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Ritengo opportuno e indispensabile fare una precisazione: le considerazioni che seguiranno sono essenzialmente una forte provocazione generata da una consuetudine ormai cristallizzata su alcuni presupposti. Ecco quali.

I PRESUPPOSTI DELLA CONSUETUDINE CRISTALLIZZATA

• Il Sud ha ricevuto tante risorse, molte di più delle percentuali più volte condivise a livello parlamentare; ciò è vero ed è vero anche che tali assegnazioni purtroppo non vengono spese e rimangono solo riferimenti percentuali.

• Le risorse assegnate al Sud dal Pnrr sono davvero rilevanti e questo convincimento però non tiene conto che il rilevante contributo comunitario è motivato essenzialmente dall’urgenza di superare, in modo organico, l’eterno gap che allontana sempre più il Mezzogiorno dal resto del Paese e che rischia di compromettere la crescita dell’intero sistema socio economico nazionale.

• La riconosciuta ormai da tutti assenza di organicità sia nelle scelte che nelle opere da avviare nel Sud; una organicità richiesta più volte formalmente dalla Unione europea e disattesa proprio nella definizione delle proposte.

• La necessità di prospettare un’ impostazione programmatica che, senza chiedere risorse aggiuntive ma utilizzando quelle del Pnrr e quelle non spese del Programma 2014 2020 del Fondo di coesione e sviluppo, possa prospettare una possibile iniziativa da assumere in occasione del previsto tagliando al Pnrr che si farà agli inizi del 2023.

Può sembrare, quindi, un titolo folle e, al tempo stesso, utopico ma, per evitare di cadere in facili equivoci, pongo alcuni interrogativi e, al tempo stesso, tento, in modo asettico ed obiettivo, di fornire alcune risposte.

Perché la Ue ha dato un volano di risorse così rilevante all’Italia?

Nell’autunno 2019 si tenne a Palermo un’assemblea di tutte le Regioni periferiche della Unione europea; questa occasione la richiamo sempre perché il Direttore generale delle Politiche regionali della Ue, Marc Lemaitre, precisò: «Spesso ci sentiamo dire che la politica di coesione non produce nulla di positivo per lo sviluppo del Sud. Ma voglio richiamare l’attenzione sulla consistente riduzione degli investimenti nazionali al Sud fino al punto di neutralizzare e rendere vano lo sforzo europeo nelle politiche regionali nel Mezzogiorno. Addirittura l’Italia si era impegnata a realizzare investimenti nel Sud, nel periodo 2014-2017, per un importo pari allo 0,47% del Pil delle Regioni del Mezzogiorno, ma non siamo andati oltre lo 0,38% (cioè il 30% in meno)».

Ho ritenuto opportuno ricordare questo intervento perché Lemaitre è il massimo livello dei funzionari della Ue e, leggendo ancora il suo intervento, rimaniamo colpiti dalla sua ulteriore denuncia: «I Mezzogiorni d’Europa sono vere zavorre per la crescita di tutti i Paesi dell’Unione europea».

Per cui, secondo Lemaitre, sarebbe stato opportuno dare vita ad interventi articolati non in due distinte aree: una nel Centro-Nord e una nel Sud, ma tutto e solo nel Sud. Infatti solo una operazione forte in un arco temporale di 5-7 anni può davvero trasformare questo vincolo alla crescita dell’intero Paese.

Quindi questo grave handicap alla uniformità socio economica di un Paese chiave dell’intero sistema comunitario necessariamente dovrà essere, secondo Lemaitre, «un riferimento determinante nella definizione dei trasferimenti di risorse dall’Unione europea al Sud».

Eravamo nell’autunno del 2019, quindi non c’era ancora il Covid e non si parlava ancora di Pnrr. Tuttavia l’analisi di Lemaitre e il grave peso del Mezzogiorno nell’assetto economico dell’Italia nell’estate 2020 porteranno l’Unione europea a privilegiare in modo davvero imprevedibile il nostro Paese nella assegnazione delle risorse necessarie per attuare il Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Perché la Ue ha posto linee guida così vincolanti con un vincolo temporale, il 2026, così forte?

