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Le “metastasi” di un circuito velenoso inserito nella circolazione sanguigna della spesa pubblica italiana sono pericolosamente ramificate e non salvano neppure i cervelli del futuro.

Non è più tollerabile che si continui a fare finta di niente girandosi
dall’altra parte facendo finta di non avere visto o di non capire. Siamo arrivati al punto che non solo le risorse pubbliche sono “pre-sequestrate” dalle Regioni del Nord a spese di quelle del Sud per le infrastrutture di sviluppo e per tutto ciò che attiene ai diritti di cittadinanza come scuola, sanità e trasporti, ma addirittura si decide a tavolino che gli atenei universitari delle aree ricche del Paese possono assumere tre professori ogni uno che lascia mentre al Sud non possono neppure sostituire il docente che va in pensione.

Se si vuole che le Italie siano due e si opera perché sia sempre più così togliendo a una parte e regalando all’altra, si abbia almeno la decenza di separare i destini in tutto e per tutto. Perché se la Regione Veneto può assumere e pagare a spese dello Stato 16 mila addetti in più nella sanità della Regione Campania con un milione di popolazione in meno, è doveroso che proceda almeno con le proprie risorse, con le tasse dei propri cittadini, e non con la spesa pubblica allargata che appartiene all’intera collettività italiana e va ripartita su base regionale secondo il criterio della popolazione. Se la Regione Piemonte per gli stessi servizi generali offerti dalla Regione Campania spende quasi cinque volte di più con un milione e mezzo di abitanti in meno siamo alla fine conclamata dello Stato unitario e si aprono scenari inquietanti sulle responsabilità di chi ha guidato la Conferenza Stato-Regioni e sull’arroganza istituzionale delle Regioni privilegiate che hanno perfino negato l’applicazione del dettato costituzionale rifiutandosi di dare vita al Fondo di perequazione.

Questa vergogna delle vergogne che equivale a uno scippo di oltre 60 miliardi di euro l’anno, ancorché parzialmente legittimata sul piano costituzionale dal trucco della spesa storica inserito con destrezza nella legge Calderoli del 2009, appartiene alle follie regressive di un Paese che ha scelto la strada miope di una secessione strisciante, all’italiana, senza neppure rendersi conto a quale distruzione di valore questo processo avrebbe condotto nelle regioni ricche e in quelle povere.

In questo processo di auto-dissoluzione si vogliono ora scalare anche le cattedre universitarie meridionali del futuro facendo salire le “metastasi” del furto organizzato di risorse fino al cervello del Paese di domani. Basta, questo è veramente troppo! Ha fatto bene il ministro per il Mezzogiorno, Giuseppe Provenzano, a fare sentire la sua voce forte e chiara (LEGGI).

Come ripetiamo dal primo giorno di uscita di questo giornale l’operazione verità è la base ineliminabile di un disegno finalmente condiviso di crescita dell’Italia intera. L’unico possibile nell’interesse del Nord prima ancora che del Sud come dimostra il fatto che sono gli unici due territori europei che non hanno ancora recuperato i livelli pre-crisi.

Il nostro “Manifesto per l’Italia – dal Sud al Nord” pone all’attenzione di tutti una cosa di assoluto buon senso: fare correre al massimo il Nord produttivo, ma interrompere l’imponente flusso di risorse pubbliche assistenziali a esso indebitamente regalate per fare subito infrastrutture di sviluppo e finanziare la crescita degli atenei, la ricerca e l’innovazione, nel Mezzogiorno. Questa è la vera, unica manovra di sviluppo di cui il Paese ha vitale bisogno alla voce fare. Presidente del consiglio, ministri del Tesoro e del Mezzogiorno si impegnino a quantificare le risorse non assistenziali da destinare al Sud e, soprattutto, si applichino per definire modalità di intervento che consentano di uscire dalla palude dell’immobilismo guidando il processo dal centro e stimolando virtuosamente le amministrazioni locali.

Il resto è solo galleggiamento, non dico che non bisogna occuparsene, perché è necessario evitare sfracelli sempre incombenti. La svolta, però, è un’altra, passa dall’operazione verità e dalle scuse pubbliche almeno dei governatori di Lombardia e Veneto ai loro cittadini con i quali devono avere il coraggio di dire che hanno mentito. Prima lo fanno, prima dicono la verità, meglio è. Possono ancora essere perdonati, dopo non sarà più possibile.


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