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Christine Lagarde

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Il rischio sventato di una percezione sbagliata sulla solidità delle nostre banche e quello da sventare di una Bce che riduce la liquidità contraendo il suo bilancio, fatto di titoli pubblici, liberandosene bruscamente. È un punto delicato perché gli alti tassi producono effetti su imprese e famiglie dopo 15-24 mesi per cui i contraccolpi più forti ancora si devono sentire. Se si cumulano con la nuova restrizione determinata dalla Bce, si crea una situazione preoccupante per stabilità finanziaria e economia reale italiane.

Le banche italiane stanno messe bene con un tasso di deterioramento del credito al minimo storico. Quando sono forti le banche, sono forti anche le economie di quel Paese. Per fortuna, tutte le agenzie di rating lo hanno messo per iscritto nel giudizio sull’Italia e, anche se questo elemento è passato un po’ sotto silenzio, è stato di sicuro quello decisivo perché i titoli sovrani italiani da sorvegliati speciali in Europa diventassero vigilati non più speciali accantonando per un po’ la questione.

Da quello che è successo nelle scorse settimane il governo Meloni deve trarne una lezione per sempre. Stare attento quando tratta con pezzi delicati dell’economia. Eravamo diventati sorvegliati speciali e potevamo entrare nel circuito perverso dell’inaffidabilità per un colpo di sole di mezza estate di Salvini sulla tassazione dei cosiddetti extraprofitti bancari concepita maldestramente e comunicata ancora peggio. Quella iniziativa rifletteva un principio sano di equità, ma denotava una evidente difficoltà a fare i conti con le regole e i meccanismi dei mercati che ha determinato l’ansia interna sul giudizio delle agenzie di rating sull’Italia. Perché trasferiva ai mercati una percezione errata sulla solidità delle nostre banche e, di conseguenza, del nostro sistema economico.

Ora c’è un secondo rischio ancora maggiore completamente sottovalutato dal dibattito pubblico interno assorbito da una marea di futilità e da una preoccupazione seria che riguarda il nuovo patto di stabilità e crescita se resta imprigionato nella gabbia dei decimali su deficit e debito rispetto al Pil senza garantire la obbligatorietà della deroga per gli investimenti pubblici nazionali e senza concepire ulteriori macrointerventi europei da finanziare con debito comune in industria e ricerca.

A fronte di tutto ciò, però, il vero, secondo grande problema che l’Italia ha davanti a sé è quello di una Banca centrale europea che riduce la liquidità contraendo il suo bilancio, fatto di titoli pubblici detenuti dall’eurosistema, e determina così una ulteriore restrizione naturale dell’economia. Bisogna che madame Lagarde si metta una mano sul portafoglio e una sulla coscienza perché è vero che il portafoglio titoli nella pancia del bilancio della Banca centrale europea è molto grande, ma se si decide di liberarsene bruscamente per fare un piacere a qualche scalmanato – che vive fuori dalla realtà segnata da due guerre e un rallentamento globale – i danni alla nostra economia possono essere davvero molto gravi.

Anche perché la Bce si è già alleggerita di questi titoli, ovviamente sbagliando, in misura nettamente superiore a quello che hanno fatto la Banca d’Inghilterra e la Federal Reserve americana.

Errore doppio visto che l’inflazione europea è di origini diverse rispetto a quella americana e, caduta la bolla energetica, sta scendendo molto più sensibilmente del previsto, ma ancora di più perché l’economia europea sta già rallentando e non si può sottovalutare la delicatezza del quadro macroeconomico. Bisogna che qualcuno alla Bce si ricordi che il target prefissato per l’inflazione è quello di andare al 2%, non sotto il 2%, bloccando tutto e che l’Italia sta facendo sull’inflazione anche meglio dell’Europa.

Siamo contenti che la Lagarde, come ha fatto ieri, invochi una governance globale che ancora non c’è, e un rafforzamento di quella europea. Siamo totalmente d’accordo con lei, soprattutto lo siamo quando sostiene che “oggi la governance sovranazionale, che è alla base della cooperazione internazionale, si trova a un punto di svolta critico: o si rafforza o va in declino. La scelta è tra un mondo che cerca di riconciliare le differenze e creare prosperità per tutti, o ritirarsi in un mondo senza cooperazione, forse addirittura di scontro”.

Queste parole sono musica per le nostre orecchie, però lei come presidente della Bce si renda nel frattempo conto che ottobre e novembre hanno dato sui prezzi indicazioni molto chiare sia a livello congiunturale che strutturale e, anche se a dicembre è previsto un rimbalzino molto più basso di quello ipotizzato in precedenza, la tendenza di fondo non cambia.

Come non cambia la realtà. Che è quella di una politica monetaria che ha avuto effetti molto forti e molto ravvicinati. Per cui i tassi sono saliti più rapidamente e l’economia è discesa ancora più rapidamente. Questo punto è di estrema delicatezza perché gli effetti della politica di alti tassi arriva a produrre pienamente i suoi effetti sulla clientela, che sono imprese e famiglie, in un arco temporale che varia da 15 ai 24 mesi. Per cui i contraccolpi più forti ancora si devono sentire.

Se a questo supplemento di effetto restrizione dalla politica di alti tassi antinflazione sull’economia italiana, si dovesse cumulare la brusca restrizione del bilancio dell’eurosistema si creerebbe oggettivamente una situazione preoccupante per la stabilità finanziaria e per l’economia reale italiane. Probabilmente l’inflazione andrebbe ancora più giù, ma questo troppo di discesa dell’inflazione lo pagheremmo al cubo in termini di mancata crescita e di perdita di occupazione.

Soprattutto questo avverrebbe per Paesi come l’Italia zavorrati dal peso del debito pubblico e, quindi, da un onere più elevato di spesa per interessi. Sarebbe un atto di puro masochismo europeo perché non aiuterebbe a garantire la sostenibilità del debito pubblico italiano e, quindi, va sventato in modo assoluto, ma anche perché inutilmente verrebbero danneggiati tutti creando problemi ancora più grossi.

Questo oggi è il pericolo numero uno. Senza nulla togliere alla sacrosanta battaglia che il governo italiano deve fare in Europa perché dal computo del nuovo patto vengano scorporati gli investimenti e, ancora di più, dal lavoro che deve fare in casa per dimostrare che dopo oltre venti anni di stasi assoluta siamo tornati a essere un Paese capace di fare gli investimenti, non solo di incassare le rate del Pnrr, e di onorare un ciclo riformista completo che moltiplica il potenziale di crescita della nostra economia.


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