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Il titolo di Tim perde quasi il 24%: dietro lo scivolone in borsa il sospetto dell’ombra dei francesi di Vivendi

COME previsto la Bce ha lasciato i tassi invariati. Tuttavia, sono state gettate le basi per un potenziale taglio a giugno. Nella conferenza stampa che ha fatto seguito alla riunione del direttivo Christine Lagarde ha sottolineato che la decisione è stata unanime. Una tregua tra “falchi” e “colombe” è stata accuratamente negoziata: oggi non si è parlato di tagli, ma le discussioni sono ufficialmente rimandate a giugno, una mediazione che bilancia la posizione radicale dei Paesi contrari ai tagli e quella delle “colombe” che vorrebbero tagli subito.

Questa decisione riflette la posizione recentemente espressa da Powell: “Non c’è fretta di tagliare i tassi”, ma per i mercati la vera notizia della giornata è il crollo in Borsa del titolo Tim. Il titolo perde quasi il 24% nel giorno della presentazione del piano industriale. Con scambi boom pari a 12 volte la media. Ma è soprattutto l’accelerazione finale che insospettisce il management e la Consob. All’origine del crollo c’è una presunta debolezza del piano industriale. Fra tre anni Tim vuole arrivare a un rapporto tra debito ed ebitda di 1,6-1,7 volte e tornare così finalmente a distribuire il dividendo. Agli analisti i conti non tornano, perché non è stato ben spiegato che davanti ci sono ancora 6 mesi, quanto manca per arrivare al closing della vendita della rete alla cordata guidata da Kkr. In questo intervallo di tempo il gruppo continuerà a “bruciare” cassa. Così a Piazza Affari scatta il panic selling, il mercato pensa che il piano sia troppo ambizioso e il titolo precipita tornando a 0,21 euro. Lo stesso livello da cui era partito alla fine del 2022. Per l’amministratore delegato Pietro Labriola si tratta di una sconfitta sanguinosa. Il suo piano industriale è stato respinto dalla Borsa.

Che farà adesso? Cerca di spiegare quello che è successo ma avanza forti sospetti sulla dinamica del crollo. “Dobbiamo spiegare meglio alcune tematiche relative ai numeri -dice- Il gruppo torna a generare cassa a livello domestico già dal 2025, ci sono tutta una serie di possibilità di migliorare anche per una remunerazione per gli azionisti. Quindi tutti i tasselli ci sono, dobbiamo cercare di capire – ha aggiunto Labriola – che cosa non è stato compreso o altri fenomeni meno di carattere organico perché, ripeto, il volume di transazioni è particolarmente alto”. Da qui i sospetti. “Il lavoro di due anni sembra non sia stato percepito: mi pongo il problema di comprendere cosa non è stato compreso o se c’è stato qualcosa d’altro”.

A che cosa allude Labriola? Non è semplice da capire ma alcuni pezzi si possono mettere a posto. A cominciare dal fatto che fra poco più di un mese ci sarà l’assemblea per il rinnovo del consiglio d’amministrazione. Labriola ovviamente punta alla riconferma attraverso la lista guidata da Alberta Figari come presidente. La reazione della Borsa al piano presentato ieri potrebbe indebolire la posizione di Labriola. Come sviluppare un piano industriale così vistosamente bocciato dal mercato? L’eventuale passo indietro dell’amministratore delegato sarebbe molto gradito a Vivendi che, pur essendo l’azionista di maggioranza relativa non ha più possibilità di intervento sulle scelte dell’azienda avendo fatto dimettere tutti i suoi consiglieri. I francesi sono contrari allo scorporo della rete e probabilmente all’assemblea di aprile appoggeranno una lista alternativa. Stanno cercando in tutti i modi di bloccare l’operazione come dimostrano i ricorsi al tribunale. Né possono essere molto dispiaciuti per il terremoto di ieri sul titolo Tim in Borsa, tanto più che ormai non hanno più nulla da perdere.

Dal bilancio presentato ieri a Parigi emerge che Vivendi ha svalutato la partecipazione in Tim di 1,34 miliardi e dunque la quota è azzerata. Qualunque cosa accadrà da ora in avanti non avrà più impatti sul bilancio della holding del gruppo Bollorè. A questo punto sul titolo non sembra più avere un paracadute.


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