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Fondi coesione: in 9 anni, dal 2014 ad oggi, l’Italia è riuscita a spendere solo 36 miliardi, cioè appena 4 miliardi all’anno

Pochi giorni fa Lia Romagno ha pubblicato una interessante Tabella da cui emergono finalmente, in modo dettagliato, i dati relativi alle risorse comunitarie definite nel Programma 2014 – 2020.

Siamo riusciti in 9 anni (ripeto in nove anni), cioè dal 2014 ad oggi a spendere solo 36 miliardi di euro, cioè appena 4 miliardi all’anno; basterebbe questo dato per convincersi ancora una volta della incapacità diffusa dell’organo centrale e dell’organo locale ad attivare la spesa.

A tale proposito ricordo sempre che le responsabilità non sono solo delle Regioni ma anche dell’organo centrale in quanto i POR (Programmi Operativi Regionali) sono di competenza regionale mentre i PON (Programmi Operativi Nazionali) sono di competenza dei vari Dicasteri centrali. Questo assurdo dato preoccupa perché il 31 dicembre di questo anno perderemo circa 80 miliardi di euro, e questo dato che il ministro Fitto sta cercando in tutti i modi di ridimensionare, identificando possibili rivisitazioni con gli Uffici della Unione Europea, era noto anche con i governi Conte 1 e Conte 2 e Draghi, e la cosa che mi sconcerta maggiormente che:

• nessuna Regione, magari quelle più virtuose, non abbia sollevato il problema bloccando in questi anni il Documento di Economia e Finanza (e quindi bloccando la Legge di Stabilità) anche per le lentezze accumulate o dai Dicasteri competenti o dal CIPE);

• nessun parlamentare e nessuno schieramento politico abbia chiesto la istituzione di una Commissione parlamentare per verificare le responsabilità di un simile scandalo (oggi tra l’altro le Commissioni parlamentari vengono istituite anche per litigi condominiali);

• il sindacato tanto attento alla crisi del Mezzogiorno non abbia detto nulla in tutti questi anni che ci avviavamo a perdere 80 miliardi di euro, cioè non hanno detto nulla ai ministri del Mezzogiorno come la Lezzi, come Provenzano, come Carfagna o ai ministri delle Infrastrutture come De Micheli o Giovannini che durante la innumerevole serie di convegni avevano assicurato sempre il rispetto dei tempi di attuazione nell’utilizzo dei Fondi.

Ma non mi preoccuperei più di quello che è stato un fallimento acclarato, non mi preoccuperei più di individuare le responsabilità di chi ha fatto sì che si perdessero al 31 dicembre di questo anno 80 miliardi di euro, tutto questo ormai è il passato e dobbiamo solo prendere atto che dal governo Renzi, al governo Gentiloni, ai governi Conte 1 e Conte 2 e al governo Draghi i vari Ministri competenti hanno affrontato questo segmento di risorse comunitarie e nazionali come se le scadenze del 2020 prima e la proroga al 2023 poi, fossero solo masturbazioni della Unione Europea.

Ripeto non mi preoccuperei più perché constatato questo scandaloso fallimento penso sia più opportuno oggi affrontare un altro impegno programmatico quello relativo al Fondo di Sviluppo e Coesione 2021 – 2027, il cui valore è di 73,5 miliardi di euro ed esaminiamo cosa sia successo dal 2021 ad oggi, cioè cosa sia successo in questi primi tre anni. Purtroppo penso, e difficilmente sarò smentito, non sia successo nulla sul fronte della spesa reale. Mi risulta che c’è stato un CIPES nel 2022 in cui sono state rese disponibili risorse pari a 6 miliardi di euro ma non mi risulta che ci siano stati impegni di spesa, non mi risulta che siano stati affidati dei lavori, non mi risulta che ci siano degli Stati di Avanzamento Lavori (SAL), cioè non c’è stata alcuna concreta attivazione della spesa.

Proprio questa assenza di risorse già spese ha portato il Governo nel Decreto Legge Sud, varato pochi giorni fa, ad un cambiamento sostanziale nell’uso di tali risorse:

• La dotazione delle risorse è impiegata per iniziative e misure definite dal ministero per gli Affari Ue, il Sud, la coesione e il PNRR, guidato da Fitto, e per l’adozione di accordi che lo stesso Ministero dovrà firmare sia con gli altri Dicasteri e con le Regioni. In realtà viene istituita finalmente una unica governance.

• Gli impegni programmatici contengano interventi supportati da un dettagliato cronoprogramma, da un piano finanziario per annualità e, sempre il Decreto Legge delinea i casi di definanziamento. In particolare il mancato rispetto della tabella di marcia annuale porterà ad un definanziamento corrispondente alla differenza tra i pagamenti effettuati e le risorse non utilizzate.

Siamo praticamente alla fine del 2023 e dobbiamo capire se ci stiamo avviando verso una esperienza che abbiamo vissuto dal 2014 ad oggi e le raccomandazioni ed i vincoli imposti nel provvedimento varato dal governo e riportati sinteticamente prima forse dovrebbero essere ancora più vincolanti, addirittura sarebbe bene proporre che se “dopo un anno di attività si è disatteso per oltre il 30% il cronoprogramma o, addirittura, la WBS (Work breakdown structure è una scomposizione dettagliata delle parti del progetto e del relativo avanzamento realizzativo) del progetto, viene revocato il finanziamento”.

Sarebbe bene anche istituire “un Fondo Rotativo in cui canalizzare le risorse provenienti dai vari definanziamenti” in modo da consentire a tutti i soggetti direttamente interessati all’attuazione del programma di monitorare attentamente le inadempienze sia dell’organo centrale che dell’organo locale per poter poi accedere al Fondo Rotativo.

Insisto: è preferibile intervenire subito in presenza di un mancato avanzamento dei programmi e di una ritardata concreta attuazione delle opere che aspettare anni e poi scoprire la esperienza scandalosa del Programma 2014-2020 (prorogata al 2023).

Questo rischio l’attuale governo non può correrlo perché nei 9 anni passati si sono succeduti 5 governi, nei prossimi quattro anni, invece, ci sono ottime probabilità che non ci siamo cambiamenti.


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