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Zelensky e Putin

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Si lavora all’emergenza grano sull’asse Roma-Ankara . Mentre nella capitale turca si stanno mettendo a punto le strategie per arrivare a un’intesa definitiva per sbloccare i prodotti ucraini e riattivare il Porto di Odessa, a Roma, sempre ieri, nel corso del “Dialogo ministeriale mediterraneo sulla crisi alimentare del grano” promosso dal governo italiano con la Fao, che ha visto la partecipazione di 24 Paesi mediterranei, si è discusso sull’emergenza fame nel mondo e sugli obiettivi per aprire la strada della pace partendo proprio dalle rotte delle derrate alimentari. Ma restano ancora molti ostacoli, e solo quando il primo container prenderà il largo in un mare “bonificato” dalle mine l’emergenza potrà dirsi, se non superata, avviata comunque verso una soluzione positiva.

TUTTI PRONTI MA NESSUNA CERTEZZA

Ieri passi avanti sono stati fatti grazie alla mediazione turca. Ma quanto questo porti a risultati concreti è tutto da verificare. Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, in conclusione dell’incontro con il collega turco, Mevlut Cavusoglu, ha espresso la piena disponibilità ad aprire i porti e ha promesso: «Siamo pronti a lavorare per mettere in sicurezza l’uscita delle navi dai porti dell’Ucraina, e siamo pronti a collaborare con i nostri omologhi turchi. La Russia non attaccherà se l’Ucraina inizierà attività di sminamento presso i suoi porti per far passare navi che trasportano grano».

Il governo di Ankara è entrato anche nei dettagli, spiegando che si è discusso di «un meccanismo formato da Onu, Russia, Ucraina e Turchia» per aprire corridoi e che comunque il suo Paese è pronto a sostenere il piano. Dal vertice della Farnesina il ministro dell’Agricoltura turco, Vahit Kirisci, ha denunciato infatti che «la guerra tra la Russia e l’Ucraina ha peggiorato la situazione e aumentato le sfide sulla sicurezza alimentare» e ha ribadito l’impegno ad «assicurare il passaggio sicuro delle navi di grano ucraino. Se vogliamo raggiungere la stabilità politica, il welfare sociale e la crescita economica nel mondo, dobbiamo garantire una sicurezza alimentare sostenibile».

Tutti pronti, dunque, ma per ora le navi non si muovono. E lo stesso ministro degli Esteri della Turchia ha annunciato la proposta di un prossimo vertice sempre nel suo Paese, questa volta a Istanbul, con la partecipazione anche delle Nazione unite. Perché, al di là dei “minuetti”, quello che manca è il via libera alla partenza dei cargo.

CAUTELE E SOSPETTI

Il punto è che la mediazione è fondamentale, ma per portare il grano fuori dal Mar Nero serve un accordo che deve essere approvato da Russia e Ucraina. Un obiettivo ancora lontano. Se da un lato, infatti, Lavrov ha dato tutta la sua disponibilità, nello stesso tempo però non ha perso l’occasione per sferrare l’ennesimo attacco «ai colleghi occidentali» che presenterebbero come catastrofica una situazione che dall’osservatorio russo non lo sarebbe affatto perché a rischio, secondo i numeri di Mosca, sarebbe solo meno dell’1% della produzione mondiale di grano e di altri cereali bloccati.

Lo stesso mediatore turco ha poi rilanciato la necessità che il frumento ucraino raggiunga i mercati, ma anche che siano accolte le richieste russe di abolire i blocchi all’export dei prodotti russi, soprattutto cereali e fertilizzanti. A Mosca, poi, il nodo resta sempre lo stesso: la revoca delle sanzioni internazionali perché il grano russo possa essere consegnato sui mercati, come ha sostenuto il portavoce del Cremlino, Dmytro Peskov.

E intanto è arrivato in Crimea il primo treno carico proveniente da Melitopol, regione ucraina di Zaporizhzhya occupata dai russi. Da parte sua l’Ucraina non si fida e non ha nascosto il timore che con lo sminamento del porto Odessa la Russia colga l’occasione per attaccare la città, secondo quanto ha sostenuto il portavoce dell’amministrazione della regione di Odessa, Sergey Brachuk.

