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Il caso Bari fa da detonatore a una crisi identitaria di entrambi i partiti forti della coalizione di sinistra in grado di esprimere un’alternativa di governo almeno concorrenziale. Se anche in Basilicata e Piemonte avanzano le candidature moderate di centro-destra, è chiaro che la partita dell’alternativa la sinistra si candida a perderla in partenza avendo smarrito il ruolo riformatore fondante. A quel punto a Conte conviene tornare a giocare la carta delle scelte radicali e della purezza estrema. Esercizio nel quale ha già dimostrato abilità e fiuto.

Il fallimento del campo largo è frutto del fatto che l’elettorato dei Cinque stelle tende di suo a sfarinarsi. In parte questo elettorato è di sinistra e appena perde un po’ vuole tornare a casa. In parte è un elettorato che vuole cambiare il mondo e vuole dunque andare per la sua strada e basta a meno che il suo partito non ottiene il finto posto di comando come fu con il Conte 1 e con il Conte 2 dove, peraltro, il premier espresse un moderatismo apprezzato e superò prove difficili. Il primo e il secondo esecutivo di Conte nacquero perché senza i Cinque stelle non si potevano fare.

Ora, dal fronte delle opposizioni, l’esperimento non si può fare neppure con i Cinque stelle perché non sono abbastanza grossi per fare l’alternativa anche sommandosi al Pd e tutto ciò riduce il potere contrattuale dei grillini. Perché, al di là delle sortite elettorali di Salvini, il governo Meloni sembra destinato a durare per tutta la legislatura e perché l’ex movimento ora partito dei Cinque stelle sul territorio, escluso l’exploit della Sardegna, esprime ancora un peso specifico piuttosto basso. Per questo la leadership politica di Conte, che ha un suo indiscutibile seguito, si tutela e si consolida solo se aumenta il profilo identitario e riesce a raggiungere alle elezioni europee il massimo risultato possibile più vicino ai successi elettorali del grillismo delle origini. Se non centra questo obiettivo la capacità di Conte di proporsi come ago della bilancia viene ridimensionata se non proprio azzerata.

Perché non ha molto altro da offrire come potrebbe accadere se disponesse di una squadra dirigente di primissimo piano o se avesse alle spalle la mobilitazione di una parte del sentimento pubblico che ci fu all’inizio della stagione grillina e che è stato in parte consumato sul piano politico dalle successive esperienze di governo con un vasto schieramento di alleanze che mettevano insieme forze tra loro contrapposte. Tutto ciò fa sì che il fiuto politico, che Conte ha e la Schlein no, spinga il leader dei Cinque stelle a cercare la rabbia della pancia della gente.

Il Pd, a sua volta, si è peraltro indebolito perché non riesce più a imporre né la sua natura di partito di governo visto che ha una leadership movimentista peraltro meno efficace di quella di Conte su questo specifico terreno e dovendo per di più operare all’interno di un partito che movimentista non lo è più da una vita. Anche perché a priori non può fare il salto di essere dichiaratamente un partito di governo transitoriamente all’opposizione perché non riesce a tagliare il rapporto ombelicale con il movimentismo che è alla base della sua ascesa. Risultato: il Pd non è né carne né pesce.

Quello che vogliamo dire è che il caso Bari, indipendentemente dalla gravità dei fatti oggetto della doppia indagine che andranno letti e approfonditi in altra sede, in effetti fa da detonatore a una crisi identitaria di entrambi i partiti forti della nuova coalizione in grado di esprimere un’alternativa di governo almeno concorrenziale. Se è vero, come è vero, che anche in Basilicata e Piemonte avanzano le candidature moderate di centro-destra, è chiaro che la partita dell’alternativa la sinistra con le sue anime maggiori e le altre minori si candida a perderla in partenza avendo perso la bussola di un suo ruolo riformatore fondante. A quel punto a Conte perdere per perdere, non conviene più fare il cavalier servente di una coalizione votata al suicido e torna dunque a giocare la carta delle scelte radicali e della purezza estrema. Esercizio nel quale ha peraltro dimostrato abilità e fiuto anche alle ultime elezioni politiche.


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