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Un cantiere dell'alta velocità sulla tratta Napoli-Bari

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La partita decisiva di questo Paese è riuscire ad aprire i cantieri e farlo mettendo il Mezzogiorno in testa alla lista. Non abbiamo altra strada con un ciclo recessivo che dal resto del mondo sta entrando in casa nostra. Altro che pensioni e barconi! Oggi la crescita si avvia a recuperare la sua centralità nelle regole europee del nuovo Patto, ma se Paesi indebitati come il nostro non sono capaci di farla allora sono guai seri. La vera manovra è quella di fare camminare la macchina degli investimenti legati al Recovery e al Fondo  di Sviluppo e coesione. Attenzione, però, sui Comuni ballano 40 miliardi, e quelli più indietro, nonostante stanziamenti al 40%, sono proprio i Comuni del Sud. Così come molte delle opere strategiche assegnate al Sud sono ferme agli studi di fattibilità e qui se non si prende di petto la situazione salta tutto. Si utilizzino tutti gli strumenti straordinari della governance Draghi e non si abbia timore a innovare ancora sulla gestione della macchina esecutiva

La partita decisiva di questo Paese è quella di riuscire ad aprire i cantieri e di farlo mettendo il Mezzogiorno in testa alla lista, non in coda. Non abbiamo altra strada per fare la crescita che traballa con un ciclo recessivo che dal resto del mondo sta entrando in casa nostra. Questa partita si gioca quasi tutta con i fondi europei (Piano nazionale di ripresa e di resilienza, Fondo per lo sviluppo e la coesione) ed assume un valore strategico di lungo termine per il Paese perché è il punto in cui la sintesi riformista si traduce in una macchina che sa fare le cose, non solo annunciarle. Se abbiamo fatto le riforme della giustizia e della pubblica amministrazione e queste funzionano lo si capisce se siamo capaci o meno di aprire i cantieri. Altrimenti vorrebbe dire che siamo rimasti nel girone infernale della lunga stagnazione italiana, fanalino di coda europeo.

Questo tema che riguarda la capacità di fare buoni progetti, fare le gare nei tempi dovuti, e aprire i cantieri secondo il cronoprogramma   preventivato diventa assolutamente cruciale nel momento in cui l’Europa pure tra mille slabbrature e interessi di bottega si avvia a varare un nuovo Patto europeo di stabilità e crescita che sana la zoppìa costitutiva di cui Carlo Azeglio Ciampi parlò prima di tutti. Questa Europa è strabica, amava ripetere, ha occhi solo per il rigore e la stabilità e ha abolito dalla sua vista la crescita. Oggi la crescita si avvia a recuperare la sua centralità nelle regole europee, ma se Paesi indebitati come il nostro non sono capaci di farla allora sono guai veri.

Per il Piano nazionale di ripresa e di resilienza siamo arrivati al momento della verità. Guai se si interrompe il processo riformatore compiuto avviato e concluso rispettando tutti i target preventivati dal governo di unità nazionale guidato da Draghi. Guai se non si rispettano gli impegni assunti con l’onore della Repubblica italiana su temi vitali come sono i decreti attuativi delle riforme della giustizia e tutto ciò che è rimasto in sospeso sul piano della concorrenza e della amministrazione. Però, deve essere chiaro a tutti che se non si riescono a mettere a terra gli investimenti programmati e se non si fanno i conti con il caro energia che sta paralizzando le gare il processo di nuovi lavori partito al rallentatore si ferma del tutto.

Questo, altro che barconi e pensioni, è il problema capitale dell’Italia di oggi. Lo è per il governo Meloni come lo sarebbe stato pari pari per il governo Draghi. Per questa ragione, anche se si mantiene il massimo riserbo per non disincentivare la corsa degli enti locali a fare le gare promesse per il 2022, la Ragioneria generale dello Stato è al lavoro per assicurare un secondo Fondo delle opere pubbliche che assicuri, dopo i 6/7 miliardi già stanziati per il 2022, altri dieci miliardi diretti a fronteggiare gli extracosti da caro bolletta.

Si ha qualche difficoltà a rendere tutto pubblico perché conoscendo gli amministratori italiani passerebbero subito a chiedere soldi da mettere su nuovi investimenti invece di fare partire gli investimenti per i quali si erano già impegnati.

Il segnale lanciato dal ministro dell’Economia Giorgetti è stato chiaro: pensate a fare il Pnrr, dopo  solo dopo chiedete altri soldi per fare altre cose. È ovvio che deve essere fatto un lavoro di affinamento e di revisione di progetti che non sono in condizioni di partire, ma andare oltre può essere molto pericoloso perché potrebbe portare a un blocco totale e potrebbe esaurire la spinta tecnica a raggiungere gli obiettivi. Un lusso che non ci possiamo permettere.  Attenzione, però, sui Comuni ballano 40 miliardi, e quelli più indietro nonostante gli stanziamenti al 40% sono proprio i Comuni del Sud. Attenzione, però, molte delle opere strategiche assegnate al Sud sono ancora colpevolmente ferme agli studi di fattibilità e qui la quadratura del cerchio se non si prende di petto la situazione è praticamente impossibile.

Oggi i Comuni hanno tutte le certezze normative e sono stati molto aiutati nel rafforzamento degli organici, ma evidentemente quello che si è fatto fino ad oggi non è stato sufficiente. Il sistema di controllo della Ragioneria generale dello Stato funziona e sotto il radar c’è oggi ogni fase dello stato di attuazione dei singoli interventi, ma le Regioni che avrebbero fatto bene a collegarsi al nuovo cervellone con i soldi dei loro bilanci si sono invece messe di traverso e bussano sempre a quattrini al bilancio pubblico.

Allora da questa cultura della irresponsabilità, di cui Draghi e Franco si sono fatti più volte portatori per denunciarla e combatterla, bisogna uscire in fretta. I sindacati invece di continuare a chiedere soldi pubblici che non ci sono dovrebbero pretendere e collaborare perché la macchina pubblica recuperi efficienza e investa quello che deve investire. Dovrebbero assecondare la prudenza e la responsabilità della gestione della politica economica che stanno facendo Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti sostenendo che tutti i 30 miliardi recuperati ancora non si sa bene come vadano a sostegno delle imprese energivore e delle famiglie a basso reddito.

Il cuore della sfida del Paese è oggi più che mai quella di uscire dalla cultura dei sussidi ed entrare in quella degli investimenti che sono il punto debole ventennale. Il nuovo governo ha fatto benissimo a riunire tutte le deleghe europee sotto un unico ministero guidato da Fitto perché questo è l’approccio giusto. Tutto ciò che andrà innovato dotandosi magari di una struttura tecnica centrale che colleghi e aiuti nelle fasi operative ministeri e Comuni va assolutamente fatto. Così  come sarebbe un delitto assoluto non utilizzare i poteri straordinari che la nuova governance voluta da Draghi conferisce alla presidenza del consiglio. Il caso più eclatante che rivela le straordinarie potenzialità di questo strumento si è visto con il solito ricorso al TAR per bloccare i lavori della stazione di Bari dell’alta velocità ferroviaria che ha bloccato il cantiere per soli tre giorni perché l’organo di livello superiore, il Consiglio di Stato, ha annullato in tempo reale gli effetti di quel ricorso. Soprattutto questa centralizzazione dovrebbe almeno impedire di dovere riascoltare ministri come la De Micheli e Giovannini che continuavano a scambiare progetti e studi di fattibilità come cantieri aperti annunciando decine di miliardi di lavori che nessuno ha mai visto.


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