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Le esondazioni in Emilia

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Italia, Paese di grande genialità progettuale, ma anche di clamorose incompiute o di  opere realizzate e abbandonate al loro destino (brucia la ferita del ponte Morandi). Per capire quanto siano rimasti  inascoltati gli appelli alla realizzazione di opere vitali per la sicurezza e la prevenzione, basti pensare a quanto denunciava nel 2020  l’Anbi (Associazione nazionale delle bonifiche, delle irrigazioni e dei miglioramenti fondiari).

«La sicurezza territoriale è condizione indispensabile per la vita stessa di un Paese e ciò è tanto più vero per l’Italia che è una rinomata meta turistica, non solo per il suo patrimonio ineguagliabile di bellezze naturali e artistiche, ma anche per le produzioni agricole di grande e riconosciuto pregio e per l’enogastronomia. Anche per questo è strategico tutelare e valorizzare il territorio. L’allungarsi della catena di disastri territoriali, registrata negli ultimi anni a causa di eventi meteorologici particolarmente gravi, continua a porre in evidenza la drammatica situazione di vulnerabilità del territorio del nostro Paese cui non è garantito un adeguato stato di sicurezza idrogeologica».

I RISCHI IGNORATI

Non è una dichiarazione dell’ultim’ora mentre l’Emilia Romagna è ancora sott’acqua, ma un’audizione dell’Anbi alla commissione Ambiente della Camera del 16 dicembre  2020.   Non solo una denuncia, ma anche la messa a disposizione di «un programma di investimenti, contenente una importante mole di progetti cantierabili esecutivi e definitivi in grado di assicurare, non solo una corretta regolazione idraulica sul territorio di loro competenza, contribuendo a contrastare il rischio idrogeologico che i cambiamenti climatici in atto e l’eccessivo consumo di suolo stanno rendendo ormai elevatissimo nel nostro Paese, ma anche di adeguare finalmente la dotazione infrastrutturale del Paese alle necessità di assicurare la fondamentale risorsa idrica alla popolazione, per i consumi civili ed industriali, nonché per gli utilizzi agricoli e ambientali, anche le sempre più frequenti carenze idriche risultano conseguenza dei cambiamenti climatici».

Un piano da 4,5 miliardi con una  nuova occupazione stimata  in 22mila unità da finanziare nell’ambito delle risorse del Next Generation Eu.

Il direttore generale dell’Anbi, Massimo Gargano, precisa che la disponibilità del Pnrr,  1,3 miliardi destinata all’efficientamento delle opere,  è stata utilizzata  «con orgoglio – dice – come ha detto anche il ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare,  la progettualità è coerente al 100% con l’obiettivo del Pnrr. Anche sui tempi siamo perfettamente in linea e stiamo progressivamente affidando i cantieri». 

Restano fermi, invece, i progetti per i restanti 3,2 miliardi. Gargano  aggiunge che l’Anbi sarebbe pronta a spendere anche tutte quelle risorse del Pnrr che sono state affidate ai Comuni e che difficilmente saranno utilizzate

LE ETERNE INCOMPIUTE

Non ci sono poi ancora finanziamenti per il piano firmato da Anbi e Coldiretti per la realizzazione di piccoli e medi invasi multifunzionali  destinati all’utilizzo potabile, energetico, ambientale e irriguo. Sempre l’Anbi, nel documento di tre anni fa, sottolineava la necessità di aumentare la disponibilità di risorsa idrica tenendo conto che allora (come ora) si riusciva a raccogliere solo l’11% delle precipitazioni atmosferiche.

«Si ritiene necessario – si legge ancora nella nota illustrata in Parlamento – incrementare notevolmente le infrastrutture per la raccolta delle acque a uso plurimo, in modo da contribuire alla riduzione del rischio idrogeologico; ripristinare le capacità di invaso dei bacini attualmente in esercizio, spesso compromesse da sedimenti o problemi statici; rendere funzionanti i bacini attualmente non in esercizio e portare a termine le opere incompiute».

