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Ruben Razzante

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RUBEN Razzante è docente di Diritto dell’informazione all’Univesità Cattolica di Milano e alla Luiss di Roma e ha curato il recentissimo libro “I (social) media che vorrei”, (Franco Angeli, 2023). Il volume è particolarmente attuale e interessante poiché prende in considerazione alcuni temi come l’intelligenza artificiale, il metaverso, l’informazione, la sua protezione e i suoi limiti, il diritto che tutela la privacy nella diffusione delle notizie, i social media, l’utilizzo delle nuove tecnologie, la digitalizzazione come parte del Green Deal, la transizione ecologica, la comunicazione nell’epoca della post globalizzazione e molto altro. Il libro si rivolge in particolare a tutti coloro che si interessano dei processi innovativi in atto, che stanno radicalmente modificando la nostra vita e gli stili comunicativi e relazionali.

Prof. Razzante, l’idea di metaverso va oltre la mera evoluzione di internet e si può esplicitare come un mondo virtuale inclusivo. Psicologi, pedagogisti, sociologi, persino psichiatri si chiedono se il metaverso sia un passo necessario da compiere. Se l’uomo cederà il posto al proprio avatar.

«Il Metaverso è un’espansione virtuale del mondo reale, dove viviamo e interagiamo attraverso un avatar e tramite dispositivi tecnologici e indossabili, come smart glasses, caschi e visori di realtà virtuale, guanti e tute tattili. Un mondo digitale in cui le persone possono vivere una vita parallela a quella del mondo reale. Tuttavia, urge un “galateo” per il Metaverso. Ne è la riprova la circostanza che l’Unione europea è impegnata nella definizione di una proposta di Regolamento sul Metaverso, al fine di perimetrarne con precisione un concetto e di consentire alla comunità virtuale di comprenderne la portata. I problemi giuridici posti dal Metaverso in ordine alla tutela della privacy degli utenti, alle criticità legate al riconoscimento del diritto della proprietà intellettuale e alla individuazione delle responsabilità degli avatar appaiono incalzanti. Ci vuole un nuovo quadro giuridico incentrato su un rapporto dinamico tra essere umano e nuove tecnologie».

Recentemente il Prof. Geoffrey Hinton, considerato uno dei padri dell’I.A. si è dimesso da Google, dopo dieci anni di militanza immersiva e ha esposto alla BBC motivazioni che hanno suscitato scalpore e allarme. Gliene cito una: “Al momento possiamo dire che i robot non siano più intelligenti dell’uomo ma non escludo che lo possano diventare”. Esiste questo pericolo?

«L’intelligenza artificiale è un’arma a doppio taglio: da una parte può affinare i meccanismi di tutela del copyright sui contenuti; dall’altra può agevolare, con la sua insondabile genialità, le violazioni. La domanda da porsi è: il prodotto creativo di un chatbot potrà prima o poi essere protetto sul piano della proprietà intellettuale tanto quanto il prodotto dell’opera umana? Più in generale se l’AI non verrà utilizzata in conformità con la legge e non rispetterà i diritti fondamentali delle persone, compresi quelli relativi alla dignità, alla privacy, all’onore, all’immagine, alla non discriminazione e alla proprietà intellettuale, essa diventerà il killer del benessere digitale anziché armonizzarsi con la prospettiva della costruzione di un nuovo umanesimo digitale. Bisogna dunque vigilare».

Nell’informazione come distinguere le idee sostenibili dal mercimonio delle mere opinioni o peggio delle fake news?

«Affinando sempre più i criteri di trasparenza nella verifica dei flussi informativi e nella rendicontazione ai cittadini degli interventi effettivamente attuati in difesa dei contenuti autentici e verificati, si intende dare un contributo fattivo alla realizzazione di un ambiente digitale più attento alla qualità dei contenuti. Punto qualificante della strategia di contrasto alla disinformazione la riduzione degli incentivi finanziari per i fornitori di informazioni false e fuorvianti (demonetizzazione), un sentiero da percorrere in maniera sempre più convinta e determinata. L’informazione libera e di qualità ha un valore, anche economico. In Rete si trovano con facilità moltissime notizie, ma solo alcune sono prodotte professionalmente e arricchiscono il patrimonio di conoscenze dei cittadini-utenti».

