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Una volta tanto ammettiamo apertamente che stiamo riscoprendo la validità degli strumenti della Legge Obiettivo. Lo so dà fastidio al Movimento 5 Stelle e a tutti coloro che ritenevano “criminogena” la Legge ed il suo contorno amministrativo.

Questa mia premessa è motivata da una notizia diffusa ultimamente dal Governo in merito ad una svolta ritenuta davvero rivoluzionaria; in particolare la svolta, sempre a detta del Governo, è contenuta nell’articolo 48 (comma 4) del Decreto Legge Semplificazioni, approvato già dalla Camera dei Deputati.

Tre righe che danno la misura del cambio di passo voluto dal Presidente Draghi: i tribunali amministrativi non avranno più il potere di bloccare i cantieri. Tre righe, in un decreto di 67 articoli, per spazzare via il fardello della giustizia amministrativa.

In caso di contenziosi amministrativi le opere del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR) e del Programma complementare proseguiranno il loro iter e non subiranno interruzioni.

Per gli investimenti previsti dal Recovery, la norma stabilisce che in caso di impugnazione degli atti relativi alle procedure di affidamento, i lavori delle opere andranno avanti, al netto dell’esito del contezioso.

Questa, in fondo, è la garanzia che l’Italia procederà in velocità, senza pregiudicare le legittime tutele per le imprese.

Ebbene, se entriamo con maggiore attenzione all’interno della “norma blocca TAR”, varata con tale Decreto Legge, scopriamo che essa richiama l’articolo 125 del processo amministrativo (Decreto Legislativo 104/2010): una procedura, già prevista in casi straordinari, per le opere incluse nel Programma delle Infrastrutture Strategiche previsto dalla Legge Obiettivo e che ora si estende a tutti gli appalti finanziati con i fondi del PNRR e del PNIEC (Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030).

All’impresa, che eventualmente vince il ricorso al TAR contro l’aggiudicazione dei lavori al concorrente, spetta esclusivamente una tutela risarcitoria. Basta sospensione dei lavori. Il cantiere andrà avanti senza perdersi tra ricorsi e carte bollate. Sarà il giudice a stabilire l’ammontare del risarcimento.

In tal modo si evita un blocco causato dal folle sistema dei contenziosi; basta leggere i numeri, pubblicati in un’inchiesta di Repubblica, per avere un’idea del macigno dei contenziosi amministrativi: cento settantaquattro ricorsi al giorno, più di mille e duecento a settimana, sessantaquattro mila all’anno.

La norma, quindi, si ripropone l’obiettivo di ridurre il potere dei giudici amministrativi. Un potere considerato un deterrente per gli investitori stranieri, spaventati dai ricorsi e dalla lentezza delle decisioni. Ma nascono automaticamente due interrogativi:

  • Perché il Governo non ha, solo con una circolare, imposto il rispetto dell’articolo 125 del Processo Amministrativo già previsto per le opere incluse nel Programma delle Infrastrutture Strategiche della Legge Obiettivo
  • Perché prima di formulare la nuova norma il Governo non abbia verificato perché l’articolo 125 non è stato utilizzato in passato

Sarebbe stato sufficiente un approfondimento da parte dei Capi Uffici Legislativi dei vari Ministeri, direttamente e indirettamente interessati, e sarebbe emerso subito che in passato, dopo uno o due primi tentativi, la norma non fu più invocata dalle stazioni appaltanti perché prendeva corpo, e mi sembra che per uno o due casi prese corpo, l’ipotesi del danno all’erario da parte della Corte dei Conti.

In quanto, a valle del risultato positivo della impugnativa sollevata da un secondo classificato, quanto riconosciuto come indennizzo si configurava, ripeto, come danno all’erario e, quindi, il responsabile che avallava una simile operazione avrebbe dovuto garantire la copertura di tale indennizzo.

Quindi la norma, che ritengo essenziale e sicuramente validissima per velocizzare l’affidamento delle opere, è in grado di ottenere le risorse previste Recovery Fund, deve però chiaramente ribadire che non ricorrono le condizioni per il danno all’erario e che quindi la Corte dei Conti non può sollevare indagini e non può far gravare sulla responsabilità del soggetto aggiudicatore nessuna responsabilità.

Ma penso che per cercare di superare dei punti critici che caratterizzano il rapporto tra stazione appaltante e imprese di costruzione, sarebbe opportuno affrontare in modo trasparente una delle cause sistematiche che in passato e ancora oggi mette in crisi l’intero sistema di affidamento delle opere pubbliche, mi riferisco in particolare al tema della “offerta anomala”. Ritengo utile in proposito ricordare la Legge 120/2020 — Conversione in legge, con modificazioni, del Decreto – Legge 16 luglio 2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione”; all’articolo 1 comma 3, è previsto che “nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, le stazioni appaltanti procedono all’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia, come individuata dall’articolo 97, commi 2, 2 -bis e 2 -ter del Codice, anche qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque”.

Tale norma ha lo scopo di evitare i procedimenti di verifica di anomalia delle offerte, abbassando da 10 a 5 il numero minimo di offerte ammesse per l’applicabilità del meccanismo.

Ma tale previsione opera automaticamente anche se non prevista nella documentazione di gara? E nel caso di annullamento di un provvedimento di esclusione dalla gara di un’offerta ritenuta anomala cosa accade e quali sono gli obblighi per la stazione appaltante prima di procedere all’aggiudicazione della gara?

A rispondere a questa domanda ci ha pensato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3085 del 14 aprile 2021 pronunciatasi in riferimento ad un ricorso presentato per l’annullamento di una decisione di primo grado dove nell’ambito di una gara l’offerta di un concorrente, a seguito di verifica di congruità, era stata ritenuta anomala e quindi esclusa. Tale esclusione era stata confermata prima dal TAR e poi annullata dal Consiglio di Stato.

Nel ricorso al TAR, la seconda classificata. al fine di difendere la sua posizione, ha ripreso ad analizzare la confusa documentazione giustificativa che era stata prodotta dalla concorrente esclusa e poi riammessa, in quanto convinta del fatto che tale annullamento avrebbe imposto alla stazione appaltante un nuovo subprocedimento di verifica di congruità rispetto all’offerta.

Secondo il Consiglio di Stato “l’aggiudicazione impugnata non è stata preceduta da una nuova valutazione di congruità, sicché tale profilo si è cristallizzato, e il ricorso tenta di rimettere in discussione la congruità dell’offerta valorizzando sul piano esclusivamente formale la nuova aggiudicazione”.

Appare evidente che mentre nel caso dell’esclusione automatica sia necessario includere una norma che eviti l’intervento della Corte dei Conti, nel caso invece relativo alla tematica sollevata dalla “offerta anomala” ritengo sia opportuno chiarire in modo inequivocabile ogni possibile diverso comportamento della stazione appaltante.

Queste mie considerazioni sono, senza dubbio, molto tecniche e sicuramente, non essendo io laureato in materie giuridiche, contengono tanti errori soprattutto nella parte espositiva ma ritengo, per la mia pluriennale esperienza diretta ed indiretta nel comparto delle opere pubbliche, che da queste considerazioni si evinca quanto sia difficile liberare questo comparto chiave dell’economia del Paese da vincoli procedurali che, a mio avviso, possono essere superati solo indossando una carica di umiltà ogni volta che tentiamo di liberare l’intero settore da vincoli spesso inesistenti o creati volutamente.

Sono sicuro, in tutti i modi, che questi errori, nella comunicazione e nell’approfondimento corretto delle proposte di Legge, errori ommessi dalla squadra del Presidente Draghi, diano molto fastidio al Presidente.


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