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Mario Draghi e Patrizio Bianchi

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Il ministro Bianchi aveva sei riforme da fare e 17,1 miliardi da investire per innovare la scuola italiana con i soldi europei del Pnrr. Sono sei pilastri di un unicum riformatore diventato realtà. Sarebbe bene che la destra e la sinistra – i nuovi populisti disinnescati e frammentati non fanno più testo – prendessero impegni pubblici su questo percorso. Sarebbe un atto di onestà nei confronti degli elettori e il segno più evidente del cambiamento dell’Italia. I grandi Paesi e le grandi economie occidentali hanno vissuto le loro stagioni migliori quando la politica liberale, cattolica, socialista, conservatrice ha saputo mettere al centro della sua azione l’interesse generale che coincide con la continuità nel processo riformatore. È in questa continuità che si esprime al massimo livello la politica. Quella che ricomincia sempre daccapo rinuncia al suo ruolo e distrugge il futuro degli italiani.

Per capire la rilevanza del solco tracciato nel processo riformatore dal governo di unità nazionale guidato da Draghi può essere utile partire dalla scuola perché il capitale umano è il bene più prezioso che ha un Paese. Su richiesta della Commissione europea che chiede giustamente per i docenti italiani carriere meritocratiche si è inserita la nuova norma sulla figura del docente esperto. È un percorso di lungo termine che ruota intorno a tre piani di formazione triennale con tre distinte valutazioni che, una volta superate, attribuisce al docente cinquemila euro in più in busta paga. Il metodo Draghi significa che la norma meritocratica si fa, che il Consiglio dei ministri l’approva e che il Parlamento si prende le sue responsabilità.

Perché se si vuole sfidare la Commissione europea quando ci chiede quello che noi da almeno trent’anni avremmo dovuto fare di nostro, vuol dire che il Paese è girato all’incontrario e non si può salvare. Si parte su un numero più ristretto di docenti che si allargherà gradualmente, l’arco di interventi arriverà fino al 2031, i criteri di dettaglio sono demandati alla contrattazione nazionale.

È evidente che se si ha qualcosa da dire anche su scelte simili così accorte, siamo di fronte alle tenebre più oscure. Vuol dire che siamo al populismo di chi sostiene che l’unico criterio deve essere solo l’anzianità, oppure dice che “io non voglio fare carriera, ma nemmeno chi mi è a fianco la deve fare”. Se dovesse vincere questa logica, ma non vincerà, significherebbe che agli attori sociali italiani manca totalmente il senso profondo del ruolo dello Stato in un’economia aperta.

Siamo alla solita logica della bandierina, io la piazzo qui e tu devi passare da qui. Il processo riformatore compiuto messo in moto da Draghi indica dei binari ben precisi dentro i quali passa un treno che libera l’Italia dai guasti combinati del bipolarismo della lunga stagione della stagnazione e del populismo che è la risposta sbagliata ai guasti prodotti dalla paralisi decisionale e dalla cultura degli amici degli amici. Perché noi sosteniamo che siamo di fronte al disegno di una nuova Italia che nessun politico con un po’ di sale in zucca si può permettere di fare saltare? Perché, riteniamo, ne pagherebbe un costo inimmaginabile in termini di risultati economico-sociali e di consensi personali. Perché, vi chiederete? La risposta è più semplice di quanto possiate immaginare. Il ministro Bianchi aveva sei riforme da fare e 17,1 miliardi da investire per innovare la scuola italiana con i soldi europei del Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Ha fatto tutte e sei le riforme, rispettando al millesimo scadenze e tabella di marcia, e ha assegnato e avviato i 17,1 miliardi di investimenti, ma ha vissuto queste singole riforme come sei pilastri di un’unica riforma e gli investimenti come un formidabile strumento di attuazione di questo unicum assoluto.

Sono state compiute sei scelte di valore capitale.

1) Il reclutamento degli insegnanti formati e selezionati libera la scuola italiana dall’incubo della stabilizzazione dei precari che blocca in partenza ogni criterio meritocratico.

2) La riforma della scuola di alta formazione rende finalmente concreta la formazione continua e segna una rottura nettissima con le pratiche del passato.

3) Rivoluzione completa per gli istituti tecnici superiori e questo significa buttare giù a colpi di piccone il muro che divide in partenza scuola e mondo produttivo.

4) La riforma della scuola tecnico- professionale secondaria è allargata a tutta la filiera produttiva nessuno escluso.

5) L’orientamento riformulato nei suoi principi fondanti, ma anche nella capacità di dare finalmente indicazioni tecnicheoperative.

6) La riorganizzazione del sistema scolastico coinvolgendo di più i territori dentro una cornice nazionale molto stretta e un ruolo delle Regioni chiaro e riconosciuto.

Capite da soli che l’insieme di tutto questo ti dà l’idea di una coerenza di pensiero e di una continuità di pensiero che mettono insieme 10 miliardi di investimenti di edilizia scolastica e 4,9 miliardi di investimenti sul digitale con le giuste priorità in termini territoriali e di genere. Ora mi domando: chi è il pazzo che si prende la responsabilità di rompere un processo riformatore così bene incardinato e di fare perdere all’Italia le risorse europee che l’Italia non ha per vincere la sfida delle sfide che è quella del capitale umano?

Sarebbe bene che la destra e la sinistra – i nuovi populisti disinnescati e frammentati non fanno più testo – prendessero impegni pubblici su questo percorso. Sarebbe un atto di onestà nei confronti degli elettori e il segno più evidente del cambiamento dell’Italia. I grandi Paesi e le grandi economie occidentali hanno vissuto le loro stagioni migliori quando la politica liberale, cattolica, socialista, conservatrice ha saputo mettere al centro della sua azione l’interesse generale che coincide con la continuità nel processo riformatore. È in questa continuità che si esprime al massimo livello la politica. Quella che ricomincia sempre daccapo rinuncia al suo ruolo e distrugge il futuro degli italiani.


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