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Un giovane Mike Buongiorno in una celebre trasmissione Rai

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Ridateci la Rai! Dove è finita quella macchina dei sogni e della realtà che ha fatto la vera unità d’Italia dopo la guerra e fino al momento in cui è crollato il sistema, è crollata la Repubblica, è crollata la cultura, la scuola, la memoria e di quel patrimonio sono rimaste teche?

Teche come acquari, persino teche con la pubblicità del mitico Carosello che era un varietà spettacolare. Viene da piangere, ma sono lacrime sprecate, meglio non rimuginare sul tempo perduto, che però è anche quello della nostra vita reale.

La Rai non si sa bene se è morta o se è viva e che cosa sia, oggi. La Rai dei nostri anni in genere subappalta i propri programmi ad altri e paga conti a piè di lista, sponsorizza concertoni del Primo Maggio in cui non parlano i lavoratori né i sindacati, ma si svolgono riti stranissimi di religioni nuove che sottraggono ogni identità al passato senza costruirne una nel presente.

Dunque, che cos’è questa azienda che pure così necessaria ma anche così inconsistente, e che cosa si vuole da lei e che cosa lei deve a noi, visto che comunque paghiamo la nostra tassa di iscrizione al suo club sia pure attraverso la geniale trovata della bolletta elettrica inventata da Matteo Renzi?

Quando si parla di queste cose escono fuori in genere deliri sulla Rai come memoria, la Rai come Mike Bongiorno, la Rai dei documentari e dei noiosi profondi dibattiti, ma anche la Rai di Canzonissima, delle domeniche pomeriggio a casa con i fidanzati sul divano, era il mattino, la sera, ma non tutta la notte.

Ricordate? ad una certa ora della sera, la Rai chiudeva L’Italia e la metteva a letto. Si vedeva su un cielo cosmico una antenna spirale che saliva gradualmente sullo schermo per poi sparire mentre una musica tenebrosa dava la buonanotte a tutti perché domani dobbiamo alzarci per andare al lavoro, a scuola, sui campi o dove diavolo si andava quando l’Italia era ancora un paese deliziosamente in sviluppo.

La Rai seguiva lo sviluppo dell’Italia. Era la sua testimone. I giornalisti dei telegiornali facevano là dei servizi bellissimi con analisi approfondite e tutto era sacramentale e noioso. Si parlava italiano. Erano proibite le sciatterie regionali. Quanto è importante la noia nella trasmissione della buona cultura. Avete fatto caso?

Oggi qualsiasi talk show vediate, il vero spettacolo consiste nella faccia ansiosa del conduttore che non ha assolutamente tempo né voglia di ascoltare chi sta parlando perché in mente ha soltanto la dannata scaletta, la sequenza implacabile di stupidità messe in fila, alle quali deve attenersi senza concedere spazio all’approfondimento, al dibattito, alla sorpresa. Se uno parla, ti dicono abbiamo capito stai zitto anzi non abbiamo capito ma non importa. Piuttosto vediamo come si cuociono le polpette a Canicattì.

La Rai era fatta di documentari lunghissimi, grigi, montati con una serietà oggi sconosciuta. La comicità e il varietà erano geniali, le testimonianze dei politici erano lunghe, complesse utenti che punto Pietro Nenni o Enrico Berlinguer o Palmiro Togliatti o Giorgio Almirante e persino Mariano Rumor, visti in quella televisione in bianco e nero apparivano come dei giganti del pensiero. Il linguaggio politico era chiesastico, impettito, ma aveva e diffondeva dignità.

Chi consumava la Rai, consumava identità e decoro. E anche divertimento. In un paese che cresce va a strappi, ancora abbarbicato alle gonne di Santa Madre Chiesa, e alle giubbe del partito comunista, ma dava ugualmente segnali di modernizzazione come accadeva nei paesi sovietici dove però la modernizzazione non arrivava mai, ma solo dosi periodiche di fraterne invasioni corazzate.

Da noi arrivava ed era divertente perché non c’era altro punto quando io conobbi la televisione ero già alle scuole medie. Ricordo che per i ragazzi c’era la tv dei ragazzi e passavo l’intera settimana per aspettare il mio telefilm western del martedì alle 17:30. Cascasse il mondo. Cartoni animati, certamente ma non troppi.

C’era questa severità oggi inconcepibile che però allora era una severità condivisa. Il bianco e nero certamente aveva il suo ruolo nel diffondere autorevolezza e anche quella sacra noia che rende l’autorevolezza ancora più autorevole. Poi arrivarono i colori e fu la vera rivoluzione. Ma fu anche la rivoluzione della genialità, dell’umorismo di Renzo Arbore e di tutta la sua banda portata da Giovanni Minoli e dalla sua invenzione di Mixer. I telegiornali erano più vivaci ma più che altro, a quei tempi, si lasciava e si trovava traccia di tutto punto la traccia dei grandi e piccoli eventi, dei furiosi dibattiti, delle scaltrezze e schermaglie, così come delle grandi partite epiche che non ci mettiamo a ricordare perché sono già fin troppo indimenticabili. Ma poi anche la boxe. La notte di Cassius Clay alias Mohamed Ali.