Da Roma il ministro degli Esteri, Di Maio, ha rilanciato a Mosca la richiesta di «segnali chiari e concreti, perché bloccare le esportazioni del grano – ha detto – significa tenere in ostaggio e condannare a morte milioni di bambini, donne e uomini lontano dal fronte del conflitto. La Russia, usando il cibo come arma di guerra, si sta macchiando di altri crimini, che si aggiungono alle atrocità già commesse sul suolo ucraino e che sono sotto gli occhi di tutti».

«L’Italia – ha sottolineato Di Maio – sostiene gli sforzi delle Nazioni unite e dell’Unione europea per affrontare il problema delle derrate alimentare ucraine» e ha ricordato che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha discusso di questo argomento con Putin e Zelensky.

L’ALLARME MONDIALE

D’altra parte la situazione è sempre più drammatica, con i prezzi del grano ai massimi storici che a maggio hanno registrato un’impennata del 40% rispetto allo scorso anno. E non si vedono segnali positivi all’orizzonte sul fronte della produzione in grado di alleggerire la pesantezza dei mercati. Secondo le stime della Coldiretti, infatti, la produzione mondiale di cereali è in calo a 2,784 miliardi di tonnellate, su valori minimi da quattro anni per effetto delle condizioni climatiche avverse nei diversi continenti, ma anche per il calo dei raccolti in Ucraina a causa della guerra che ha ridotto l’impiego di fertilizzanti.

Il taglio dei raccolti mondiali – ha spiegato l’organizzazione agricola – riguarda soprattutto il mais destinato all’alimentazione animale, il grano e il riso, mentre al contrario aumenta la produzione di orzo e sorgo. Il taglio dei raccolti e le difficoltà nel commercio internazionale anche per il blocco dei porti nel Mar Nero ha infatti provocato un balzo delle quotazioni, con i prezzi internazionali dei cereali che sono cresciuti del 29,7% a maggio rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

Coldiretti ha poi rispostato l’attenzione sul dilagare della povertà e, riferendosi all’ipotesi del perdurare dello stato di rialzo dei prezzi dei prodotti alimentari fino al 2024, secondo le previsioni di S&P Global Ratings, ha evidenziato come il numero delle persone colpite da gravissima insicurezza alimentare nel mondo sia destinato a salire ben oltre i 200 milioni. E a rischiare di più – ha ribadito – sono 53 Paesi (dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione) dipendenti dagli approvvigionamenti da Russia e Ucraina, che controllano quasi il 30% degli scambi globali di grano, mais e girasole.

Per i Paesi più poveri del pianeta, a partire da quelli della sponda sud del Mediterraneo, si rischia la catastrofe umanitaria. Il direttore generale della Fao, Qu Dongyu, ha parlato di uno scenario molto complicato anche per i rischi del prossimo raccolto ipotecato dai cambiamenti climatici e dalla guerra.

MIGRANTI IN AUMENTO

Qu Dongyu ha ricordato che oltre 50 Stati dipendono dai Paesi in guerra, complessivamente per il 30% del fabbisogno di grano, che però arriva al 70 e anche al 100% in numerosi Paesi dell’Africa e dell’area del Mediterraneo. L’aumento dei prezzi sta aggravando uno scenario già drammatico.

«Nel 2021 – ha detto il direttore generale della Fao – 193 milioni di persone in 53 Paesi erano in condizione di grave insicurezza alimentare, un numero così alto non era mai stato registrato prima. E una crisi alimentare che già interessava diverse aree del mondo rischia, con la guerra in Ucraina, di degenerare in una crisi alimentare mondiale se non si interviene subito. Una crisi che rischia di produrre conseguenze ancor più devastanti perché rischia di destabilizzare Stati già fragili, di portare nuove guerre, di generare flussi migratori sempre più massicci e difficili da governare».

Insomma la conseguenza inevitabile sarà l’aumento dei flussi migratori: nel Mediterraneo centrale quest’anno si sono registrati già gli sbarchi di 21.082 immigrati, 6.000 in più del 2021.


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