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I governatori Bonaccini, Zaia e Fontana

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Tornano le problematiche accantonate con il lockdown. Tra queste l’autonomia differenziata è già al centro del dibattito. Forti della pressione delle regioni, in una strana mescolanza tra quelle di sinistra come l’Emilia Romagna e quelle leghiste come la Lombardia ed il Veneto. Ma ormai è abbastanza assodato che vi sia un accordo tacito tra la sinistra emiliana con le punte di Milano e Bergamo e la gestione leghista di Lombardia e Veneto, a cui presto si aggiungeranno le altre regioni del Nord.

Il tema di fondo riguarda l’esigenza e la volontà da parte delle regioni ricche di tenersi il loro surplus fiscale. Come fossero degli Stati autonomi vogliono utilizzare le risorse che producono, in maniera da poter consentire ai propri concittadini degli standard di welfare, che lo Stato non potrebbe consentire se dovesse trovare le risorse per tutti. Asili nido ? Scuolabus? Sanità ? Scuola? Perché non dare servizi sempre più completi se la Regione ha un surplus fiscale che lo consentirebbe? Dopo anni di propaganda leghista su un Sud sprecone e parassita che aspira ad un reddito senza lavoro, ritornare indietro ai concetti di solidarietà e di diritti di cittadinanza uguali per tutti non ë complicato ma impossibile.

E quindi Francesco Boccia non potrà che riprendere il vecchio progetto e cercare di renderlo più equo possibile, avendo chiaro però che la pressione delle forze politiche, con poche eccezioni, anche all’interno del PD, é verso una regola: ognuno si tiene le risorse che produce. Quella che é stata definita la secessione dei ricchi, quella che é stata contestata con dati inequivocabili di risorse pro capite assolutamente sperequate tra una parte e l’altra del Paese, alla fine avrà una sua legittimazione normativa, visto che ad oggi la distribuzione delle risorse ha aspetti di incostituzionalità. Già se vi saranno i correttivi relativi ai livelli essenziali di prestazioni, i cosiddetti Lep, e se la riforma non andrà avanti fino a quando tali livelli, come peraltro era previsto, non saranno calcolati, se ciò avverrà sarà un gran risultato.

Suona strano che tutto questo possa avvenire malgrado la presa di coscienza di molte regioni meridionali, ed il dibattito ampio che ha coinvolto enti di ricerca, come la Svimez, tanti ricercatori e molte delle università meridionali, che hanno concluso che l’autonomia differenziata in realtà porta a tanti staterelli. E malgrado che l’esperienza Covid abbia mostrato l’esigenza di una linea di comando unica, visto i danni che le decisioni di singole Regioni hanno portato al bene comune, con decisioni su distanziamenti, mezzi pubblici, chiusura di Universitá che hanno avuto ripercussioni su le altre regioni estremamente rilevanti. Peraltro si vuole portare l’accordo in Parlamento in una forma blindata, che non consenta molte modifiche perché é chiaro a molti che se si apre un dibattito e più parlamentari del Sud, in genere disattenti e concentrati sulle loro esigenze spicciole, realizzano gli effetti di una tale riforma potrebbe avvenire che si blocchi tutto.

Anche se la forza di “moral suasion” ed il potere dei partiti non é da sottovalutare. Se dovesse passare diventerebbe normale ciò per cui si é gridati allo scandalo e cioè che alcuni servizi siano differenziati per aree, per cui le realtà più ricche li avrebbero di un livello diverso e superiore rispetto a quelle più marginali e periferiche. L’effetto sara quello di alcuni comuni del Trentino che hanno i marciapiedi di marmo ed altri comuni del Sud che non hanno nemmeno i marciapiedi in cemento.
Ma al di là degli effetti rispetto alle popolazioni delle singole regioni, alcune delle quali saranno molto soddisfatte ed altre invece molto meno, è evidente rispetto gli effetti che produrrà una tale normativa rispetto al sistema Paese. Le regioni del Sud avranno un processo di sviluppo più lento, cosa che inciderà sull’evoluzione dei territori in termini socio culturali. Per cui per esempio meno investimenti nella scuola porteranno il permanere della dispersione scolastica, una qualità più scadente dei territori e delle città ad un più difficile sviluppo turistico. In generale il processo di messa a regime di un terzo del territorio e della popolazione del Paese sarà più lento con conseguenze sullo sviluppo turistico, già molto contenuto, e di quello manifatturiero perché é evidente che una realtà con servizi meno efficienti avrà più difficoltà ad attrarre investimenti dall’esterno dell’area. Insomma tutto il contrario di quello che ha fatto la ricca Germania con la ex DDR, per la quale ha previsto un prelievo fiscale apposito per accelerare lo sviluppo di quelle aree, cosa che ormai é quasi avvenuta, e che ha portato la Germania a primeggiare in Europa e nel Mondo. Sono scelte: ogni Paese fa le sue.

Noi possiamo continuare ad utilizzare il Sud come area per le produzioni inquinanti, non valorizzare la piattaforma logistica del Mediterraneo, non investendo adeguatamente nelle infrastrutture ferroviarie di alta capacità e velocità, magari privilegiando in tal modo Genova o Trieste , ma prevalentemente Rotterdam ed Aversa. Possiamo diventare terzi o quarti per presenze turistiche, superate da Spagna e Francia, pur avendo Pompei ed Ercolano, due vulcani attivi, Stromboli ed Etna, i parchi archeologici più belli del Mediterraneo come Paestum, Selinunte ed Agrigento, i bronzi di Riace in una città sporchissima; possiamo fare tutto questo ma dobbiamo pure sapere che il problema non sarà di Reggio Calabria o Agrigento, ma che quello che perde in presenze turistiche il Mezzogiorno lo perde il Paese, che presto sarà costretto a intervenire con il numero chiuso a Venezia e Firenze. Mentre le realtà bulimiche del lodigiano, del bresciano o del bergamasco soffriranno sempre di più per un inquinamento dovuto ad una concentrazione di manifatturiero che alla popolazione potrà portare poco. Perché al massimo in una famiglia potranno lavorare marito moglie e i figli, ma se serviranno altri occupati si dovranno far venire dal Sud, dalla Polonia o dalla Romania se non dalla lontana Cina.
Sembra una logica facile da comprendere ed invece il nostro Paese, in una visione campanilistica e provinciale, non riesce ancora ad avere chiaro che se non cresce lo stivale esso si tira dietro tutti.

E che l’ipotesi di staccarsi e lasciare alcuni territori annegare non é praticabile, perché le reazioni, strutturate o alla Masaniello, costringeranno il Paese a fare i conti con un disagio diffuso ed amplificato da una mobilità che sbatte in faccia le differenze tra i marciapiedi di marmo e la mancanza di essi.


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