Quella per la legalità e la liceità dei contenuti formativi e informativi dei social è una battaglia persa in partenza?

«Il 15 dicembre 2022 Consiglio europeo, Parlamento europeo e Commissione europea hanno proclamato solennemente la “Dichiarazione europea sui diritti e i principi digitali per il decennio digitale”. In sei capitoli il documento traccia le linee guida della promozione di “un modello europeo per la trasformazione digitale che metta al centro le persone, sia basato sui valori europei e sui diritti fondamentali dell’Ue, riaffermi i diritti umani universali e apporti benefici a tutte le persone, alle imprese e alla società nel suo complesso”. Tra i tanti punti qualificanti: il concetto di tecnologie inclusive, in grado di unire le persone; una connettività di elevata qualità con l’accesso universale a internet; il diritto alla formazione digitale; i sistemi algoritmici e di intelligenza artificiale come strumenti per aumentare il benessere umano; un ambiente digitale sicuro, protetto e tutelato; le tecnologie digitali sostenibili e con un impatto negativo minimo su società e ambiente».

E’ sbagliata e solo suggestiva l’opinione di chi crede che la burocrazia digitale finirà per essere peggiore e più complicata di quella “tradizionale” di cui ci siamo sempre lamentati?

«L’essere umano non è certamente riducibile ai suoi dati. La mercificazione dei dati per finalità commerciali e di profilazione svilisce l’incommensurabile profondità dell’uomo e alimenta il “dataismo”, inteso come sacralizzazione dei dati, concepiti come divinità ai quali attribuire una missione “salvifica”. Occorre dunque combattere la spersonalizzante tendenza ad esasperare la dimensione quantitativa dei dati, ma questo non vuol dire in alcun modo svalutare i dati. Occorre, invece, riscoprirne il valore di proiezioni della nostra identità personale, mettendo al centro delle riflessioni sul nostro rapporto con la Rete il tema della sovranità digitale, come evidenziato nel Manifesto di Pietrarsa, prodotto in occasione di un evento celebrativo dei 25 anni dell’Autorità garante della protezione dei dati personali promosso dall’Autorità stessa».

In questi giorni Vivek Murthy, Surgeon general’, massima autorità sanitaria USA e rappresentante nell’OMS ha messo in guardia sugli effetti della condizione esistenziale epidemiologica di ‘solitudine e di isolamento’ nella popolazione americana.

«Agevolare, con umiltà e sensibilità al benessere collettivo, la graduale emersione di sinceri stimoli costruttivi può orientare l’evoluzione della dimensione digitale verso radiosi approdi, nel segno dell’equità, dell’inclusività e dell’ottimizzazione delle potenzialità di ciascuno. Occorre combattere l’infocrazia con le armi della generosa condivisione e del maturo discernimento, puntando alla sanificazione dei circuiti mediatici».

Ho trovato particolarmente interessante il suo capitolo conclusivo del libro, dedicato al “Decalogo dei (social) media che vorrei”. Si tratta di dieci priorità che Lei invita a perseguire per trovare il giusto equilibrio tra libertà e responsabilità. Le chiedo se ce lo vuole riassumere.

«Il “decalogo” stilato in questa sede non ha alcuna pretesa di esaustività. Va preso come una bussola orientatrice nello scenario delle trasformazioni in atto nell’ecosistema multimediale e come una sorta di “manifesto” delle priorità sempre aperto a integrazioni e nuove suggestioni indotte dall’attualità. Occorre non immolarsi sempre e comunque sull’altare del nuovismo, cavalcando l’onda dell’emotività. Nella “sala operativa” della cittadinanza digitale, che si nutre di appaganti diritti ma anche di sfidanti doveri, bisogna rifuggire dalla tentazione del presentismo, che impedisce di comprendere l’essenza della transizione e dei cambiamenti e occorre affrontare gli abissi del web coltivando l’ecologia del linguaggio e declinando una visione antropologica inclusiva e sostenibile delle tecnologie. Solo a queste condizioni il totalitarismo digitale non prevarrà».


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