabilire con certezza a quale degli indagati siano ascrivibili le condotte colpose, omissive e dilatorie».

In particolare, dalle risultanze probatorie, «non si può individuare con chiarezza il momento preciso in cui il ritardo diagnostico e terapeutico, che ha comportato la procrastinazione dell’intervento chirurgico, si sia verificato e, di conseguenza, gli effettivi responsabili dello stesso. Pertanto, anche la richiesta dell’opponente di allargare l’indagine ad altri soggetti, sembra più attinente ad una chiamata in causa della struttura ospedaliera piuttosto che dell’équipe medica, giudizio, anche questo, confacente all’ambito civilistico».

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