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Claudio Descalzi

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Draghi è il leader politico europeo che sceglie prima di tutti la strada dell’Africa per ridurre l’impatto che la guerra lunga produce sui conti delle imprese e delle famiglie italiane a causa dell’abnorme dipendenza dal gas e dal petrolio russi. La storia assegna a Descalzi e all’Eni di oggi il ruolo strategico per il paese che fu di Enrico Mattei e dell’Eni nel Dopoguerra. Descalzi è di certo il custode più informato di quei territori, visto che è un uomo che conosce i pozzi africani a uno a uno. Oggi come allora si riparte dall’Algeria dove abbiamo un canale di collegamento già aperto, proprio grazie a Mattei, e che bisogna riempirlo di altri 9/10 miliardi di metri cubi di gas, sapendo in partenza che per farlo bisogna prima andare a trovare il gas trivellando, scavando e investendo

La storia non è un algoritmo. Avere oggi Draghi e Descalzi, su piani diversi, a rappresentare l’Italia nello scacchiere energetico internazionale della lunga guerra è un vantaggio competitivo che non ci possiamo permettere di perdere. È Draghi che si inventa il marchingegno finanziario per fare l’unica sanzione economica che ha fatto davvero male alla Russia e, cioè, il congelamento delle riserve estere della banca centrale. È sempre Draghi il leader politico europeo che sceglie prima di tutti la strada dell’Africa per ridurre l’impatto che la guerra lunga produce sui conti delle imprese e delle famiglie italiane a causa dell’abnorme dipendenza dal gas e dal petrolio russi.

La storia assegna Descalzi e all’Eni di oggi il ruolo strategico per il Paese che fu di Enrico Mattei e dell’Eni nel Dopoguerra. Oggi come allora si riparte dall’Algeria dove abbiamo un canale di collegamento già aperto, proprio grazie a Mattei, e che bisogna riempirlo di altri 9/10 miliardi di metri cubi di gas, sapendo in partenza che per farlo bisogna prima andare a trovare il gas trivellando, scavando e investendo. Che ci vuole un po’ di tempo.

L’Algeria è il nostro primo partner commerciale in Africa. Arrivare qui prima della Francia può essere l’inizio di un cammino di ragionevolezza che permetta all’Europa di compiere il percorso inverso che Sarkozy costrinse a fare con la Libia agli americani e agli europei producendo gli effetti disastrosi che sono sotto gli occhi di tutti. I presupposti di oggi sono totalmente differenti se è vero, come vero, che ci impegniamo, tra le altre cose, a attuare una joint venture tra i due Paesi che consenta di fare investimenti importanti nell’idrogeno e nelle fonti rinnovabili in Algeria. Abbiamo altre teste e un’altra visione delle alleanze.

La pista africana è stata quella che Romano Prodi con lungimiranza ha sempre indicato per la strategicità di investire sul continente più povero ma anche per fare dell’Italia la porta dell’accesso all’Europa dell’energia e per diventare noi stessi motori della rinascita del Mediterraneo e della crescita dell’Africa. Era il sogno di La Pira, il sindaco santo di Firenze, che scontrandosi con la Francia coloniale aveva visto proprio nell’Algeria uno dei luoghi tipici di dialogo e di sviluppo per noi e per loro.

Anche solo pensare che questo primo passo importantissimo compiuto sia la soluzione del nostro problema di dipendenza energetica nel breve termine è pura follia. Perché gli investimenti hanno bisogno di tempo e il vincolo di dipendenza con la Russia è molto forte, oltre il 40% del gas che importiamo. Per questo giornale, però, è motivo di grande soddisfazione che sia il Sud del mondo il passaggio obbligato perché l’Occidente si affranchi nella sua dipendenza energetica da chi ha invaso l’Ucraina macchiandosi di crimini di guerra.

È anche la conferma della miopia franco-tedesca di cui Descalzi è di certo il custode più informato, visto che è un uomo che conosce i pozzi africani a uno a uno, ne ha scoperti una decina tra Egitto, Mozambico, Algeria, Libia, Ghana, Gabon, Congo, Angola, e ha portato l’ENI a essere il primo operatore energetico nel continente del futuro. È stato Descalzi a difendere e consolidare il fortino libico, ma conosce come pochi uomini, fatti e segreti di Gazprom e delle grandi manovre societarie europee ed è stato il primo in tempi non sospetti a porre il problema di una grande differenza di trattamento tra nord e sud nei rapporti con la Russia.

Nel suo ufficio, all’ultimo piano del palazzo di vetro dell’ENI, Descalzi un po’ di tempo fa mi disse cha a bloccare il gasdotto del sud fu la politica, che bloccò noi, e fece due gasdotti in Germania voluti da francesi e tedeschi. Ricordo, a mente, le parole: a permettere tutto ciò non sono solo le società, ma le stesse nazioni; francamente mi sembra troppo dire che tutto ciò è stato fatto contro l’Italia, perché c’eravamo mossi per primi e davamo fastidio, ma è oggettivamente molto strano quello che è accaduto in Europa. A noi non lasciano fare le condotte per andare in Turchia e mettere i tubi che servono per collegare l’Italia al Mediterraneo e ai giacimenti che abbiamo scoperto e pagato noi a uno a uno mentre loro tedeschi e francesi fanno affari con Putin, fanno due gasdotti nuovi e ci tengono fuori dalla porta. Questo mi disse all’epoca Descalzi ed ecco perché ci permettiamo di consigliare ai partiti di fare lavorare in pace il nuovo De Gasperi e il nuovo Mattei. In Europa e in Africa. Per salvare davvero l’interesse italiano altre strade non esistono.


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