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Soldati in Ucraina

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SONO trascorsi 32 anni dall’approvazione della legge 185 del 1990 sul commercio di armi e l’Italia resta saldamente nella top ten mondiale delle esportazioni di armamenti. Ammonta a 41 miliardi di euro il valore delle autorizzazioni all’esportazione di sistemi militari nell’ultimo quinquennio. Cinque anni vissuti alla grande (con un lieve calo nel 2020, giustificato dalla pandemia) con esportazioni destinate soprattutto a regimi autoritari e Paesi in guerra. Tra cui la Russia. Una cifra che si avvicina al valore globale  di tutte le licenze rilasciate nei 25 anni precedenti (oltre 64 miliardi).  

LA METAMORFOSI

Basterebbe questo dato per capire che qualcosa è cambiato nelle politiche di  esportazioni di armamenti del Paese. Del resto, forse non è neanche il caso di meravigliarsi, visto che l’Italia è tra le prime dieci nazioni al mondo per esportazioni di armamenti che riguardano anzitutto gli elicotteri da guerra, seguiti da bombe, cannoni, siluri, razzi, missili e accessori, aerei, navi, sottomarini, ed è al primo posto per le armi leggere.

Mentre per due decenni i governi che si sono succeduti hanno cercato di attenersi alle norme severe della legge  185 del 9 luglio 1990  (“Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”) e, soprattutto, all’articolo 1 che stabilisce che le esportazioni di armi «devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia, la quale ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», nell’ultimo decennio, complice anche la crisi finanziaria del 2008, l’obiettivo è stato invece di promuovere e incentivare l’export militare, in particolare verso Paesi che non fanno parte né della Nato, né dell’Unione europea, ma di aree del mondo considerate molto instabili.

Questo è quanto scaturisce dalla relazione annuale al Parlamento sull’applicazione della legge 185. Diverse organizzazioni esperte, come la Rete italiana per il disarmo, sostengono, non da ora, che le informazioni contenute nella relazione siano insufficienti per farsi un’idea precisa su cosa vende l’Italia e a chi. «Rilanciare la competitività internazionale delle aziende per far ripartire il Sistema-Paese» è diventata la nuova parola d’ordine. Un motto che la Marina Militare ha promosso in passato, come avvenne tra il 2023 e il 2014, quando con la portaerei Cavour e altre tre unità navali si recò nei principali porti del Medio Oriente e dell’Africa.

Tra i prodotti in vetrina spiccavano, oltre agli elicotteri militari Agusta Westland, i cannoni Oto Melara, i siluri Wass, i missili Mbda, sistemi di controllo della Selex e le immancabili armi Beretta: insomma, tutto l’armamentario necessario per la guerra.  

SILENZI E COMPLICITÀ

La “campagna navale” non ha tardato a dare frutti. In pochi anni i principali acquirenti di sistemi militari domestici sono stati i Paesi dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente, a cui i governi guidati da  Renzi, Gentiloni e  Conte hanno autorizzato l’esportazione di materiali militari. Tra cui le monarchie assolute della penisola araba (Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Oman), Paesi del Mediterraneo settentrionale e del Medio Oriente (Egitto, Algeria, Israele, Marocco), ma anche regimi autoritari come la Russia di Putin. Esportazioni di sistemi militari che vengono spesso osannate come «rinnovata capacità del Made in Italy di penetrare nei mercati esteri», mentre si tratta solo di forniture di armamenti per sostenere regimi illiberali e governi autoritari.

Paesi ricchi di petrolio e di fonti energetiche situati in zone strategiche della geopolitica internazionale, ma i cui governi sono universalmente noti per alimentare le tensioni regionali, oltre che per le gravi violazioni dei diritti umani e la persecuzione del dissenso secondo la sharia, la legge sacra della religione islamica basata sul Corano.   La mutazione di paradigma nelle politiche di esportazione militare non è da attribuirsi all’inadeguatezza della legge, quanto a una serie di silenzi e complicità.

A cominciare dal Parlamento, che nell’ultimo decennio ha omesso il controllo dell’esportazione di armamenti, quasi che fosse materia che non riguarda direttamente la politica estera, di difesa e di sicurezza del Paese. E, soprattutto, di gran parte delle forze politiche, sempre alla ricerca del consenso immediato e attente a non contrariare le lobby dei fabbricanti d’armi, soprattutto quelle a controllo statale, come Leonardo e Finmeccanica. L’arrivo dei profughi mobilita gli uffici statali dell’assistenza. Il sistema  di Protezione civile si muove su due filiere, la prima è l’assistenza di Protezione attraverso l’attivazione del meccanismo europeo di Protezione civile. Fabrizio Curcio, capo del dipartimento Protezione civile ha parlato in un’intervista a La Presse.

