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La forbice tra la realtà di un Paese che sta cambiando sul piano delle riforme e di un’economia che ha una crescita doppia di quella tedesca e una posizione estera netta migliore di tutti in Europa dopo la Germania, e la irresponsabilità ossessiva di alcune componenti della politica incide sullo spread italiano più di quanto incidano le ambiguità comunicative della Lagarde e la lentezza nel processo decisionale dello scudo anti-spread. Se abbiamo provvisoriamente recuperato i 50 punti in più dovuti alle oscillazioni della Bce e che sono ancora tutti in gioco perché sono legati all’esame dei mercati che lo strumento da ideare e approvare e la Lagarde stessa dovranno superare, ci sono 80/100 punti che appartengono allo scalone del rischio politico italiano. Le ambiguità persistenti su euro e nuova Europa, sulle riforme della scuola e del reddito di cittadinanza, la tragicommedia dei Cinque stelle con il passaggio delicato sull’invio delle armi a Kiev costituiscono il pesantissimo costo politico che tutti gli italiani pagano perché incide sulla reputazione dei suoi titoli pubblici sovrani e sulla credibilità dell’intero Paese

Siamo stati tra i primi a sottolineare che l’indecisionismo europeo sulla volontà di mettere un tetto al prezzo del gas e le ambiguità della leadership della politica monetaria della Banca centrale europea rischiano di porre sulle spalle delle famiglie e delle imprese italiane oneri ingiustificati. Particolarmente odiosi se si pensa che tutto ciò accade nel pieno di un conflitto di civiltà che restituisce all’Italia di Draghi il ruolo di primo attore del sistema europeo mentre la capacità di consumo e produttiva di tutta l’economia italiana mostra dinamismo e vitalità da anni di miracolo economico.

Viaggiare a un ritmo di crescita di un buon 3% dopo il +6,6% dell’anno scorso quando quattro shock di livello alto – come sono quelli inflazionistico, monetario, energetico, alimentare – si abbattono sulle economie europee e quando quelle italiane e spagnole sono costrette a pagare ingiustificatamente un prezzo ancora più elevato, ha in sé qualcosa di abbastanza prodigioso. Al di là del molto già acquisito nel 2021, che è il 2,6%, perché il rischio reale sventato è la recessione da crisi pandemica e bellica.

Questo importante risultato si spiega solo con il tasso di fiducia reale che il sistema produttivo italiano, a tutti i livelli, e le famiglie pongono nella attuale guida della politica economica e in un sentiment favorevole globale che torna ad attrarre turisti e capitali esteri in Italia proprio grazie alla credibilità internazionale legata alla figura di Draghi come ex presidente della Banca centrale europea (Bce) che ha salvato l’euro e come primo ministro del governo delle riforme e della Ricostruzione nazionale.

C’è un doppio snodo che mette insieme Italia e Europa e intreccia i due destini nel pieno del grande conflitto di civiltà che si è aperto con l’invasione della Russia in Ucraina e che inevitabilmente ridisegnerà l’ordine mondiale tra il dominio autocratico e l’Occidente. In questo contesto complicatissimo, ma dove le parti più sane del Paese remano tutte nella stessa direzione c’è un differenziale tutto italiano che si chiama rischio politico che non può più essere sottaciuto. Perché il livello di tensione europea su questo fronte è molto alto e le parole di segno contrario dell’altro giorno del commissario europeo per l’economia, Paolo Gentiloni, ne sono la prova più evidente.

Perché un recentissimo report di Intesa SanPaolo, non di Goldman, è arrivato a scrivere che sul rischio Italia pesa per il 52% il cosiddetto rischio di ridenominazione dall’euro alla lira che viene attribuito al peso di componenti politiche ritenute (ingiustamente) ancora ambigue su questo tema e, più in generale, al peso propriamente politico, questo sì reale, di chi ostinatamente frena sul cammino riformista e rischia di fare perdere all’Italia l’occasione storica del Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Che sono 191 miliardi tra fondo perduto e prestiti, esprimono il primo grande tentativo europeo di fare debito comune, e attuano di fatto un trasferimento di risorse dai portafogli delle famiglie tedesche e olandesi a quelle italiane e spagnole. Allora, rendiamoci conto bene della realtà.