Le incompiute, altro nervo scoperto: nel campo delle opere idrauliche come di tutto il sistema infrastrutturale.  In un documento dell’Associazione dei consorzi di bonifica, questa volta del 2017, viene elencata una lista di interventi sul sistema idraulico bloccati dallo stop dei finanziamenti (o in qualche caso da contenziosi). E la situazione – fanno sapere –  è sostanzialmente la stessa. Un caso, proprio in Emilia Romagna, la riorganizzazione funzionale delle derivazioni nell’areale Val Trebbia: lavori interrotti nel 2009 per alluvioni.

 E non cambia la musica in Abruzzo o nel Lazio: in quest’ultima regione non è stata portata a compimento, tra gli altri interventi, la ricalibratura della rete scolante  nel canale Dragoncello (Tevere Agro Romano), ma anche  a Sora o nell’Agropontino. Opere interrotte addirittura nel comprensorio di Sarno. Così come nel Gargano, ad Agrigento, Caltagirone e in Calabria.

Attualmente gli invasi esistenti sono 114,  con una capacità di 1.089.757.200 metri cubi,  ma risultano insufficienti.  Di un grande piano acqua si parla da decenni.  E in una relazione di qualche anno fa anche la Corte dei conti non era stata tenera sull’attuazione del Piano irriguo in questo caso relativo al Mezzogiorno: «Assenza di un’omogenea programmazione, tra Centro Nord e Sud, continue rimodulazioni finanziarie, risorse inadeguate, lentezza nella realizzazione delle opere comunque realizzate al 100% nel 63% degli interventi».

Siccità e alluvioni devastanti stanno devastando da decenni il territorio. Ora quest’ultima tragedia potrebbe dare la spinta definitiva.  Per martedì è convocato il Consiglio dei ministri che dovrebbe adottare i primi interventi d’urgenza, ma sono state annunciate anche opere strutturali.

SERVONO RISPOSTE STRUTTURALI

È quanto ha ribadito ieri il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida: «Dobbiamo fare un lavoro che ci permetta di rispondere in modo strutturale. Nel frattempo stiamo cercando di trovare le risorse idonee ad affrontare l’emergenza per salvare vite e più cose possibili, per arrivare almeno a una cifra base per rispondere nell’immediato».

Il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin,  ha ipotizzato anche l’attivazione del Fondo di solidarietà europeo, ma ha chiarito: «Serve pianificazione, programmazione di Comuni, Province, Regioni e Stato. Ma quando viene decisa un’opera di prevenzione va fatta».

Intanto in queste ore l’impegno è ancora finalizzato a salvare vite e aiutare chi rischia di perdere tutto. Le 30 bombe d’acqua che hanno colpito la Romagna in soli due giorni –  evidenzia Coldiretti – hanno trovato un territorio reso fragile dalla prolungata siccità a causa della caduta al nord del 40% di precipitazioni in meno nel primo quadrimestre dell’anno, e che non è quindi riuscito ad assorbire l’acqua che è caduta con tanta violenza.

Il settore agricolo è stato tra i più colpiti, con oltre 5mila imprese finite sott’acqua. A rischio – sottolinea l’organizzazione agricola – è l’intera filiera e almeno 50mila posti di lavoro tra agricoltori e lavoratori dipendenti nelle campagne, nelle industrie e nelle cooperative di lavorazione e trasformazione. Si parla complessivamente di danni miliardari: nelle campagne sono ancora incalcolabili, in attesa di verificarli dopo il deflusso delle acque e del fango.

A causa della cementificazione e dell’abbandono, l’Italia – ricorda Coldiretti – ha perso quasi 1/3 dei terreni agricoli nell’ultimo mezzo secolo, con la superficie agricola utilizzabile in Italia che si è ridotta ad appena 12,8 milioni di ettari. Una situazione che ha avuto un impatto pesante sulla tenuta idrogeologica del territorio (la migliore manutenzione è quella effettuata dagli agricoltori) e sul deficit produttivo del Paese, perché la chiusura delle imprese aumenta la dipendenza agroalimentare dall’estero.​


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