Quei ring, quell’atmosfera fumosa, quelle sigarette epiche anche se abbiamo tutti smesso da tempo e per nostra fortuna di fumare. Ma la televisione della Rai a colori era comunque una televisione del risveglio italiano dopo la mazzata del terrorismo, dei sacchetti di sabbia, delle esecuzioni mattutine di magistrati, giornalisti, poliziotti, giudici, sindacalisti, uomini politici.

L’Italia era stata messa in ginocchio ed era restata in ginocchio per anni perdendo il gusto e il piacere della vita ma con la Rai a colori e con la nuova inventiva produttiva, quell’azienda diventò di nuovo grandiosa. I presidenti della Rai erano dei mostri sacri anche quando non avrebbero meritato tanta venerazione, tuttavia la loro presidenza era di per sé equivalente a un papato. Venne poi la spartizione che distrusse la verità punto quando si fece il secondo canale affidato ai socialisti, la democrazia cristiana di Ettore Bernabei perse il primato ma era ancora una dinamica interna a un sistema che si giocava sia la palla laica che quella più cattolica.

Poi fu fatta la Terza Rete proprio con il proposito di darla ai comunisti e fu affidata genialmente a un uomo come Angelo Guglielmi che seppe trasformare questa nuova rete in un teatro sperimentale da cui germogliarono genialità che altrimenti si sarebbero disperse. Ma al tempo stesso si dette inizio a quella spartizione del punto di vista e della verità stessa che si chiamò “linea editoriale”. Il TG comunista di Sandro Curzi era soprannominato Tele-Kabul perché allora l’Afghanistan era occupato dai sovietici. Ma era brillante e divertente.

Che cosa voglia dire le linea editoriale lo sappiamo: “Cuius regio, eius et religio”, ovvero tu assumerai la religione del tuo regnante quale che essa sia: e se sei nato in Emilia e sei del PCI, questo è il tuo TG, ma se sei veneto e democristiano, questo e il programma che fa per te. Questo faceva parte del compromesso storico italiano per cui si conveniva che il partito comunista, non potendo arrivare al potere, cosa che non accade mai perché non vinse mai le elezioni, doveva comunque essere compensato almeno del fatto che non poteva essere accolto in coalizione con la Dc. Il compromesso storico avrebbe dovuto superare questo problema ma invece fini a via Fani e anche la televisione restò fracassata e mutilata. La lottizzazione era totale, accettata, faceva purtroppo parte anche essa del nostro DNA punto ma malgrado questo la qualità dei programmi era sempre molto buona, in competizione con le migliori televisioni del mondo, specialmente della Bbc.

Nel frattempo erano nate le prime televisioni private, sarebbe arrivata Mediaset con programmi di alleggerimento, intrattenimento che avrebbero messo in competizione la vecchia ma efficace ideologia alla Mike Bongiorno contro quella più pesante della televisione in doppiopetto. Comunque il grande prodotto c’era. La Rai accumulava crediti e stivava migliaia di ore di documentazione che sono la storia del nostro Paese, con tutte le sue lentezze, con la magniloquenza, con gli eccessi di ufficialità e tuttavia era e rimane la nostra storia appunto poi il trauma. La Rai ha cessato di esistere come produzione di una politica culturale, ha cessato di esistere come motore, è diventata contratto. Tutti speriamo che questa azienda possa rinascere ma la vediamo brutta anche se adesso si rifaranno i vertici.

Vedo che in pole position per la presidenza c’è una donna come Paola Severino Melograni e capisco che quella sarebbe una televisione molto aderente alle esigenze della solidarietà generale di cui oggi l’Italia ha bisogno. Non so se sarà questa la scelta ma non so neanche se ci sarà un criterio di scelta e chi lo adotterà e perché e in cambio di che cosa punto certo è che ci manca quella cosa strana, persino un po’ mostruosa ma irripetibile, che tuttavia vorremmo tutti che si ripetesse e ritornasse. Quella che si chiamava mamma Rai. Vivevamo in un’Italia in cui c’erano troppe mamme ma erano tutte autorevoli: mamma DC, mamma PCI, mamma Rai, mamma Chiesa molte mammelle che servivano per lo più a nutrire bocche improduttive. Ma questa è una storia nota. Noi facciamo il tifo, dunque, per una speranza e la speranza è quella che la Rai ritorni. Per adesso abbiamo soltanto magazzini notturni sottochiave, con teche e bacheche che rischiano la polvere e la smagnetizzazione.


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