Le sceneggiate del più corporativo dei sindacati scolastici e soprattutto delle forze parlamentari populiste e non che contrastano la definitiva approvazione della riforma della scuola del ministro Patrizio Bianchi che innova tantissimo e, di fatto, annulla gli effetti del calo demografico, appartengono a quel filone di comportamenti che aumenta il rischio politico italiano rispetto a quello spagnolo e portoghese.

Anche perché quella riforma è uno dei target da conseguire se si vuole che l’Europa stacchi il suo assegno di metà anno di venti e passa miliardi. La tragicommedia politica dei Cinque stelle è arrivata alla scena finale della battaglia tra di Maio e Conte che sono ormai irrilevanti sul piano della società, ma molto rilevanti sul piano parlamentare nonostante abbiano perso oltre centro deputati. Questa tragicommedia avrà, per di più, un passaggio delicato sulla risoluzione del governo per l’invio delle armi a uso difensivo che non potrà non essere approvata perché su di essa si gioca un pezzo significativo della ritrovata credibilità internazionale dell’Italia. Che è legata alla stabilità politica che fa le cose, onora gli impegni internazionali, dimostra nei fatti di essere cambiata.

Diciamocela tutta fino in fondo. La forbice tra la realtà di un Paese che sta cambiando sul piano delle riforme e di un’economia che fa il suo con i fondamentali a posto a partire dalla crescita doppia di quella tedesca fino alla posizione estera netta migliore di tutti in Europa dopo la Germania, e la irresponsabilità ossessiva di alcune componenti della politica incide sullo spread italiano più di quanto incidano le ambiguità comunicative della Lagarde e la lentezza nel processo decisionale dello scudo antispread. Se abbiamo provvisoriamente recuperato i 50 punti in più dovuti alle oscillazioni della Bce e che sono ancora tutti in gioco perché sono legati all’esame dei mercati che lo strumento da ideare e approvare e la Lagarde stessa dovranno superare, ci sono 80/100 punti che appartengono allo scalone del rischio politico italiano.

Questo è il pesantissimo costo politico che tutti gli italiani ingiustificatamente pagano perché incide sulla reputazione dei suoi titoli pubblici sovrani e sulla credibilità dell’intero Paese. Tutto questo mentre nel pieno di un conflitto di civiltà che è già una guerra mondiale a pezzetti, l’economia italiana continua a crescere del 3% e, anche grazie all’inflazione che aiuta il Pil nominale, si continua ad abbassare il rapporto debito/Pil e, in parte, anche quello tra deficit e Pil nonostante 30 miliardi già spesi dal bilancio pubblico per contrastare l’inflazione. Questo rischio politico di 80/100 punti è un delitto civile e economico prima di ogni altro. Perché una fetta molto rilevante del caro tassi italiano si deve a esso e questo vale quando lo Stato paga i rendimenti sui titoli sovrani che colloca sul mercato per erogare stipendi e pensioni ogni mese ai dipendenti pubblici e quando cittadini e imprese vanno in banca per fare un mutuo o chiedere un prestito.

Questo giochetto sporco che è lo stesso che frena la riforma sul reddito di cittadinanza e ogni intervento di struttura più meritocratico e solidaristico è vergognoso. Va stroncato sul nascere indicando nomi e cognomi di chi lo pratica ai cittadini-elettori e avendo l’accortezza di capire quanto danno produce la grancassa mediatica che sempre lo accompagna. Perché in quegli 80/100 punti che pagano tutti gli italiani c’è anche il rumore solo italiano di quella grancassa.


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