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Vladimir Putin

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LA CRISI ucraina è il secondo terremoto che si abbatte sulla politica italiana dopo quello innescato dalla crisi pandemica. Anche se ci auguriamo che quanto prima prevalga la ragione e si trovi una via d’uscita al confronto bellico scatenato con insensata decisione da un autocrate in crisi di lucidità, nemmeno in questo caso il mondo tornerà quello di ieri: quando un equilibrio politico va decisamente in crisi (le premesse c’erano già con il fallimento della presenza occidentale in Afghanistan), per ricostruirlo ci vogliono anni e intanto l’economia che si era organizzata intorno a quell’equilibrio entra in una fase di tensione e sofferenza.

Come si troverà il nostro paese in questa nuova congiuntura? Lasciamo perdere le varie cavalcate sull’onda delle emozioni del momento, da quelli che si riscoprono a fianco del debole minacciato dal prepotente di turno (e non a caso cogliamo in molti commentatori i riflessi condizionati che nella retorica riportano alla vicenda del Vietnam) a quelli che vorrebbero fare i vice-pontefice e riscoprono il “not in my name” solleticando in nome di un ipocrita spirito di dialogo la velleità di starsene fuori dal trauma del momento (anche questo uno schema mentale già visto durante la pandemia).

Questa volta il tema è molto, ma molto più serio: come terremo insieme una società per tanti versi sfilacciata come la nostra nel momento in cui forse non ci saranno quelle disponibilità economiche che abbiamo dato per scontate? Anche se come speriamo si chiudesse la vicenda bellica in Ucraina, non ci vuol molto a capire che vivremo almeno per un certo tempo nell’attesa e nella preoccupazione che qualcosa di analogo si riapra. I fronti di frizione sono molti sullo scacchiere internazionale, il problema della redistribuzione delle aree imperiali esiste.

La decisione tedesca di aprire al riarmo è emblematica, ma anche comprensibile. Il problema di far fare un salto di qualità all’Unione Europea, che non può avere rilievo se non passa la frontiera del vago confederalismo per trovare una struttura sostanzialmente federale, è davanti agli occhi di chi vuole vedere. L’Italia che farà in questo contesto, che forse non è del tutto nuovo, ma che non è mai emerso in maniera così evidente?

L’esigenza di una riorganizzazione del nostro sistema politico e sociale è abbastanza evidente e peraltro si era già cercato di avviarla almeno in parte in risposta all’esigenza di avere accesso ai fondi europei del Next Generation EU. Ora non crediamo sia necessario spendere molte parole per illustrare le difficoltà che l’attuale governo sta incontrando per far avanzare i progetti di riforma per cui ci siamo fra il resto già impegnati. Nel clima di grande tensione che è prevedibile ci accompagni ancora per non poco tempo riusciremo a portare a termine quel che si è avviato?

Non vorremmo che la domanda suonasse stupida. Solo per fissarci su un aspetto, ricordiamo che dovremmo completare la riforma del sistema giudiziario se non altro per non affidare tutto all’inevitabile populismo che accompagna dei referendum. I partiti non sono esattamente compatti su questi temi, ma il governo potrà permettersi di metterli in riga nel momento in cui ha bisogno del massimo livello possibile di solidarietà nazionale per varare le nostre misure di emergenza in risposta alla crisi ucraina così come ci impongono la nostra partecipazione alla UE e alla NATO?

I mesi che ci attendono non sono semplici. Tanto per dire, dovremo elaborare un Documento di Economia e Finanza (DEF) che tenga conto del nuovo contesto economico, il che non consentirà certo di abbondare in “ristori”, “bonus” e quant’altro, mentre diventa incerta la ripresa del nostro sistema produttivo. E le cose si complicheranno quando si dovrà varare la legge di Bilancio, il che avverrà, presumibilmente, subito dopo una tornata di elezioni amministrative su cui si riverseranno le tensioni di questi mesi, e poco prima di una tornata di elezioni politiche che di quel test dovranno tenere conto. E’ probabile che lo shock di questo periodo da un lato metta in crisi l’ubriacatura di populismi di destra e di sinistra con cui si è baloccata una parte cospicua della pubblica opinione, ma dall’altro rilanci gli utopismi e le fughe in avanti come placebo per far fronte alle angosce collettive.

Sono fenomeni storici ricorrenti, ma oggi della storia non si sa più che farsene, salvo a scoprire che poi si prende le sue vendette, perché è un fiume carsico che prima o poi riaffiora. Ci permettiamo di osservare che di fronte ad una situazione che diventa anche più complessa di quel che si era immaginato, non sembriamo in grado di produrre la leadership culturale che sarebbe necessaria per orientare l’opinione pubblica in questi frangenti. Lungi da noi l’idea di fare di ogni erba un fascio, perché intelligenze acute e sensibilità avvertite non mancano nel panorama intellettuale italiano, ma magari non sono quelle che dominano il grande teatrino mediatico e questo, piaccia o meno, ha un’incidenza determinante nel costruire il comune sentire. Insomma la politica non dovrà occuparsi solo di ricostruire le sue zoppicanti articolazioni partitiche.

Dovrebbe cercare di contribuire alla creazione di una cultura diffusa che sia all’altezza delle sfide di questi tempi: che non sono più solo quelle dell’evoluzione tecnologica, perché ormai stiamo toccando i fondamenti che sorreggono la convivenza solidale delle comunità (locali, nazionali, federate).

(da Mente Politica)


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