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ALCUNI sostengono che il Paese avesse altre priorità. Altri ritengono che, così facendo, Giorgia Meloni abbia, in qualche modo, premiato una parte minoritaria ma decisiva del suo elettorato. Fatto sta che il governo in assoluto meno sensibile alla questione Covid ha finito col riportarlo in auge con i suoi primi provvedimenti. Che hanno cambiato i paradigmi della gestione della pandemia, ondata d’autunno o meno, alleggerendo ulteriormente quel poco di restrizioni ancora rimaste. A partire dalla sospensione dei sanitari non vaccinati (qualcuno semplificherebbe con no-vax) che verranno reintegrati in servizio per far fronte, secondo il ministro Orazio Schillaci, alle carenze d’organico lamentate dagli ospedali. Saranno le singole direzioni sanitarie, ha poi spiegato il titolare della Salute, a decidere dove impiegarli.

Una discrezionalità che consentirà di salvaguardare i reparti popolati dai pazienti più fragili (pensiamo a quelli oncologici) evitando di farli entrare in contatto con personale non vaccinato. Per Schillaci il provvedimento risponde a una logica rappacificatoria, una sorta (prendendola molto alla larga) di amnistia a tutela delle categorie (soprattutto medici e infermieri) e del sistema sanitario nel suo complesso. Il problema è rappresentato dalle legislazioni adottate a livello regionale, che spesso prevedono misure più severe di quelle nazionali.

È il caso della Puglia, dove l’accesso a determinati reparti è permesso solo agli operatori che – recita la norma – si siano “attenuti alle indicazioni del Piano nazionale di prevenzione vaccinale vigente per i soggetti a rischio per esposizione professionale”. Lista di profilassi alla quale, dal 2021, è stata aggiunta anche quella anti Covid. Nel complesso la legge ha già superato favorevolmente il vaglio della Corte Costituzionale ma, ha annunciato il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, verrà comunque impugnata. Il governatore pugliese, Michele Emiliano, non l’ha presa bene, ha denunciato «l’inadeguatezza» di Gemmato e ne ha chiesto le dimissioni. Sul piede di guerra anche la Campania di Vincenzo De Luca mentre è tutta interna la querelle che, in Lombardia, ha portato alla volontaria uscita dalla giunta dell’assessora alla Salute Letizia Moratti. Che tra le varie cose ha sollevato dubbi pure sulla questione del reintegro dei medici non vaccinati.

Torniamo alle intenzioni di Schillaci: far tornare i sanitari sospesi dal servizio per rispondere alle esigenze degli ospedali. Il numero degli operatori interessati dal condono, tuttavia, è tale da risolvere gli atavici problemi di organico della sanità pubblica? Secondo una stima di Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurgi e degli odontoiatri (Fnomceo), i camici bianchi che torneranno concretamente a lavorare saranno meno di 2mila (1.878 per la precisione). Aggiunge Carlo Palermo, presidente nazionale Anaao Assomed, principale sigla sindacale dei camici bianchi in corsia: «La carenza di medici ospedalieri è di circa 15.000 unità. I sanitari no vax sospesi dagli Ordini sono circa 4.000: circa un terzo sono medici, la maggior parte liberi professionisti e odontoiatri. Gli ospedalieri in attività sospesi sono una minoranza. È difficile risolvere il problema carenze negli ospedali con questi numeri».

Il fenomeno delle carenze in organico a livello sanitario è molto più ampio e coinvolge tutta la filiera della formazione. Stando al network Consulcesi in Italia, attualmente, mancano 56mila medici. A mandare il sistema in affanno, sostengono gli esperti, non è tanto il mantenimento del numero chiuso per l’accesso alla facoltà di medicina (che al contrario sembra contenere il fenomeno dell’imbuto formativo) ma la carenza di specialisti. Un recente studio di Anaao Assomed sostiene, a tal proposito, che l’anno prossimo potrebbero mancarne circa 10mila nelle corsie degli ospedali. Un vuoto destinato a essere colmato solo nel quinquennio 2024-2028. Per superare il gap definitivamente le associazioni di categoria chiedono un coordinamento maggiore tra atenei e sistema sanitario in modo da garantire sia il giusto trattamento (economico e lavorativo) dei medici che una risposta adeguata alla domanda di assistenza della popolazione italiana.


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