“Abbiamo avuto la richiesta da Ucraina e da qualche stato membro con specifiche di materiali e attrezzature già in arrivo, entro stasera arriveranno in Polonia 200 tende e 1000 posti letto allestiti dai Vigili del Fuoco. Stiamo raccogliendo medicinali, elettromedicali, mezzi sanitari”. Poi Curcio spiega come avviene la distribuzione delle attrezzature. “In base alle richieste degli Stati, in questo caso di Polonia, Moldavia e Slovacchia noi rispondiamo”.

Mentre sono le grandi organizzazioni umanitarie a organizzare la distribuzione dei beni raccolti spontaneamente o dal volontariato. Il sistema nazionale di Protezione civile oltre alla distribuzione di materiali sanitari, si occupa dell’accoglienza. Stiamo definendo i piani che si svilupperanno a livello regionale e su quello noi implimenteremo la capacità di accoglienza. “Io illustrerò la situazione e cominceremo a ragionare sulla gestione. Le Prefetture hanno protocolli consolidati per l’accoglienza, trattandosi di persone extra-Ue. Per ora questo sistema non prevede appelli ai cittadini ad aprire le proprie case. Non ci sono scenari definiti. È un’emergenza nuova e le persone probabilmente non vogliono stare fuori dalla propria nazione, intendono rientrare. Ci sono numeri certi solo di coloro che si trovano sui confini, ma è probabile che non vogliano spostarsi da lì”.  

Renzi ci prova, Letta per il dopo Stoltenberg Che sia una proposta diplomatica, non c’è alcun dubbio. Anche perché è rimasto nella memoria collettiva quel passaggio carico di fiele quando Matteo Renzi prese il testimone da Enrico Letta per salire nella poltrona più alta di Palazzo Chigi. E’ da tempo che i rapporti tra i due sono tornati alla normalità. Anzi, molto di più visto che adesso il leader di Italia Viva è disposto ad appoggiare Enrico Letta nella carica occupata da Stoltenberg a Segretario generale della Nato. “Non so se lo vuole fare – ha esclamato il senatore di Rignano – ma sarebbe un ottimo nome. E’ stato presidente del Consiglio ed ha una riconosciuta esperienza nel settore. Noi lo appoggeremmo”. Non sembra una boutade, ma una convinzione profonda. Almeno, da provarci. Fisco, tassa sulla casa, protesta della Lega Si va verso un rinvio del voto sugli emendamenti alla delega fiscale in commissione Finanza alla Camera. Nel corso dell’ufficio di presidenza è passata la proposta di mediazione di Forza Italia sull’articolo 6. Per trovare una soluzione è stato lasciato più tempo al partito di Berlusconi, “24 ore invece di 5 minuti”. Ed a Fi è stato chiesto di individuare una proposta non più soppressiva dell’articolo 6.

Oggi, in ogni caso si procederà al voto sul catasto. Ma la cosa non è stata digerita dalla Lega. Matteo Salvini ha giudicato “gravissimo l’aut aut della sottosegretaria al Mef, Cecilia Guerra che ha minacciato la crisi di governo qualora non si approvasse, così com’è la riforma del catasto. I capigruppo della Lega nelle commissioni Bilancio, hanno protestato. “Il Parlamento ha tutto il diritto di discutere e presentare emendamenti laddove non ci sia convergenza sul provvedimento”. Tuttavia governo e maggioranza “hanno riconosciuto l’inutilità di una riforma  del catasto “se la finalità è solo quella di una mera indagine statistica per scovare gli immobili fantasma”.

A meno che, viene rilevato, dietro ci siano altre logiche, come quella di tassare la casa. Decreto Covid, con 193 sì, varo definitivo Il Senato ha dato il via libera definitivo alla conversione in legge del decreto Covid che disciplina l’obbligo vaccinale nei luoghi di lavoro e nelle scuole. Il provvedimento, su cui il governo ha posto la questione di fiducia è stato approvato con 193 sì, 35 contrari, nessun astenuto. Colao, ancora indietro per digitalizzare l’Italia Il ministro dell’Innovazione, Vittorio Colao, intervenuto al Forum dell’Ansa, ha detto che “la battaglia per avere meno contanti e più cash è una battaglia per aumentare la produttività e la competitività delle piccole imprese”. Ha riconosciuto che “siamo migliorati, ma siamo ancora indietro”.


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