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Una seduta del Governo Meloni

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Servono competenze e curriculum non la medaglietta della partecipazione ai convegni di partito. Non si scherzi con chi viene messo al timone della barca. Perché sarà pure servizievole il comandante che ti avvicina, ma se non ha le competenze la barca si rovescia. Non sarebbe una cattiva idea fare una commissione di selezionatori con persone di qualità che segnala le scelte migliori per conto dell’azionista pubblico. Si creerebbe un precedente. Non sarebbe la Destra ad adeguarsi al malcostume della politica italiana, ma chi verrà dopo a doversi attenere agli standard internazionali voluti dalla nuova Destra. Che può sfruttare il vantaggio di avere meno forze interne di talento e di esperienza candidabili per avere più libertà nello scegliere i migliori e nello sparigliare le carte. Avendo anche meno debito con gli interni da onorare, si può operare un cambio di passo e lo si deve anche vendere.

Il governo Meloni ha un problema di talenti che è frutto di una storia politica del suo azionista di maggioranza che è stata a lungo un po’ fuori da tutto. Giudicare il suo operato da questa o quella normetta inserita di straforo nella legge di bilancio per lisciare il pelo a frange di elettorato a forte tentazione di evasione fiscale è di sicuro ingeneroso oltre che sbagliato.

Perché riuscire a tempi di record a fare una legge di bilancio che ricalca per due terzi l’impianto draghiano che coincide con quello del secondo grande miracolo economico italiano dal Dopoguerra a oggi e mantenere una linea complessiva di responsabilità e di prosecuzione sulla strada delle riforme non era affatto scontato. Bisogna avere piena coscienza che il tono dell’economia italiana migliore di tutte le altre economie europee può di certo aiutare.

Deve, però, essere chiaro a tutti che la sua tenuta a questi livelli è legata sì a un meccanismo di fiducia a sua volta collegato a scelte riformiste e europeiste effettive, ma deve anche fare i conti con un contesto globale avverso sia sul fronte dei tassi più alti sia su quello ancora più delicato degli acquisti che verranno progressivamente a mancare dei nostri titoli di Stato da parte della Banca centrale europea. Il segnale del rendimento del decennale dei Btp che sale nettamente sopra il 4,5% anzi arriva a superare anche il 4,6% che non dipende da noi ma dagli annunci e dalle scelte della nuova politica monetaria europea non può essere, tuttavia, affatto sottovalutato e il nostro rendimento resta un punto pieno sopra quello dei Bonos spagnoli.

Per questo ci sentiamo di dire con forza al governo Meloni che fare nomine all’altezza delle sfide che si hanno davanti e avendo attenzione a quello che pensano i mercati, è addirittura obbligatorio. Bisogna avere la stessa fermezza di rotta e di gestione operativa che ha avuto il ministro Fitto nella complessa partita di attuazione nei tempi prestabiliti di tutti gli impegni assunti con l’Europa per il Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Si sono prese decisioni politiche di riforma di struttura molto importanti e si è lavorato sui dettagli con il massimo di rapidità e di competenza tecnica possibili. Dai servizi pubblici locali liberalizzati alla attuazione di riforme chiave come quelle dei servizi idrici e della scuola fino alle semplificazioni del codice degli appalti. Non è esagerato parlare di modello Fitto e bisogna riconoscere che il ruolo di impulso della cabina di regia presso Palazzo Chigi voluto da Giorgia Meloni lascia ben sperare per un approccio diverso anche nelle nuove partite. A partire da quella delle nomine nelle grandi aziende pubbliche. Guai se si sottovaluta questa sfida che riguarda i principali asset della nostra grande impresa quotata (Eni, Enel, Leonardo, Fincantieri, l’azionista Cdp, e così via) e guai se si fanno valutazioni e scelte sulla base delle disponibilità personali manifestate e delle attenzioni anche imbarazzanti che il potere di turno solitamente riceve.

I più bravi in questi servilismi anticipati sono solitamente quelli meno adeguati in termini di competenza e di esperienza per gli incarichi che si candidano a svolgere. Sono solo bravissimi, questo sì, a autocandidarsi e sono anche storicamente, una volta nominati, la causa più probabile della rovina dei leader politici di governo che operano le loro scelte sotto la spinta persuasiva proprio dei servilismi e delle disponibilità di turno di questi stessi soggetti. Quella delle nomine è una delle altre prove di adeguatezza a cui il governo sarà sottoposto nei prossimi mesi. Vogliamo dire una cosa che al circo mediatico-politico italiano potrà apparire eretica. Non è tanto il risultato elettorale che la nuova Destra dà per scontato come positivo in Lazio e in Lombardia a pesare sulla tenuta di questo governo anche perché le possibili/probabili vittorie sono molto legate al demerito altrui.A pesare saranno piuttosto le scelte che lo stesso governo farà per mettere in mani sicure la guida delle più grandi aziende del Paese. Saranno queste nomine a valere più di tutto e tutti perché impattano direttamente sul messaggio che il governo darà sul piano interno e estero circa la propria capacità di decidere e di governare.