La Ue, in più occasioni, ci ha ufficialmente ricordato la nostra incapacità nell’attuazione dei Programmi supportati con risorse comunitarie; in particolare, sempre Lemaitre ribadì nell’Assemblea di Palermo, che era davvero inconcepibile che del Fondo di coesione e sviluppo 2014-2020, del valore di 54 miliardi, in cinque anni fossimo riusciti a impegnare solo 24 miliardi di euro e spenderne solo 4.

In realtà dare respiro temporale lungo ai programmi significa offrire una assurda opportunità: programmare, assegnare le risorse e non trasformare le progettualità in opere.

Purtroppo questa soglia del 2026 nel 2020 sembrava quasi accettabile, ma oggi stiamo capendo che, in realtà, siamo incapaci a dare consistenza concreta agli atti programmatici; dopo 21 mesi, almeno per quanto concerne le infrastrutture, non è partito ancora alcun cantiere e al 31 dicembre 2026 rimangono solo quattro anni e mezzo.

Tra l’altro sarebbe bene ricordare anche due altre scadenze: entro il 31 dicembre 2023 dobbiamo spendere 30 miliardi di euro del Programma supportato dal Fondo di coesione e sviluppo 2014-2020 e, entro il 31 dicembre 2027, dobbiamo spendere le risorse relative al Programma supportato dal Fondo di coesione e sviluppo 2021- 2027 che dovrebbe essere di circa 73 miliardi di euro.

Queste scadenze, lo ha ribadito proprio ultimamente la Ue, non potranno essere in alcun modo disattese o prorogate e, quindi, la scadenza temporale diventa finalmente un chiaro e improcrastinabile vincolo a fare e, al tempo stesso, una chiara denuncia nei confronti di chi utilizza le assegnazioni solo come annuncio, solo come promessa politica e non come misurabile occasione di riassetto socio economico.

Qual è l’indicatore più preoccupante che l’azione del Pnrr dovrebbe affrontare in modo organico?

Senza dubbio l’indicatore primario sono i Livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi (Lep) che vanno garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. Questo perché riguardano diritti civili e sociali da tutelare per tutti i cittadini. La Costituzione affida allo Stato, come competenza esclusiva, il compito di definire i Lep (Articolo 117 comma 2 lettera m della Costituzione).

Al netto di quelli già impliciti nelle normative vigenti, sono ancora molti i settori in cui i Lep devono essere definiti, dai servizi sociali al trasporto locale. Ciò rappresenta una questione istituzionale di primaria importanza, perché significa che il dettato costituzionale resta inattuato su un punto dirimente: la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni consegue necessariamente un aggravio di spesa per le casse dello Stato.

In realtà definire i Lep significa stabilire quali servizi e prestazioni devono essere offerte in tutto il Paese, per garantire i diritti sociali e civili dei cittadini. Oggi già disponiamo di dati che denunciano in modo davvero tragico la distanza tra due Regioni come l’Emilia Romagna e la Calabria; in particolare la distanza relativa ai servizi socio educativi adeguati: in Emilia Romagna l’89% dei Comuni garantisce tali servizi, in Calabria solo il 22,8%.

Potrei continuare a elencare queste tragiche distanze ma penso che sia inutile ricordare a noi stessi ciò che conosciamo da sempre. Penso però che sia sufficiente un dato per convincersi che il Pnrr si configura come l’unica ultima occasione per rendere nel nostro Paese, nell’arco di un decennio, omogenei i dati relativi al Prodotto interno lordo pro capite; non possiamo avere un Pil pro capite in una città della Sicilia o della Calabria o della Puglia pari a 17.000-18.000 euro e un Pil pro capite di un Comune della Lombardia o del Piemonte pari o, addirittura, superiore ai 40.000 euro.

Sono queste distanze che dovrebbero davvero farci capire quanto da sempre si sia sottovalutata l’azione “organica” dello Stato nei confronti di una parte essenziale del Paese.

