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Luca Zaia e Stefano Bonaccini, governatori di Veneto ed Emilia-Romagna

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Ma davvero i Capi delle Regioni del Nord pensano di continuare a chiedere al bilancio pubblico nazionale, con i soldi di tutti gli italiani, di coprire i loro buchi di bilancio, dal trasporto pubblico locale alla sanità, tenendosi il privilegio della spesa storica che rende i loro cittadini di serie A e quelli del Sud di serie B, senza neppure porsi il problema di dovere fare i conti con la situazione di delicatezza estrema della nostra finanza pubblica e dei mercati? Invece di tirare la carretta per fare correre gli investimenti pubblici, a partire dal Sud, e avanzare sulle strade delle riforme del Pnrr, capi partito e mandarini regionali tirano a campare come se nulla fosse, vanno avanti fino a quando si va alle elezioni per vedere che cosa succede. La capacità di ricatto politico che hanno i capi delle Regioni supera quella di qualsiasi grande azienda e di lobby molto potenti ed è una mina vagante per il futuro del Paese

Sono caduti tutti, quasi tutti, nell’irrilevanza del dibattito politico demagogico tra pace o non pace, che invece è una cosa seria, mentre i furbetti dei capi delle Regioni del Nord cercano di fare gli interessi concreti dei loro elettori per pagare qualcosa in più alle loro clientele. Stanno tagliando il ramo su cui sono seduti, perché il mondo di oggi non ha più nulla a che fare con quello di ieri, ma loro nemmeno se ne accorgono e, dunque, brigano per l’ultima devolution che dovrebbe servire a soddisfare le rendite da preservare e le ultime prebende da distribuire dei nuovi capi bastone delle burocrazie regionali.

Questa ultima devolution si chiama Autonomia differenziata e ha le potenzialità, a scoppio ritardato, della vera secessione del Nord che diventa tutta una grande regione ad autonomia speciale rendendo impossibile governare il Paese già oggi cosa complicatissima e ponendo le basi di una nuova guerra civile italiana. Si rimette il Nord contro il Sud e viceversa, dentro una stagione da nuovo ’29 mondiale segnata da una guerra (vera) nel cuore dell’Europa e da tre grandi shock di tipo inflazionistico, energetico e alimentare che pongono la coscienza del mondo intero a fare i conti con la fame crescente e quella italiana con l’immoralità persistente di miopi saccheggi dei bilanci pubblici.

Si fa di tutto per fare l’Europa unita, con un solo ministro dell’economia e un solo debito, con un esercito e una politica estera comuni, e noi complici sottobanco la ministra Gelmini e i Presidenti delle grandi Regioni del Nord e di una parte del Centro, di destra e di sinistra ma tutti uniti dal desiderio bramoso di tenersi un po’ di Iva in più a scapito di chi ha ingiustificatamente meno, vogliamo spezzettare ancora in più macro e micro aree un Paese di 60 milioni scarsi di abitanti, afflitto peraltro da un problema demografico pazzesco? Ma davvero davvero i Capi delle Regioni del Nord pensano di continuare a chiedere al bilancio pubblico nazionale, con i soldi di tutti gli italiani, di coprire i loro buchi di bilancio, dal trasporto pubblico locale alla sanità, solo per fare qualche esempio, tenendosi il privilegio della spesa storica che rende i loro cittadini di serie A e quelli del Sud di serie B, senza neppure porsi il problema di dovere fare i conti con la situazione di delicatezza estrema della nostra finanza pubblica e dei mercati?

Si pongono per lo meno il problema di come reagiranno i cittadini umbri, marchigiani e dell’intero Mezzogiorno? Ma a chi vogliono fare credere che faranno subito dopo i livelli essenziali di prestazione (Lep) finalmente uguali per tutti i cittadini della Repubblica italiana quando costano decine e decine di miliardi che il bilancio pubblico italiano non ha e che potrebbero uscire solo se si ridiscutessero le erogazioni singole per ogni singolo cittadino togliendo a chi riceve infinitamente di più (Nord) per dare a chi riceve infinitamente di meno (Sud)?

