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Caianiello durante una intercettazione

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«Controlla le elezioni e controllerai la città». È un adagio, esplicito quanto efficace, per illuminare ciò che di illecito accade in numerosi centri della Penisola, dove la mafia è capace di infiltrare completamente il tessuto sociale, politico, economico.

Non siamo nel profondo Sud della provincia casertana, dove negli anni Novanta era in vigore esclusivamente la legge del clan dei Casalesi, che decideva sindaci, intere amministrazioni comunali e distribuiva appalti, pagati con fondi pubblici, direttamente alle «sue» imprese.

Siamo nei giorni nostri, nel ricco Nord, nel Varesotto, nel Novarese, nella produttiva provincia lombarda. Territorio di caccia in cui si muoveva Nino Caianiello, soprannominato Jurassik Park, arrestato nell’ambito dell’operazione “Mensa dei poveri” scattata lo scorso maggio e che ha portato all’esecuzione di 43 misure cautelari a fronte di un centinaio di indagati.

LA SVOLTA CAIANIELLO

L’ex vertice di Forza Italia a Varese è considerato a capo di un vero e proprio “tangentificio”, specializzato nell’accaparrarsi voti da trasformare in poltrone per perpetrare il potere e distribuire bandi e incarichi agli amici degli amici.

Ma c’è di più, e viene a galla nel momento in cui Caianiello decide di collaborare con la giustizia perché, afferma, è stanco della vita che ha condotto fino a quel momento, stanco dei legami con persone che lo hanno accompagnato durante tutto il corso della sua oscura carriera politica.
Parla, e sullo sfondo delle sue dichiarazioni compare lo spettro sinistro della ’Ndrangheta. Nel Varesotto, nel Novarese, al Nord. Addirittura a Lonate Pozzolo (centro della provincia di Varese che conta nemmeno 12mila anime).

Nei verbali delle deposizioni di Caianiello, raccolte dal pm Luigi Furno, il racconto dei rapporti esistenti tra la mafia calabrese e la politica delle piccole frazioni. Da metà dello scorso settembre, Caianiello non ha intenzione di restarsene più in silenzio e finisce per coinvolgere anche il “re dei Caf”, tale Peppino Falvo e l’ex sindaco di Lonate Pozzolo, Danilo Rivolta.
La ’Ndrangheta, dopo aver appoggiato chi doveva per le elezioni, alla fine decide di andare a riscuotere. E allora Caianiello svela al pm: «Dopo la vittoria elettorale del 2009, Danilo Rivolta venne da me in Amsc (l’Azienda multiservizi comunali di Gallarate, ndr) insieme a Patrizia De Novara. Mi chiese di trovarle una collocazione» nella società pubblica.

LEGAMI CON LA POLITICA

Ma chi è De Novara e perché si deve contrattualizzare? La riposta sta nel fatto che la donna fa parte di una famiglia a cui «non si può dire di no».
«Rivolta mi aveva detto che dopo l’appoggio ottenuto alle elezioni da parte della famiglia De Novara, si trovava in difficoltà perché avrebbe dovuto sdebitarsi (…) Mi fece capire in maniera del tutto chiara che si trattava di una famiglia con collegamenti con la criminalità organizzata calabrese, da cui aveva ricevuto un appoggio alle elezioni».

Passano gli anni, ma il trait d’union tra una certa politica e la ’Ndrangheta continua a sussistere, tanto è vero che, riferendosi al 2018, Caianiello spiega ancora al pubblico ministero: «Alle elezioni dell’anno scorso (2018, appunto), a Lonate, Peppino Falvo mi disse che si rischiava di perdere i voti della famiglia De Novara (…) mi dissero, Falvo e Sante Cinalli, che a Lonate, i calabresi erano arrabbiati perché nelle liste che si stavano formando non c’erano i propri referenti».

L’Antimafia è al lavoro per trovare i riscontri alle dichiarazioni rese da Caianiello ma soprattutto per riuscire ad allargare il campo investigativo ad altri filoni che spuntano man mano dal sottobosco politico-affaristico-criminale del Milanese del fascicolo.

ENTI PUBBLICI E FONDI NERI

In particolare i lavori affidati alle ditte, da parte di enti pubblici, in maniera diretta o perché sotto soglia (vale a dire per un valore inferiore ai 40mila euro) oppure perché considerati di «somma urgenza». Appalti che devono essere eseguiti immediatamente e che non richiedono le procedure standard di pubblicizzazione che vengono imposte dalla legge.

Occasioni ghiotte per i consorzi mafiosi per arricchirsi velocemente e per infiltrare, in maniera «invisibile», le Amministrazioni locali entrando dalla meno sorvegliata porta di servizio.

La Procura di Milano indaga pure per venire a capo della vicenda di presunti fondi neri riconducibili a Caianiello e depositati in Svizzera.
Al momento su questo versante non si registrano ammissioni del collaboratore di giustizia, che per anni ha guidato una struttura che aveva fatto della tangente del 10%, un vero e proprio “brand”. Mazzette incassate per affidare lavori, e giustificate con fatture false per consulenze inesistenti. I soldi erano veri e finivano al partito (Forza Italia) per il sostegno della campagna elettorale o agli stessi candidati.

«Nella provincia di Varese – ammette Caianiello davanti al pm – esiste un sistema di retrocessioni che prevede forme di finanziamento ai partiti. Con riferimento agli incarichi elettivi di partito e alle nomine nelle società pubbliche le retrocessioni… negli ultimi otto anni si sono tradotte, a livello provinciale, nella associazione Agorà liberi e forti. Il 10% era stringente per quanto riguarda i finanziamenti da parte dei soggetti che assumevano incarichi elettivi. Per i professionisti le retrocessioni oscillavano tra il 4 e il 7%».

IL SISTEMA 10%

Ma il numero dieci doveva piacere parecchio a quelli del sistema Caianiello. Perché, come afferma sempre lui, «coloro che rivestivano incarichi elettorali erano tenuti a versare il 10% della loro indennità ad Agorà liberi e forti».

Era una specie di «sensibilizzazione – dice Caianiello – che veniva fatta ai professionisti privati che prendevano incarichi dalle partecipate».

Secondo l’ex uomo forte azzurro a Varese, la «sensibilizzazione» sarebbe stata condivisa pure con il «coordinamento provinciale di Varese, nella persona di Lara Comi».

Caianiello ha raccontato ai magistrati anche dei suoi trascorsi con l’ex senatore Marcello Dell’Utri. Risalgono a una ventina d’anni fa. Era il1999, tempi di Seconda Repubblica (o quasi) e a presentare Dell’Utri a Caianiello fu Massimo Buscemi.

L’ex assessore regionale si attivò, dice Caianiello, perché potesse seguire Dell’Utri nella campagna del ‘99. Un rapporto stretto, Caianiello dice che in quel periodo avrebbe seguito l’ex senatore come un’ombra: «Ero sempre in macchina con lui, assistevo alla sua campagna elettorale».


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