Cosa si intende per “organicità” nell’azione attivata dalla Ue con il Pnrr?

Pensare all’avvio di lotti, anche se funzionali, dichiarare che finalmente è partito qualcosa, rassegnarsi al fatto che l’avvio alla realizzazione di un lotto “è meglio di niente”, sono comportamenti tipici della rassegnazione di una parte del Paese che, con il passare del tempo non sta più mantenendo il suo ruolo di “parte del Paese” ma sta sempre più caratterizzandosi come un “altro Paese”: un Paese del sottosviluppo, un Paese dell’irreversibile immobilismo economico.

Dichiarare che in fondo, però, si è realizzato nell’ultimo ventennio l’autostrada Palermo -Messina o l’autostrada Salerno -Reggio Calabria, significa giustificare e ammettere che contemporaneamente non si è fatto altro, non si è cioè, data “organicità” alla offerta, a quell’offerta infrastrutturale che i cittadini del Sud chiedevano e chiedono da sempre.
L’Unione europea, il Commissario Gentiloni in più occasioni ci hanno ricordato formalmente che le opere del Pnrr devono rispondere prioritariamente alla logica della “organicità funzionale”.

Mi chiedo cosa ci sia di organico nella proposta di un lotto ferroviario ad alta velocità nella linea Salerno-Reggio Calabria, cosa ci sia di organico nella realizzazione di un lotto dell’asse ferroviario Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia, cosa ci sia di organico nella realizzazione di un lotto della Roma-Pescara o del sistema ferroviario ad alta velocità Palermo-Messina-Catania.

LA PROVOCAZIONE

Purtroppo la risposta è banale: non vi è alcuna organicità ma solo una assurda soddisfazione mediatica, un gratuito recupero di consenso. Voglio per questo fare una provocazione: l’organicità e, al tempo stesso, la possibilità davvero di dare adeguata risposta alla tragica emergenza del Sud, alla tragica assenza di un’offerta infrastrutturale adeguata poteva e doveva contenere il quadro programmatico riportato di seguito. Molti diranno: ma in tal modo avremmo assegnato quasi tutte le risorse per la infrastrutturazione al Sud. La mia risposta è scontata: solo grazie al Sud il nostro Paese ha ottenuto un volano di risorse così elevato.

Sicuramente, di fronte a una simile proposta, o meglio di fronte a una simile provocazione, prenderà corpo un’immediata critica. Molti, infatti, diranno: in fondo questo volano di risorse utilizzerebbe tutte le risorse a fondo perduto del Pnrr. In realtà non si tiene conto che sarebbe opportuno rivedere integralmente l’utilizzo dei 30 miliardi di euro non spesi del Programma del Fondo di coesione e sviluppo 2014-2020 e in tal modo non ci sarebbe bisogno di aggiuntività.

Tuttavia, anche se in tal modo il Sud fagocitasse tutta la quota a fondo perduto del Pnrr saremmo però in grado di:

• Riconoscere finalmente al Mezzogiorno la rilevanza del ruolo posseduto nell’ottenimento delle risorse.
• Dare attuazione completa a un processo di infrastrutture e di azioni organiche.
• Abbattere in otto-dieci anni quell’assurda distanza legata al Pil pro capite tra Centro Nord e Sud.

Questa mia ipotesi, ripeto questa mia assurda provocazione, sarà ritenuta sicuramente utopica, ma spero che almeno che il presidente Draghi e la ministra Carfagna entrino nel merito, perché prima o poi qualcuno chiederà per quale motivo si sia preferito, proprio nel Mezzogiorno, sposare la vecchia logica che trasferisce al futuro la soluzione delle emergenze, la soluzione delle criticità.

Solo oggi abbiamo questa occasione carica di risorse e solo fra dieci mesi faremo un primo tagliando al Pnrr. Ebbene, siccome fra otto mesi non sarà partito ancora nulla, il presidente Draghi mediti sull’opportunità di rileggere integralmente l’approccio seguito nella redazione del Pnrrper gli interventi nel Sud.

È l’ultima occasione che non possiamo e non dobbiamo perdere.


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