I messaggi sui quali chi governa verrà giudicato saranno essenzialmente due: 1) la qualità delle persone che verranno scelte; 2) se queste scelte avverranno o meno in base alla fedeltà al partito, passata o promessa. Quello che la gente si aspetta dalla Meloni e dal nuovo governo è che le scelte non avvengano con i soliti criteri deteriorati della politica di appartenenza. La gente si aspetta che vogliano accreditarsi come classe dirigente moderna e che sfruttino il vantaggio di avere meno forze interne di talento e di esperienza candidabili per avere più libertà nello scegliere imigliori e nello sparigliare le carte. Avendo anche meno debito con gli interni da onorare si può operare un cambio di passo e lo si deve anche vendere. Tutto questo, se accadesse davvero, avrebbe un impatto di immagine formidabile perché a farlo per davvero non è mai riuscito nessuno dei governi politici.

Che hanno invece sempre privilegiato la fedeltà dichiarata dei manager, vecchia o nuova che sia. La sequela delle parole smentite dai fatti parte con Berlusconi e attraversa tutte le esperienze di governo politico che, tranne qualche breve rara eccezione, hanno sempre privilegiato i fedeli. Berlusconi a parole doveva cambiare il mondo, ma sostituì i loro con i suoi, a volte migliori a volte peggiori. La premier Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia si devono difendere dal fatto che tutti vogliono fintamente fare gli indipendenti al loro servizio. Perché dal solo fatto di fare capire che questi mezzucci non servono più e, soprattutto, che non avverrà ciò che è quasi sempre avvenuto, ne discenderebbe un effetto messaggio potente sull’intera classe dirigente italiana. Spingerebbe tutti a riposizionarsi e rilancerebbe l’idea che in questo Paese essere persone al di sopra delle parti qualche volta potrebbe anche pagare.

Competenza significa che se devi gestire una grande azienda quotata devi avere una dose sufficiente di esperienza in quel lavoro perché altrimenti non sei neppure inseribile nel novero dei candidabili. Altrimenti fai la stessa fine del primo Di Maio e del suo alleato dell’epoca leghista che fecero capi azienda i loro amichetti che si erano occupati solo di marketing facendo pagare un prezzo elevatissimo, ad esempio, alla crescita delle Ferrovie. No, questi errori oggi non si possono ripetere. Servono competenze e curriculum, non la medaglietta della partecipazione ai convegni di partito per scegliere uno piuttosto che l’altro. Se proprio si vogliono accontentare appetiti di poltrone da astinenza prolungata, allora queste attenzioni si utilizzino per una parte dei consiglieri di amministrazione da designare, ma per favore nessuno osi scherzare con chi viene messo al timone della barca perché potrà essere anche molto servizievole il comandante che ti avvicina ma se non ha le competenze necessarie la barca si rovescia al primo giro di boa e salta tutto.

Non arrivano nemmeno i servizietti promessi. Si può dare qualche bonus politico, voglio dire, agli amici e agli amici degli amici, ma senza mai mettere a rischio la tenuta e la crescita del sistema. Non sarebbe una cattiva idea fare una commissione di selezionatori con persone di altissima qualità che opera le scelte con i curriculum alla mano. Si creerebbe un precedente per cui anche quelli che verranno dopo sarebbero costretti ad adeguarsi. Vorrebbe dire che non sarebbe la nuova Destra ad adeguarsi al malcostume precedente, ma chi verrà dopo a doversi attenere ai nuovi standard internazionali voluti dalla nuova Destra. Questo, però, per la politica italiana è, forse, chiedere troppo. Un precedente recente, però, c’è. Riguarda la scelta del generale Figliuolo ingaggiato nella battaglia anti Covid da Draghi solo perché era il migliore nella logistica. Che era la competenza che serviva in quel momento.

Sforziamoci di fare altrettanto con la nomina dei capi aziende delle grandi società pubbliche quotate e ne trarremo di certo beneficio. Questo vuol dire cercare i talenti che non si hanno e applicare un metodo che ha funzionato. Questo, non altro, deve fare Giorgia Meloni. Lo deve fare in modo convinto perché si deve percepire la forza di un metodo politico nuovo nel solco tracciato da Draghi. Questo significa attuare il cambiamento non a parole e cominciare a costruire davvero il percorso che rafforza ulteriormente gli effetti della crescita ricevuta in eredità, continua a creare nuova occupazione stabile e rende sostenibile il debito pubblico nel medio termine. È anche l’unico percorso possibile. Ricordiamocelo.


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