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Dazi, Pechino promette di combattere «fino alla fine» le tariffe. Anche l’Europa studia le contromosse, ipotesi “bazooka”


Donald Trump non lascia e raddoppia. Forse è il suo passato di ex proprietario di casinò, a influenzare la strategia del presidente americano, ma resta il fatto che la Casa Bianca sotto la sua leadership resta decisa a rilanciare lo scontro con la Cina, a costo di farlo degenerare in un’autentica guerra commerciale generale. Washington ha infatti autorizzato il lancio di dazi aggiuntivi del 50% contro tutte le merci cinesi a partire da oggi, mercoledì 9 aprile.

DAZI AGGIUNTIVI

L’intervento segue una lunga escalation tra le due superpotenze: dopo il suo insediamento nello Studio ovale lo scorso 20 gennaio, Trump aveva infatti imposto dei primi dazi contro la Cina pari al 20% del valore delle merci interessate, ma allora Pechino aveva in larga parte preferito assumere una posizione attendista per valutare le mosse della nuova amministrazione.

Poi mercoledì scorso, 2 aprile, il leader statunitense ha annunciato in pompa magna il suo “Liberation day” fatto di dazi commerciali generali che hanno interessato 185 Paesi del mondo su 195.

I DAZI AGGIUNTIVO ALLA CINA

La Cina è stata colpita da un dazio aggiuntivo del 34%, ma stavolta Pechino non è rimasta a guardare e venerdì ha replicato applicando dei contro-dazi di identico valore contro le merci americane, oltre a varare misure che vanno a colpire l’accesso delle aziende americane al mercato più grande del mondo (si va dalle limitazioni alle esportazioni di terre rare, fondamentali per la produzione di microchip, al blocco delle proiezione di film statunitensi in Cina). Unica potenza finora ad aver varato dei dazi di rappresaglia, Pechino ha definito infatti le azioni della Casa Bianca come un puro e semplice «bullismo economico», con l’obiettivo di imporre un’egemonia politico-economica globale motivata da interessi esclusivamente egoistici.

LA SCELTA CINESE

La scelta cinese di andare allo scontro ha colto di sorpresa anche un navigato affarista come Trump, che aveva evidentemente scommesso su una reazione più abbozzata.

Il presidente americano ha criticato il suo omologo cinese Xi Jinping per la reazione a suo dire scomposta e quindi ha lanciato un ultimatum: Pechino avrebbe dovuto ritirare tutti i suoi dazi oppure gli Stati Uniti avrebbero risposto con un nuovo dazio, che avrebbe fatto lievitare il valore complessivo delle misure americane a un vertiginoso 104% del valore delle merci colpite, in pratica un’autentica tagliola doganale. Niente da fare: la Cina ieri mattina, martedì 8 aprile, ha fatto sapere di non essere disponibile ad accettare «i ricatti» di Trump. Provocando nuovamente l’ira del presidente, che ha scatenato la rappresaglia promessa.

L’EUROPA


Ma la Cina non è il solo Paese a discutere la propria strategia contro i dazi trumpisti. Anche l’Europa infatti è stata colpita dalle misure del tycoon, seppur a un livello inferiore (20%). Proprio oggi i governi degli Stati membri voteranno infatti sul piano di risposta presentato dalla Commissione europea, che prevede l’istituzione di un dazio del 25% su una lista di prodotti importati dagli Stati Uniti, in particolare prodotti agroalimentari, tabacco, ferro, acciaio, alluminio, componenti per auto, veicoli e navi e prodotti tessili di varia natura. L’auspicio è che la ritorsione, pur contenuta, induca la Casa Bianca a rivedere la propria strategia e ad accettare un negoziato commerciale tra le due sponde dell’Atlantico.

LE MISURE

Ma alcuni Paesi starebbero spingendo per l’adozione di misure più incisive, in particolare impiegando lo Strumento europeo anti-coercizione (Anti-Coercion Instrument, ACI). Adottato nel 2023, l’ACI rappresenta la risposta continentale alle crescenti campagne di coercizione economica nonché una forma di deterrenza contro questo genere di minacce.

RICATTO SANZIONATORIO DI TRUMP

Il ricatto sanzionatorio trumpiano rappresenta esattamente il tipo di pericolo per cui è stato pensato l’ACI, il quale – in caso di attivazione – conferirebbe alla Commissione il potere di imporre restrizioni allo Stato aggressore in particolare a livello di accesso al mercato europeo, investimenti esteri, circolazione di beni e servizi, operazioni finanziarie, aspetti dei diritti di proprietà intellettuale, controlli sulle esportazioni e via dicendo.

LE BIG TECH AMERICANE

Potrebbe essere usato per esempio per colpire le “Big Tech” americane, sia sotto il profilo fiscale sia su quello regolatrice (dall’anti-trust ai regolamenti sul trattamento dei dati).

Parigi vede nello Strumento anti-coercizione la leva giusta per colpire gli Stati Uniti laddove fa più male, ovvero sia al portafogli, con un duplice obiettivo: da un lato segnalare a Washington che l’Europa è unita e pronta a contrastare i suoi disegni di egemonia economica; dall’altro acuire le divisioni in seno allo stesso governo americano, in particolare tra Trump stesso e i suoi alleati delle Big Tech, tra cui lo stesso Elon Musk.

I magnati dell’high tech hanno tutti manifestato, chi più, chi meno, la propria insofferenza verso i dazi trumpiani, nell’evidente timore che ritorsioni commerciali estese possano colpire le loro attività.
Se però i contro-dazi e persino il “bazooka” non dovessero bastare, l’Europa potrebbe essere costretta a cercare nuove strade, magari proprio in asse con Pechino. Per esempio toccando un tasto estremamente dolente per Washington, vale a dire il debito.

IL DEBITO PUBBLICO AMERICANO

Gli Stati Uniti possiedono infatti il più grande debito pubblico del mondo, che nel 2023 ha sfondato quota 33.000 miliardi di dollari. Trump ha usato proprio il timore per il debito fuori controllo per motivare la sua campagna protezionista, sostenendo – senza alcun fondamento – che gli introiti dei dazi serviranno a coprire i molti debiti del governo federale. Sui 33 trilioni di dollari in titoli di Stato emessi dal Tesoro americano, circa 8.5 sono in mano a Paesi stranieri. Di questi, la Cina possiede circa un trilione di titoli americani, mentre la somma dei titoli detenuti dalle sole Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo è pari a non meno di 1.2 trilioni.

CONTRO-MISURA RADICALE

Una vendita allo scoperto anche solo di una frazione dei titoli americani detenuti dai loro possessori europei e cinesi, in una condizione finanziaria già volatile, provocherebbe un terremoto difficilmente quantificabile ma che verosimilmente colpirebbe duramente il Tesoro statunitense facendo precipitare il valore del Dollaro a livelli estremamente negativi.

Si tratterebbe di una contro-misura radicale, da ultima spiaggia, contemplabile soltanto nel caso in cui l’economia globale sia già deragliata in direzione di una recessione generale e Washington apparisse decisa a continuare una guerra economica totale con l’obiettivo di disarticolare l’Europa e la Cina.

Da un frequentatore del tavolo da poker, insomma, Trump farebbe meglio a ricordare che il giocatore più pericoloso è quello che non ha più niente da perdere.

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