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Carne Sintetica

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La ricerca scientifica nella produzione della carne sintetica fa sorgere diversi dubbi e il timore che serva da alibi per affari miliardari

Si fa presto a dire scienza. In questi giorni imperversa il dibattito sulla carne sintetica che ha visto una levata di scudi decisa da parte del Governo, dopo anni di battaglie della Coldiretti. Ma non tutti concordano sullo sbarramento della strada a questo “novel food” che dovrebbe scattare con il disegno di legge approvato dall’esecutivo Meloni che vieta produzione, vendita e importazione di cibi in provetta.

L’accusa nei confronti di coloro che hanno alzato le barricate contro bistecche e pollo di plastica è di remare contro la ricerca. Certo l’innovazione, e chi lo nega, è il motore che ha mandato avanti l’umanità portandola dalle caverne allo spazio. Grazie alla ricerca sono arrivate scoperte che hanno rivoluzionato le attività, che ci consentono di curarci, di migliorare la qualità della nostra vita. Tutto vero, ma a volte le ricerche troppo spinte rischiano di diventare un alibi che giustifica tutto.

CARNE SINTETICA, AFFARI E RICERCA SCIENTIFICA

Sull’intelligenza artificiale un invito a sospendere è arrivato qualche giorno fa addirittura da Elon Musk che, con altri mille ricercatori di tutto il mondo, ha chiesto un time out perché negli ultimi mesi c’è stata una corsa fuori controllo che potrebbe provocare sconvolgimenti di vaste proporzioni.

Oscurantisti? Quando si spinge troppo, la deriva è da mettere in conto. Anche quelli di Mengele erano “alti” studi e forse qualcuno li giustificava in nome dell’evoluzione. Certo non è corretto affiancare la carne artificiale alle sperimentazioni naziste, ma si tratta comunque di manipolazioni che preoccupano. Qui non è la Coldiretti che vuole difendere ( e sarebbe tra l’altro doveroso) gli interessi dei suoi soci, è in gioco il futuro della alimentazione e della nostra salute. La chimica non è da mettere al bando, ma almeno a tavola sarebbe meglio farne a meno.

E come si fa a bollare come oscurantista una strategia agricola che non vuole assolutamente rimanere ancorata al passato? La Coldiretti sta facendo pressing da tempo per rafforzare e valorizzare l’innovazione nei campi. E’ falso sostenere che si perdono occasioni produttive se si rinuncia a carne, latte, pesce e pollo in provetta. Si può investire, per esempio, sulla nuova genetica che accompagna l’evoluzione naturale delle piante senza forzarle con “strani” innesti, su sistemi avanzati nel campo dell’irrigazione, droni e molto altro, per contrastare le emergenze provocate dai cambiamenti climatici.

FINANZIARE NUOVE ATTIVITÀ PRODUTTIVE MA PERCHÉ SCEGLIERE STRADE NON NATURALI

Si possono finanziare progetti in grado di creare nuove attività produttive e lavoro. Perché scegliere una strada che non solo non è “naturale”, ma contrasta con la cultura alimentare e la cultura in genere dell’Italia? Per preservare il benessere degli animali? Non è proprio così visto che le cellule che finiscono nel bioreattore per creare bistecche finte provengono dai feti strappati alle vacche. Per salvare l’ambiente? Con le fabbriche? Certo riuscire a sfamare quei popoli che vivono in un gravissimo stato di insicurezza alimentare, per non dire fame, è un obiettivo nobile.

Ma tenendo conto che queste nuove produzioni arrivano da multinazionali o comunque dai cosiddetti oligarchi, che si collocano ai primi posti nella classifica mondiale degli uomini più ricchi, il dubbio è che non ci sia una spinta filantropica dietro questi affari miliardari (in dollari). E se fosse il solito copione? Come quello scritto da chi ha conquistato le terre africane con lo scopo dichiarato di sviluppare l’agricoltura di quelle aree, mentre l’operazione si è conclusa con lo sfruttamento dei campi e nessun vantaggio per gli abitanti locali, sempre più poveri e affamati. Come confermano i flussi di migranti africani che sempre più numerosi fuggono dalle carestie.

Anche con i prodotti alimentari finti si potrebbe ripetere la vecchia storia, dando vita a una nuova forma di colonizzazione. Nel segno dell’innovazione, però. È evidente che in ballo ci sono interessi enormi che solleticano molti. Per altri il sogno di un mondo pulito e senza dolore. Pura utopia. Nell’un caso e nell’altro bisogna prestare molta attenzione. Non dimentichiamo le dure lezioni del Covid e della guerra.

Per anni sono state delocalizzate le produzioni cosiddette mature, in primis l’agroalimentare, e nel periodo più cupo della pandemia, in Italia è stato possibile mantenere la tranquillità, almeno sul fronte alimentare, grazie a quel manipolo di produttori che contro tutto e tutti ha continuato a coltivare e trasformare. Demandare tutto a pochi potrebbe lasciare il Re nudo. E con la guerra in Ucraina, quando sembrava che il Vecchio Continente fosse fuori da certe logiche, è tornata la paura della carestia. Non in Italia obietterà qualche solone. In parte, perché l’esplosione dei costi innescata o comunque aggravata dal conflitto, ha creato molti guasti. Qui non si tratta di voler fare dell’Italia un paese oscurantista, ma di difendere alcuni principi sacrosanti.

E’ doveroso puntare sull’innovazione, sulla crescita, che non si identificano però necessariamente nei cibi monstre. La ricchezza dell’Italia, ma anche di tanti paesi europei, è data dalla varietà dei territori che garantiscono un’offerta di prodotti alimentari diventata un elemento di forte appeal. E quando arriveranno i turisti stranieri si offriranno bistecche di Chianina di plastica, spigole processate e vino fatto con le bustine? E in un mondo futuro che avrà investito solo nei laboratori che necessariamente, tenendo conto dei costi esorbitanti, porteranno alla concentrazione della produzione in poche mani, non sarà a rischio la stessa democrazia del cibo?

Smantellare è facile, come quando nell’Unione europea si davano soldi per non coltivare. Sono scomparsi ettari e ettari del granaio italiano, in particolare quello pugliese. Sommersi poi dai pannelli solari. In nome di un nuovo business che, non gestito, è finito nelle tasche delle industrie, ma cinesi.

Bruxelles, per affrontare la crisi aperta dal conflitto in Ucraina, ha fatto marcia indietro rimettendo in campo milioni di ettari. Ma ripristinare le aziende agricole cancellate non è facile. Insomma prima di distruggere, terreni e stalle per sostituirli con ciminiere bisognerebbe pensarci bene e non ridurre tutto a una partita ideologica. E soprattutto l’Ue dovrà essere compatta nel difendere la sua storia. Ma non sarà facile con un profumo dei soldi tanto inebriante.


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