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L’ultimo ricatto populista si è consumato sul decreto aiuti dove l’accordo è arrivato quando si è ceduto qualcosa ai Cinque Stelle sul super bonus mentre tutti i partiti avrebbero dovuto dire no alla deriva pentastellata. Questi spostamenti elettorali di massa sono figli proprio di quella paura del futuro. Tutti cercano un padrino che li aiuti a non perdere ciò che hanno accumulato. Al Sud il reddito di cittadinanza affidandosi ai Cinque Stelle perché il tantissimo di altro che è stato dato o avviato nessuno vuole vederlo. Al Nord tutto quello che ha guadagnato il sistema industriale e commerciale vuole tutelarlo mettendolo nelle mani dell’ultima novità che è la Meloni. Non c’è spazio per parlare del processo riformatore compiuto avviato, della crescita produttiva che ha unito nord e sud del Paese, di tutto quello che è stato seminato e ha bisogno di continuare a produrre frutto. Per salvarci ci vuole solo una grande sorpresa dal voto, ma questo richiede che almeno un pochino cambi il dibattito della pubblica opinione di questi ultimi giorni di campagna elettorale. Cosa, purtroppo, complicatissima. Perché il racconto della catastrofe imperversa e la grande paura entra nell’urna.

Alla fine ci sono riusciti. L’Italia del nuovo boom di Draghi è stata trasformata nell’Italia della paura. Chi tra i capi partito ha agito nell’ombra per bloccare il governo di unità nazionale che ha portato il Paese sul podio della crescita europea riuscendo perfino a fare aumentare l’occupazione al Sud più che al Nord nonostante il ricatto di Putin sul gas e gli shock monetari a catena, non passa ormai giorno senza parlare della catastrofe italiana. Fra poco gli stessi capi partiti tra i più screditati a livello europeo cominceranno a dire sempre più forte che la catastrofe la hanno ricevuta da Draghi e dal suo governo di unità nazionale.

Senza che a uno solo di questi passi mai per la testa anche solo per un attimo che con una guerra nel cuore dell’Europa, il mostro inflazione da domare, e tutti i segnali convergenti verso una stagione globale recessiva, nessuno con un po’ di sale in zucca, dico nessuno, avrebbe potuto anche solo pensare di interrompere l’esperienza di un governo che aveva dato reputazione al Paese nel mondo come non mai. O, peggio, buttare giù a freddo un governo che aveva la fiducia di imprese e consumatori come dimostrano la crescita del Pil del 4,7% nel secondo trimestre 2022 rispetto a quello di un 2021 da record (+6,6%) e una crescita dell’occupazione di 175mila unità con un incremento al Sud del 2,6% rispetto all’1,8% del Nord.

Ridurre le diseguaglianze nei mesi del grande gelo globale vuol dire avere fatto qualcosa che segna un cambiamento in profondità del tessuto economico e civile dell’Italia. Che vale in termini relativi anche di più di una crescita nazionale nettamente superiore a quella francese e tedesca come sanno bene i nostri esportatori che hanno fatto profitti a palate e i nostri operatori dei servizi, dal commercio al turismo fino ai trasporti, che non sono stati da meno. Figuratevi se questi signori prima di decidere di fare cadere Draghi in qualche riunione carbonara, con o senza grillo, dei pentastellati o da una villa romana con lo stato maggiore riunito di Lega e Forza Italia hanno mai pensato anche solo per un attimo che privavano l’Europa e l’Italia della leadership politica più rilevante e che questo sui temi caldi del caro energia avrebbe fatto molto male agli italiani.

Niente di niente, contavano e contano i sondaggi. Contava e conta il racconto populista della catastrofe italiana con la certezza di potere contare sulla peggiore informazione televisiva europea, eccezioni a parte, che è quella italiana, dove i numeri non esistono, le competenze sono sistematicamente ignorate, e tutto si risolve in un rumoroso pollaio del nulla che alimenta solo insofferenza e paura. Ecco, la paura.

Queste elezioni politiche italiane stanno diventando sempre più le elezioni della grande paura. Che è la paura del futuro. Il racconto imperante della catastrofe che non si è mai accorto del miracolo italiano in casa e fuori spinge gli umori del voto. Questi spostamenti elettorali di massa sono figli proprio di quella paura del futuro. Tutti cercano un padrino che li aiuti a non perdere ciò che hanno accumulato fin qui. Al Sud il reddito di cittadinanza affidandosi ai Cinque Stelle perché il tantissimo di altro che è stato dato o avviato nessuno vuole vederlo, oscurato come è dal racconto della catastrofe. Al Nord tutto quello che ha guadagnato il sistema industriale e commerciale vuole tutelarlo mettendolo nelle mani dell’ultima novità che è la Meloni. Non c’è spazio in questo racconto della catastrofe per parlare del processo riformatore compiuto avviato, della crescita produttiva che ha unito nord e sud del Paese, di tutto quello che è stato seminato e ha bisogno di teste acute e braccia forti per potere continuare a produrre frutto.

Pagano nello schieramento di centrosinistra la fatica di Letta a farsi accettare come garante di uno orientamento europeista e riformatore con i cacicchi di partito delle grandi regioni, dalla Campania alla Puglia, che hanno capito che il loro potere è nell’essere populisti e operano a tutto campo con accordi sottobanco con i cinquestelle. Sul versante opposto pagano l’evidente indebolimento della componente moderata che è arrivata a perdere un’intera squadra di governo e non è riuscita a fermare la creazione di un nuovo polo centrista guidato da Calenda e Renzi che toglie voti in entrambi gli schieramenti.

I cinque stelle che prima stavano al guinzaglio del Pd ora si sono automatizzati e i big del partito democratico devono accettare sottobanco di cedere un po’ di potere perché la battaglia sul proporzionale è molto importante anche a livello di immagine, ma se vogliono almeno provare a recuperare qualcosa nell’uninominale devono almeno fare gioco di sponda. L’ultimo ricatto populista si è consumato sul decreto aiuti di 17 miliardi dove l’accordo è arrivato quando si è ceduto qualcosa ai cinque stelle sul super bonus mentre tutti i partiti avrebbero dovuto dire no alla deriva pentastellata. Ovviamente la Lega dice che è merito suo non di Conte & C. in pieno stile giallo verde con le caricature elettorali del momento. Spettacolo che si ripete con il nuovo aggiustamento di bilancio per il terzo decreto aiuti dove tutti hanno fatto il loro comizio per fare poi l’unica cosa che possono fare. Approvare, cioè, la proposta del governo. Per salvarci ci vuole solo una grande sorpresa dal voto, ma questo richiede che almeno un pochino cambi il dibattito della pubblica opinione di questi ultimi giorni di campagna elettorale. Cosa, purtroppo, complicatissima. Perché il racconto della catastrofe imperversa e la grande paura entra nell’urna.


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