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Ursula Von Der Leyen e Vladimir Putin in un incontro ai tempi del sorgere della questione libica

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Questa stagione della nuova Europa della coesione ha bisogno di un esercito comune, di una politica di sicurezza e estera comuni.   C’è bisogno di un’Europa che assuma atteggiamenti comuni visibili anche all’esterno. Tirarsi indietro in un momento come questo facendosi risucchiare dalle spinte nazionaliste sarebbe la fine. Romania, Polonia, Ungheria devono “decisamente decidere” come stare in Europa. Il processo, però, va guidato e gestito. Il ruolo europeo si deve esprimere con la creazione di nuove strutture comuni e di un nuovo patto di stabilità europeo che guardi alla crescita, alla spesa in tecnologia e in sicurezza, alla riconquista delle avanguardie di ricerca con progetti comuni e alleanze comuni tra Paesi europei. Tagliare fuori la Russia in modo sostanziale dal sistema di pagamenti internazionali (Swift) in presenza di una sua offensiva militare totale, può diventare davvero l’unica arma di guerra negoziale che l’Europa ha per fare emergere le proteste degli oligarchi russi e della comunità sovietica che non ne può più

La guerra in Ucraina è l’ultimo atto della strategia economico-militare di Vladimir Putin che vuole riscrivere i confini europei fuori da ogni regola democratica e si muove a tutto campo da autocrate alla guida di una violenta superpotenza. Una strategia terribile che è avanzata negli anni in un silenzio generale che oggi fa paura. Putin è riuscito prima, tagliando i quantitativi di gas e petrolio esportati per aumentare i prezzi, a farsi finanziare da italiani e tedeschi la guerra in Ucraina contro un Stato sovrano libero che ai suoi occhi ha le colpe imperdonabili di avere scelto la libertà, l’Europa e la Nato. Persegue, con capillare determinazione, usando le armi del business e dell’intelligence un disegno militare di annessioni progressive che tende a ricostruire il vecchio impero sovietico. Vuole dichiaratamente allargare l’area di influenza autocratica in Europa a spese del mondo libero e ignora sistematicamente la volontà delle comunità nazionali coinvolte.

Il parallelismo fatto quotidianamente dai media americani tra Putin e Adolf Hitler si nutre dei suoi atti di guerra che lo hanno portato prima a riconquistare la Crimea, poi pezzi della regione del Donbass e ora addirittura a dare l’assalto a Kiev con l’obiettivo di fare rientrare nella sua orbita un Paese-chiave come l’Ucraina. Che si estende su una dimensione pari a quasi tre volte l’Italia e rappresenta storicamente il granaio d’Europa e la base economica strategica con asset industriali e energetici del vecchio impero sovietico. Che è popolata da una comunità di circa 40 milioni di persone che hanno scelto con determinazione la strada della democrazia e dell’Europa libera in una posizione geograficamente decisiva sul piano territoriale.

Nessuno in buona fede può ragionevolmente escludere che molto presto Putin voglia ripetere il copione dell’orrore della guerra su quadranti altrettanto strategici come quelli dei Paesi baltici e che voglia fare sentire il fiato sul collo di Paesi già entrati nell’Unione europea come Polonia e Ungheria ancorché ancora borderline in tema di diritti civili e di regole di mercato. Putin può sferrare l’attacco alla Europa e al suo cuore democratico con un prodotto interno lordo inferiore del 20% a quello italiano perché sfrutta le ignavie della classe politica e gli errori della classe dirigente del Vecchio Continente nei settori strategici dell’energia e della difesa.

Un Vecchio Continente che è ancora il primo mercato di consumi al mondo e ha finalmente una moneta unica politicamente apprezzata sui mercati, ma non è diventato gli Stati Uniti d’Europa e subisce gli scavalcamenti sovietici e cinesi, oltre che americani, sulla leadership negli asset industriali, tecnologici e di ricerca di contenuto strategico. Siamo di fronte alla minaccia dell’espansionismo sovietico e del nuovo equilibrio dei rapporti internazionali che può portare a fare della Russia per la Cina quello che è stata a lungo l’Inghilterra per gli Stati Uniti e spostare, dunque, l’asse del nuovo ordine mondiale addirittura a favore delle economie e dei Paesi che non sono liberi.

In queste condizioni sottovalutare la minaccia democratica, economica, militare di un signore come Putin che ha già portato indisturbato l’inflazione in Europa manovrando sulle materie prime fino a surriscaldare una domanda interna europea che permane sana, può essere per l’Europa l’errore capitale. Non c’è più tempo per rinviare una reazione organizzata e compiere unitariamente le scelte conseguenti. Che devono essere almeno tre.