Anche questa ultima devolution all’italiana, si chiama autonomia differenziata, come accadde con le leggi Bassanini e Calderoli, prende forma sempre a fine legislatura, ma almeno questa volta – lo gridiamo con forza – è bene che il blitz non passi mai, che sparisca tutto immediatamente dal tavolo, che si chiuda il capitolo prima di aprirlo con molto rossore di vergogna sulla faccia di chi si è permesso di riproporlo.

È uno dei frutti più avvelenati del dramma politico di questo momento dove tutti invece di tirare la carretta per fare correre gli investimenti pubblici, a partire dal Sud, e avanzare sulle strade delle riforme di sistema superando la prova europea decisiva del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr), tirano invece a campare come se nulla fosse, vanno avanti fino a quando si va alle elezioni per vedere che cosa succede. L’Italia della politica e dei suoi mandarini burocratici è un Paese sospeso. Aspettano come andranno le amministrative e poi come andranno le elezioni nazionali. Siamo, per la precisione, un Paese a tre velocità.

Abbiamo Mattarella e Draghi che vogliono fare correre l’Italia in Italia e in Europa e hanno il rispetto per loro e per noi del mondo. Abbiamo i partiti che sono alla ricerca spasmodica di un elettorato e fanno pasticci. Infine, abbiamo una struttura amministrativa dello Stato che non si sa da che parte va, con le burocrazie delle regioni che sono un altro enorme centro di corporativismo abbondantemente governato dai capi dei partiti a livello locale ma che è a sua volta capace di montargli sopra. A ognuno di loro interessa che cosa arriva a loro, non al proprio Paese. L’unità nazionale non esiste più tranne che dove non puoi fare proprio nulla a livello locale come accade per le ferrovie e le risorse energetiche. Con il vizietto in più poi delle Regioni di decidere e di spendere come e dove vogliono loro e poi portare il conto allo Stato chiedendo di fare nuovo debito pubblico che non può che accrescere le diseguaglianze con i rendimenti dei decennali oltre il 3,3% e un’esposizione complessiva di oltre 2700 miliardi.

Tutto questo avviene nonostante che Capi, capetti e mandarini vari avrebbero dovuto almeno imparare la lezione del Trentino che ha fatto e vinto l’ultima battaglia dell’autonomia. Ha detto: lasciateci almeno i nostri soldi. Poi, hanno dovuto chiedere più soldi allo Stato e giustamente non li hanno avuti. Il Trentino ha voluto l’autonomia e ora l’università di Trento ogni volta che batte cassa a Roma come ha sempre fatto in passato, si sente dare la solita risposta: andate dal vostro Stato che è la provincia autonoma.

La capacità di ricatto politico che hanno i capi delle Regioni supera quella di qualsiasi grande azienda e di lobby molto potenti ed è una mina vagante per il futuro del Paese perché, come minimo, ne indebolisce la sua capacità di governo. Non sono state mai messe in campo, anche questo è grave, strutture realmente indipendenti di controllo sulla presunta efficienza di questa o quella Regione su temi decisivi come quelli sanitari dove il Covid ha riservato non poche sorprese e demolito molti luoghi comuni.

Nel momento più difficile della Repubblica italiana alle prese con emergenze globali di ordine economico, sociale, militare evitiamo almeno di percorrere sentieri maledetti già maledettamente percorsi con il groviglio di ricorsi e contro ricorsi alla Corte costituzionale che sono fuori della civiltà giuridica dell’efficienza e della solidarietà e sono, quindi, fuori della storia. Sono altre le cose a cui deve pensare oggi il Paese, altro che autonomia differenziata. Nelle tragedie come quelle che stiamo vivendo esiste anche il senso del ridicolo. Speriamo di non superarlo.


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