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L’obesità non è una colpa anche se spesso viene percepita come tale, con gravi danni fisici e psicologici per chi soffre il peso del pregiudizio. A lanciare l’allarme sono oltre 150 organizzazioni mediche e scientifiche – fra cui prestigiose università e ospedali di fama mondiale – in una dichiarazione congiunta comparsa oggi sulla rivista Nature Medicine in occasione della Giornata mondiale dedicata a questa patologia.

Il documento è il frutto di una conferenza internazionale diretta dal prof. Francesco Rubino del King’s College di Londra e organizzata dalla Federazione mondiale per l’obesità, dall’Associazione americana per il diabete, dall’Associazione americana degli endocrinologici clinici, dall’Associazione americana di chirurgia bariatrica e metabolica, dall’Associazione europea per gli studi sull’obesità, dalla Federazione internazionale di chirurgia dell’obesità e dei disordini alimentari, dalla Coalizione per l’azione sull’obesità e da Diabetes Uk, Obesity Canada e Obesity Society. Il gotha, in sostanza, della comunità scientifica impegnata nel contrasto a una delle principali cause di morte nei Paesi più sviluppati, vista la correlazione con le malattie cardiovascolari e, persino, alcune forme di cancro.

L’obiettivo della dichiarazione, tuttavia, in questo caso è un altro: spazzare via i luoghi comuni sull’obesità – frutto della peggiore narrativa popolare – per far spazio alla verità scientifica. «I pazienti con obesità sono spesso considerati, senza alcuna evidenza scientifica, come pigri, golosi, mentre in realtà le cause della epidemia di obesità sono molto più complesse e riconoscono molteplici fattori largamente indipendenti dalle scelte personali – spiega il prof Rubino – Ridurre l’obesità a un mero problema di stile di vita è in larga parte la causa del fatto che dopo 4 decenni di epidemia, non riusciamo ancora a venirne a capo».

Secondo Rebecca Puhl, vicedirettrice del Ruud Center for Food Policy & Obesity dell’Università del Connecticut, Usa lo stigma basato sul peso corporeo è un problema che si manifesta «in ogni settore della nostra società, incluso quello sanitario. Per cui è fondamentale che gli sforzi per affrontarlo includano il supporto e l’azione della comunità medica». A fomentare la discriminazione, poi, è anche la rappresentazione mediatica dell’obesità. Agli operatori della comunicazione viene, dunque, chiesto di affrontare il problema in modo corretto, rifuggendo da pericolosi cliché. Stessa cautela si raccomanda alle autorità sanitarie nazionali che portano avanti campagne per il contrasto al fenomeno, spesso utilizzando “approcci stigmatizzanti”.

Il pregiudizio, sottolineano gli studiosi, si basa «sul presupposto, non dimostrato, che l’obesità derivi dalla mancanza di autodisciplina e da responsabilità personale». Tale rappresentazione, tuttavia, «non è coerente con le attuali prove scientifiche, le quali dimostrano che la regolazione del peso corporeo non dipende totalmente dal controllo volontario ma anche da fattori biologici, genetici e ambientali». Al contrario evidenze frutto di accurati studi dimostrano che lo stigma associato al peso può causare «danni sia fisici che piscologici e ridurre le probabilità di guarigione delle persone interessate». Le quali, oltretutto, vanno incontro a veri e propri episodi discriminatori nei diversi contesti sociali, dalla scuola, al posto di lavoro, agli ospedali.

«La storia ci porta esempi come quelli della peste, del colera e dell’Aids, nei quali lo stigma ha interferito negli sforzi della sanità pubblica per contrastare l’epidemia – conclude Rubino – Le iniziative volte a combattere lo stigma e l’esclusione sociale erano tanto importanti ai tempi quanto lo sono ora».


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