1) L’Europa è obbligata a fare un altro passo in avanti come è avvenuto con la pandemia. Con il nuovo ’29 mondiale lo stesso direttorio franco-tedesco che si era opposto a ogni forma di mutualizzazione del debito e a collocare sul mercato gli eurobond per finanziare la crescita comune, promuove un programma europeo – Next Generation Eu – interamente finanziato con titoli sovrani europei piazzati sui mercati che destina la metà dei prestiti e un terzo delle risorse complessive all’Italia per risolvere il problema europeo delle sue disparità territoriali, generazionali e di genere. Questa stagione della nuova Europa della coesione ha bisogno di un esercito comune, di una politica di sicurezza e estera comuni. C’è bisogno di un’Europa che assuma atteggiamenti comuni visibili anche all’esterno e che faccia fare più di mezzo secolo dopo lo stesso salto di qualità che fece nel ’54 con la comunità europea della difesa. Tirarsi indietro in un momento come questo facendosi risucchiare dalle spinte nazionaliste sarebbe la fine. È evidente a tutti che la Nato così come è oggi non è più sufficiente e che il ruolo europeo si deve esprimere con la creazione di nuove strutture comuni e di un nuovo patto di stabilità europeo che guardi alla crescita, alla spesa in tecnologia e in sicurezza, e alla riconquista delle avanguardie di ricerca con progetti comuni e alleanze comuni tra paesi europei e tra i nostri big e quelli americani. Che a loro volta non possono continuare a chiedere agli europei di condividere le spese militari e pretendere invece mano libera sulla strategia interna e sulle alleanze internazionali per i grandi business dell’economia del futuro.

2) La minaccia di Putin alla civiltà democratica e alla nuova Europa della coesione mette in un angolino tutti i Paesi dell’area sovietica che sono stati sempre a metà strada come Romania, Polonia, Ungheria che devono invece “decisamente decidere” come stare in Europa. Sarà molto interessante vedere l’impatto che questa crisi non più solo sanitaria e economica, ma addirittura di civiltà e militare avrà su questi Paesi. Il processo, però, va guidato e gestito perché i cambiamenti che durano sono quelli programmati, assecondati, in qualche modo costruiti e favoriti.

3) Bisogna acquisire in fretta piena consapevolezza della debolezza strutturale della Russia se è vero, come è vero, che i 200 mila uomini schierati in battaglia non sono un terzo del contingente militare, ma l’intero contingente. Se è vero, come è vero, che il suo prodotto interno lordo è inferiore del 20% a quello italiano, non a quello europeo. Se è vero, come è vero, che le sue cose strategiche sono i ricambi degli asset energetici, gas e petrolio, e i ricambi degli aerei perché questo significa in modo indiscutibile che dal punto di vista economico la gran parte della forza industriale e agro-alimentare sovietica è in Ucraina con le sue tonnellate di grano e le sue piattaforme tecnologiche. Dobbiamo almeno renderci conto della fragilità economica della Russia indipendentemente dalle riserve accantonate e dalle ricchezze personali accumulate da Putin e dai suoi oligarchi oggi in subbuglio per le sanzioni subite.

Sui tre punti che ho appena indicato si costruisce la piattaforma politica obbligata della nuova Europa. Che si deve nutrire nel frattempo di nuove consapevolezze comuni a partire dalla presa d’atto della fragilità dell’economia sovietica per non commettere errori di valutazione. Tagliare fuori la Russia in modo sostanziale dal sistema di pagamenti internazionali (Swift) in presenza di una sua offensiva militare totale, può diventare davvero l’unica arma di guerra negoziale che l’Europa ha per fare emergere le proteste degli oligarchi russi e della comunità sovietica che non ne può più.

Può essere l’arma di guerra decisiva di un Occidente che si deve esprimere finalmente con un unico soggetto militare negoziatore. Che non può più essere solo Biden o la Francia che va per i fatti suoi o la Germania che fa piedino sottobanco con Putin. Siamo davanti a un passaggio cruciale della storia europea e bisogna marciare uniti avendo consapevolezza serena della fragilità e delle debolezze interne della Russia di Putin. Che dopo avere fatto tanta strada sta marciando a passo spedito all’inverso in un cupio dissolvi che può riportarla al default russo del ’96 quando si erano ridotti al baratto. Si riorganizzarono proprio con Putin e si ripresero al punto di diventare un sistema di potere da contrapporre al sistema di potere sfaldato europeo. Fino al punto di diventare per la Cina quello che fu l’Inghilterra per gli Stati Uniti. Oggi, però, lo stesso Putin ha cominciato il cammino a ritroso. Convinciamoci che la Russia non è un gigante e ha i piedi di argilla. Se lo vuole l’Europa se ne sbarazza come problema in poche settimane. Deve capirlo e deve volerlo. Basta questo.


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