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Una centrale del gas

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Ormai la prima esigenza – nel breve, nel medio e nel lungo periodo – è l’affrancamento dalle importazioni di gas e petrolio dalla Russia. Ed è una esigenza sentita specialmente in Germania e Italia, i due Paesi, fra quelli maggiori, in cui è maggiore la dipendenza dalle materie energetiche di provenienza russa. È possibile affrancarsi?

Un recentissimo rapporto di nove economisti tedeschi («What if? The Economic Effects for Germany of a Stop of Energy Imports from Russia», di David Baqaee, Andreas Löschel, Karen Pittel, Christian Bayer, Benjamin Moll, Moritz Schularick, Rüdiger Bachmann, Moritz Kuhn, e Andreas Peichl – www.econtribute.de, Policy Brief No. 028, marzo 2022) si china su questo problema, per il loro Paese.

Le conclusioni? Gli impatti sono sostanziali ma gestibili. Nel breve periodo uno stop all’import di energia dalla Russia porterebbe a una contrazione del Pil tedesco da -0,5% a -3%. La preoccupazione maggiore non è nello stop all’import di petrolio (alternative, sia in termini di petrolio da altre provenienze, sia in termini di sostituzione con altre fonti, dal carbone al nucleare, sono possibili). Il problema sta nel gas naturale. Sono state fatte varie ipotesi in termini di ‘elasticità di sostituzione’, cioè della risposta dei consumi a variazioni dei prezzi (prezzi che in ogni caso scattano in alto), e la conclusione è che gli effetti sul Pil ci sono e non da poco. Per ogni uso del gas naturale (produzione di elettricità, consumi industriali, consumi domestici…) sono state fatte ipotesi di sostituzione, ma manca all’appello ancora un 30% di gas che non può essere sostituito. Le conseguenti misure di risparmio forzato sono quelle che portano a riduzioni di produzione e di valore aggiunto.

Gli autori si rendono conto, naturalmente, che l’incentivo maggiore al risparmio sta nel prezzo, e raccomandano che in ogni caso il governo si impegni a mantenere alti i prezzi dell’energia, così da spingere famiglie e imprese a cambiare le abitudini di consumo e i processi produttivi. E bisogna assumere subito questo impegno, così da usare l’estate – quando il consumo è minore – come periodo di aggiustamento graduale.

Ci sono, certamente, implicazioni distributive, dato che le classi meno agiate sarebbero colpite di più dagli aumenti dei prezzi. Ma su questo i nove economisti non si dicono preoccupati: il bilancio pubblico può procedere a sussidi mirati, come già – a cominciare dall’Italia – si sta facendo. Non c’è pace per i bilanci pubblici: dopo gli esborsi per la pandemia ci saranno gli esborsi per i sussidi contro il caro-energia. Ma questo è il loro compito: il bilancio pubblico è al servizio dell’economia e non viceversa. E i conseguenti debiti pubblici saranno ‘debiti buoni’, per usare la tassonomia di Mario Draghi.

E passiamo a un altro aspetto di questo ‘affrancamento’ dall’import di energia. Cosa succede alla famosa (per alcuni famigerata) globalizzazione? La fine della globalizzazione è stata annunciata molte volte, e un certo numero di ‘ritorni in patria’ si è in effetti realizzato. Due anni fa, presi di sorpresa dalla penuria di mascherine, avevamo opinato che quello che sta succedendo con le mascherine, con i respiratori, con alcuni composti di base per la farmaceutica, indica che bisogna preoccuparsi di più della diversificazione delle forniture. Questo è ben lungi dal dire che la globalizzazione non funziona. Vuol dire semplicemente che, invece di dipendere solo dalla Cina per il prodotto X, bisognerà fare in modo di avere fornitori di X anche, mettiamo, nel Vietnam o nel Messico, se non è economico produrlo in patria. Insomma, globalizzare è bello, ma è bello anche diversificare.

Il problema è che diversificare le mascherine non è difficile, ma diversificare un bene pervasivo e geograficamente concentrato in non molti produttori, non è facile. Specie quando un grosso produttore come la Russia – rispettivamente primo e secondo esportatore mondiale di gas e petrolio – si rivela ostile e inaffidabile.

La globalizzazione ha subito un duro colpo ma non è morta. Dato che le fonti rinnovabili sono disponibili in tutti i Paesi, ed era già in corso – per ragioni ambientali e non per ragioni ‘russe’ – un percorso di distacco dai combustibili fossili, il ‘duro colpo’ è limitato al mercato dell’energia. Non c’è ragione per cui la globalizzazione non debba continuare in altri mercati, soggetta solo alla necessità di diversificare gli approvvigionamenti per beni strategici (uno dei quali, ce ne siamo accorti forse troppo tardi, è l’energia).

Il ‘niente sarà più come prima’ vale senza dubbio per il mercato internazionale dell’energia. Ma il ‘niente sarà più come prima’ vale, purtroppo, anche in un’altra dimensione: le spese militari aumenteranno, in Germania, in Italia, e un po’ dappertutto, dopo che una delle poche potenze nucleari ha riportata la guerra in Europa. «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci» auspicava il profeta Isaia (2: 3-4). Ma quell’auspicio, che nella storia dell’umanità è sempre stato smentito, oggi corre all’incontrario: “Forgeranno i loro vomeri in spade, le loro falci in lance”…


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