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Giuseppe Conte

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Si arriva al momento di svolta con un esecutivo mai così debole. Non sono d’accordo su nulla, discutono su commissari, task force, assunzioni e strutture piramidali, ma non tra di loro su che cosa fare. Sul Recovery Plan servono idee strategiche chiare e condivise (la coesione sopra tutte) e una mano ferma che deve agire prima che ti tirino via i soldi. Purtroppo la verità è che sono tenuti in vita tutti insieme dalla potenza del vinavil che li lega alla poltrona. Non puoi dire in Europa tutto bello e mi prendo il Recovery Plan e poi ti rimetti a discutere sul Mes dopo che hai detto sempre sì

Abbiamo passato mesi a ripetere che il metodo di lavoro adottato per il Recovery Plan italiano era sbagliato. Abbiamo espresso tutta la nostra preoccupazione perché le cose andavano nella direzione opposta a quella giusta. Se non decidete voi dal centro e se non aprite un dibattito pubblico sulle priorità dentro il governo, siete dei pazzi. Perché quando si chiede il contributo di Regioni, Province, Comuni, di rappresentanze parlamentari e, cioè, di soggetti che hanno tutti forza politica e che hanno l’esigenza di impacchettare tutto ciò che è impacchettabile per ottenere consenso, è normale che ti ritrovi con domande per seicento miliardi e tu ne hai a disposizione duecento.

Per cui giocoforza la ragione politica fa prevalere la tentazione di distribuire questi duecento miliardi un po’ a tizio un po’ a caio un altro po’ a altri ancora. Di fatto anche se individui correttamente le missioni e fai i salti mortali per inquadrare questo qui questo là, ti ritrovi a fare una distribuzione non compatibile con una prospettiva di sviluppo. Invece, all’opposto, servono idee strategiche chiare e condivise (la coesione sopra tutte) e una mano ferma che deve agire dal centro prima che ti tirino via i soldi. Perché, sia chiaro, se anche come crediamo non ci scappa l’incidente e il governo continuerà a galleggiare, la possibilità di scoprire molto presto che si sono fatti i conti senza l’oste e che ci hanno tolto i soldi non è affatto accademica.

Non vogliamo mancare di rispetto a nessuno ma il nuovo piano Marshall italiano non può che essere quello che l’Europa ci chiede. Pochi grandi progetti di interventi infrastrutturali immateriali (banda larga, scuola, università, ambiente) e materiali (treni veloci, porti, perché no Ponte sullo Stretto) che riunifichino le due Italie collocando integralmente gli 83 miliardi a fondo perduto su questo tipo di interventi nel Mezzogiorno e nei Sud del Nord. Altro grande progetto un mega piano di Incentivi 4.0 che allarghi le aree di applicazione e presidi la manifattura di qualità che appartiene al nostro passato ma è anche l’avanguardia tecnologica del nostro futuro. Nel primo come nel secondo caso un confronto fattuale con imprese e sindacati, non una concertazione fuori dal tempo e dalla storia, non avrebbe guastato.

Purtroppo, si arriva al momento di svolta con un governo mai così debole. Non sono d’accordo su nulla, discutono su commissari, task force, assunzioni e strutture piramidali, sul mancato coinvolgimento delle forze politiche di maggioranza sul famoso “che cosa” tenuto a tutti nascosto o anticipato alla stampa in incomprensibili monosillabi che sono, però, sufficienti a incendiare il dibattito politico sempre dentro la maggioranza. La verità è che sono tenuti in vita tutti insieme dalla potenza del vinavil che li lega alla poltrona che non potrebbero più avere con nuove elezioni a causa del taglio drastico dei parlamentari.

Siamo sempre fermi alla polemica quotidiana su aspetti procedimentali e di potere (chi gestisce cosa) e a nessun tipo di confronto pubblico su che cosa fare. Tanto è vero che appena il presidente del Consiglio ha detto presentiamo un budget, sono insorti i capi delegazione dei partiti della coalizione di governo. Come ti permetti! Che cosa dici, se non ne abbiamo mai discusso prima?

Tutto questo alla vigilia del consiglio dei ministri che dovrebbe varare il Piano e che, al di là delle approvazioni formali, invece difficilmente arriverà prima di febbraio. Almeno se si vuole capire che cosa c’è davvero sotto i titoloni, di che cosa stiamo concretamente parlando. Anche sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes) il litigio è totale per cui c’è quel filo sottile che sempre via vinavil può tenere in vita il governo approvando il nuovo trattato Mes senza vederci dentro e guardandosi bene ovviamente dal chiedere il prestito senza condizionalità per la sanità.

Tra ambizione dichiarata e condizione reale i fatti sono quelli di una maggioranza che non ha una linea propria sull’Europa e che si presenterà così al Consiglio europeo di giovedì sotto osservazione sui due soli temi veri. Il primo è il Recovery Plan di cui siamo in assoluto i maggiori beneficiari e che sarà frutto di nuovo debito comune. Il secondo è il varo della riforma del Meccanismo europeo di stabilità su cui si possono (anzi si devono) sottolineare contraddizioni e limiti, ma che noi dobbiamo vivere come un salvavita di cui non avremo mai bisogno. Politicamente lo capisce anche un bambino che non puoi dire tutto bello e mi prendo tutto il primo punto e poi ti rimetti a discutere il secondo dopo che hai detto sempre sì. La prima volta che si mettono tutti insieme e fanno debito comune soprattutto proprio per aiutare noi, non ha alcuna dignità politica la posizione sovranista italiana che diventa europeista per prendersi i soldi del Recovery Fund e torna venezuelana per dire no a olandesi e austriaci sul Mes.

Faremmo bene a ricordarci che non possiamo sapere che cosa farà l’Europa davanti alla nostra crisi. Faremmo bene a ricordarci che c’è una spaccatura in Europa tra chi (Germania, Francia) pensa che deve ripartire l’Italia altrimenti non riparte l’Europa e chi non la pensa così come le economie della finanza e delle assicurazioni tipo Olanda e Austria. Sono più piccoli ma abbastanza ricchi e continuano a ritenere che, tutto sommato, avere un competitore in meno per di più poco affidabile come l’Italia a loro non dispiace. Per questi Paesi un’Italia che è a fianco di Germania e Francia alla guida dell’Europa scombina il gioco. Meglio averci più deboli e litigiosi e, quindi, più ricattabili.

Non sappiamo come dirlo ma se vogliamo ambire a dare all’Italia il ruolo che merita dobbiamo azzerare la logica di un pezzo a te un pezzo a me, assumere la responsabilità politica di indicare nella riunificazione delle due Italie il progetto di sviluppo europeo del Paese, farlo condividere e attuarlo con tempi che non siamo mai stati capaci di rispettare. Bisogna prendere atto che non si è alla guida del villaggio ma di una società complessa e non si può continuare con le fughe in avanti per nascondere tutto sotto il tappeto. Non si può farlo in generale. A maggior ragione, con il Recovery Plan. Che, per noi, è l’ultima chiamata.


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