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Il ministro Marta Cartabia

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La riforma della giustizia è giunta al primo tornante del suo percorso di approvazione. Ieri la Camera dei deputati ha avviato in Assemblea l’esame del disegno di legge che attribuisce al Governo deleghe per la riforma di numerosi aspetti, ritenuti qualificanti, dell’ordinamento giudiziario , della carriera dei magistrati e della nomina ad uffici direttivi, per la tendenziale distinzione delle funzioni e carriere di giudici e pubblici o ministeri, di limitazioni alla eleggibilità a cariche politiche o al collocamento fuori ruolo dei magistrati, per il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura ed il sistema elettorale dei componenti togati.

Questa sommaria elencazione da ragione della complessità di un intervento, che ha molte sfaccettature, e ad un tempo della sua parzialità, essendo orientato ad innesti e rettifiche del tessuto normativo esistente piuttosto che a un complessivo ed organico ripensamento del sistema giustizia. D’altra parte la riforma è collegata a due obiettivi resi urgenti.

La spinta ad una riorganizzazione ed alla connessa qualificazione della dirigenza giudiziaria che susciti maggiore efficienza dell’andamento della giustizia, come impone il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) condizionando l’ottenimento dei fondi europei. Un sistema elettorale per il prossimo rinnovo della composizione del Consiglio superiore della magistratura (CSM) che limiti, possibilmente, la influenza delle correnti della Associazione nazionale magistrati e superi le criticità che hanno scosso la fiducia sull’andamento di questo organo.

È evidente che le materie che vengono trattate e le nuove regole che si intende introdurre tocchino un nervo scoperto della magistratura. Prova ne sia il parere critico espresso dal CSM con un voto molto controverso al suo stesso interno, e la forte contrarietà della Associazione che raccoglie la generalità dei magistrati, pronta a manifestazioni di protesta. Tuttavia la riforma non prefigura uno sconvolgimento del sistema e segue piuttosto un metodo cautamente gradualista, in un terreno nel quale le stesse forze politiche che compongono la maggioranza governativa hanno obiettivi di fondo divergenti.

Uno degli elementi positivi è offerto dal rilievo che l’intervento riformatore intende attribuire ad aspetti organizzativi della attività giudiziaria, alla tempestività delle pronunce ed alla prevenzione dell’accumulo di procedimenti arretrati, che altri interventi straordinari tendono ora ad eliminare. È quello che ci si attende per assicurare la funzionalità di un sistema che ha effetti non secondari sull’andamento dell’economia. La direzione degli uffici giudiziari richiede non solamente autorevolezza e sapienza giuridica, doti che dovrebbero riguardare tutti i magistrati, ma anche capacità di gestione e impegno organizzativo , che presuppongono attitudine, formazione e sperimentazione. Nella determinazione dei criteri di selezione viene fatto un passo avanti in questa direzione, sia pure prefigurando una disciplina minuta che non mancherà di perpetuare i ricorsi ai giudici amministrativi di chi ha interesse all’annullamento delle nomine. Nel tempo occorrerebbe anche un mutamento culturale, aprendo alla prospettiva di una considerazione non gerarchica delle funzioni direttive, da considerare non come fattore di carriera, di distinzione e prestigio, ma come servizio strumentale per l’organizzazione della giurisdizione.

La designazione per gli uffici direttivi è attribuzione e responsabilità del Consiglio superiore della magistratura, e su questa attività, nella quale è apparsi come dominanti gli accordi tra le correnti associative, si è manifestata la crisi di credibilità del CSM. La nuova legge elettorale vorrebbe limitare la Incidenza dei gruppi organizzati, ma non sembra idonea a raggiungere questo obiettivo. Sorteggiare la aggregazione dei distretti, anche remoti, che compongono l’articolazione dei collegi elettorali allontana, anziché avvicinare, il candidato all’area nella quale può avere rapporti di stima e conoscenza personale, mentre rafforza il rapporto con la corrente organizzata che può sostenerlo. Le correnti sono egualmente rafforzate mantenendo il collegio nazionale per la elezione dei due magistrati di cassazione, il cui collegio potrebbe venire significativamente ristretto a quello, quantitativamente e funzionalmente adeguato, della Corte di cassazione.

Al di là della legge elettorale, che come ogni altro sistema consente imprevedibili torsioni e accordi tra gruppi organizzati, rimangono sullo sfondo ma essenziali la questione del costume e della integrità di chi è chiamato a comporre il CSM e la sua considerazione come organo di garanzia dell’indipendenza di ciascun magistrato, oppure di organo che “governa” la magistratura attraverso la gestione delle carriere.
Uno dei temi più discussi, e di più netta divaricazione politica, è la separazione delle carriere o delle funzioni dei magistrati del pubblico ministero da quella dei giudici. Il disegno di legge segue anche in questo caso una linea prudente e molto temperata, limitando nella carriera ad una sola opzione il passaggio dall’una all’altra funzione.

Ci sarebbe da riflettere se non sia opportuno, per tutti i magistrati, un periodo di pratica e di esercizio di funzioni collegiali, in modo da formare e sperimentare l’attitudine critica, al dialogo, alla impersonalità delle funzioni. Come pure è da segnalare il rischio che una corporazione separata di pubblici ministeri determini l’effetto non voluto di accrescere, anziché diminuire, l’incidenza del potere che può esercitare.


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