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Lorenzo Fontana

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DA TIFOSO del Verona Hellas, Lorenzo Fontana, il 14 ottobre, ha giocato a Montecitorio la ‘’partita della vita’’. È giovane, plurilaureato, in grazia di Dio, devoto della Madonna; pertanto può aspirare ad un futuro ancor più radioso. Essere stato eletto presidente della Camera ovvero terza autorità dello Stato è comunque un viatico di tutto rispetto.

È in queste circostanze che un leader politico deve dare il meglio di sé preparando, con i suoi collaboratori, un discorso che trapassi le mura di Montecitorio e, attraverso i mezzi di diffusione di massa, trasmetta ai cittadini una visione di futuro per la Repubblica. Non servono parole difficili, citazioni non comuni, perché “di parole che tutti odono sono scritte le frasi che nessuno ha udito mai’’.

Nel caso del discorso del presidente Fontana le omissioni sono molto più importanti e significative delle parole lette. Il neo presidente doveva presentarsi agli italiani smentendo le preoccupazioni che la sua elezione – a torto o a ragione – aveva suscitato. Prima di lui, al Senato, Ignazio La Russa si era accorto di questa esigenza e si era sforzato di riportare la sua storia personale e quella del suo partito all’interno dei valori della Costituzione, che non è mai neutra nei confronti della guerra civile che divise gli italiani tra il 1943 e il 1945, ma è intrisa dei valori che risultarono vincitori e bandisce in modo permanente quelli di coloro che combatterono “dalla parte sbagliata’’.

Fontana sa bene che esiste un’intera letteratura riguardante la sua vicinanza ideale a Vladimir Putin. In tante occasioni ha riconosciuto alla Russia una missione rigeneratrice della decadenza occidentale, con i medesimi argomenti del Patriarca Kirill. Molti italiani – che Fontana dovrà rappresentare – in merito alla sua elezione la pensano come Enrico Cisnetto che nella newsletter settimanale di Terza Repubblica ha scritto: “Vorrei essere una mosca a Mosca. Per poi entrare al Cremlino da qualche finestra lasciata aperta, superare i plotoni di esecuzione – se tanto mi dà tanto, devono farle fuori con la stessa ferocia con cui ammazzano gli ucraini – e infilarmi nelle stanze di Putin e dei suoi tirapiedi, per vedere lo spettacolo delle risa sguaiate e delle mani sfregate fino a consumar la pelle all’ascolto delle notizie provenienti da Roma. Figurati come se la ridono – ha aggiunto Cisnetto – nel vedere che un paese pilastro dell’Europa e della Nato – cioè quelli che Putin considera i suoi arcinemici – manifesta limiti clamorosi di tenuta della maggioranza uscita vincitrice dalle urne solo tre settimane fa, prima ancora che il Capo dello Stato abbia conferito l’incarico di formare il governo. E sai che piacere avrà fatto a quei signori trovarsi eletto presidente della Camera un fido amico della Russia, uno che ha indossato le t-shirt con la scritta “no sanzioni alla Russia”, che al tempo dell’annessione della Crimea bacchettava la Ue cattiva che non capisce la volontà di un popolo che “sente di essere tornato alla casa madre”, e che ancora dieci giorni prima della criminale invasione dell’Ucraina spendeva parole al miele per Putin. Così è, anche se non vi pare. Nel suo discorso il neo presidente non ha mai nominato Putin, non ha fatto riferimenti all’aggressione dell’Ucraina, ma la guerra era ricordata per l’esigenza di cercare la pace, con un occhio attento al Vaticano. «Il Papa sta svolgendo un’azione diplomatica a favore della pace senza uguali».

Poi, ricordando gli impegni iscritti all’ordine del giorno della XIX legislatura, il neo presidente è tornato sull’argomento con toni generici: “la prosecuzione dell’impegno nella ricerca della pace nel generale quadro della comunità internazionale e nei rapporti tra Ucraina e Russia’’. Un auspicio che rimane al di sotto di qualsiasi “minimo sindacale’’, tenuto conto delle critiche nei confronti dello zar del Cremlino, pronunciate in decine di occasioni ufficiali dal capo dello Stato: quel Sergio Mattarella definito da Fontana “perno della nostra nazione e fondamentale garante della nostra Costituzione’’. Poi dopo la più grave delle omissioni sulla guerra, il presidente ha lanciato la ‘’dottrina delle diversità’’, echeggiando vagamente concetti d’antan del Senatur, pubblicamente elogiato come Maestro.

“La ricchezza dell’Italia risiede proprio nella sua diversità e il compito delle istituzioni italiane è proprio quello di sublimare tali diversità, di valorizzarle attraverso le autonomie, nelle modalità previste e auspicate nella Costituzione. Il ruolo del Parlamento – ha proseguito un Fontana ispirato – sia all’interno delle aule che nella rappresentanza esterna, non deve prescindere dalla valorizzazione delle diversità e non deve cedere all’omologazione’’.

Poi il peana. “L’omologazione è uno strumento dei totalitarismi, delle imposizioni centrali sulle espressioni della volontà dei cittadini’’. Come la mettiamo con l’accusa di omofobia, di razzismo, di suprematismo bianco? Anche qui sarebbe stato opportuno fornire dei chiarimenti; chiedere delle scuse. Certo, sui “nuovi diritti civili’’ (che nel pensiero della sinistra hanno incautamente sostituito il marxismo-leninismo), Fontana ha delle opinioni diverse da quelle di Alessandro Zan (il che non è una colpa); ma nel momento in cui si arriva al vertice delle istituzioni sarebbe stato opportuno un po’ di revisione autocritica rispetto ad affermazioni discutibili più volte ribadite. Limitiamoci a riportare alcune performance di Fontana quando era ministro. “Abroghiamo la legge Mancino, che in questi anni strani si è trasformata in una sponda normativa usata dai globalisti per ammantare di antifascismo il loro razzismo anti-italiano”.

E ancora: “I burattinai della retorica del pensiero unico se ne facciano una ragione: il loro grande inganno è stato svelato”. “I fatti degli ultimi giorni – scrisse ancora Fontana – rendono sempre più chiaro come il razzismo sia diventato l’arma ideologica dei globalisti e dei suoi schiavi (alcuni giornalisti e commentatori mainstream, certi partiti) per puntare il dito contro il popolo italiano, accusarlo falsamente di ogni nefandezza, far sentire la maggioranza dei cittadini in colpa per il voto espresso e per l’intollerabile lontananza dalla retorica del pensiero unico. Una sottile e pericolosa arma ideologica studiata per orientare le opinioni’’.

Poi ecco riemergere, sia pure in modo equivoco il demone del sovranismo. “L’Italia deve dare forza alla propria peculiare natura, senza omologarsi a realtà estere più monolitiche e a culture che non diversificano. Vedete la diversità non è rottura, non è indice di superiorità di alcune realtà su altre viste erroneamente come inferiori, ma è espressione di democrazia e di rispetto della storia’’. A questo punto diventa chiaro che “i gravi problemi e le minacce esterne che provano a indebolire il nostro Paese’’, non provengono – secondo Fontana – dal Cremlino, ma da chi attraversa, con mezzi di fortuna, quei confini che Matteo Salvini vorrebbe difendere.


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