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Massimiliano Fedriga (Regione Friuli-Venezia Giulia) e Maurizio Fugatti (Provincia di Trento)

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Le Regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano vogliono sospendere il “patto di garanzia” che le vincola a contribuire alle finanze pubbliche. E rispunta l’autonomia differenziata. La ministra Gelmini: un comitato interministeriale al lavoro per scrivere le nuove regole

Hanno aspettato l’arrivo della terza ondata con annesse varianti per piazzare con perfetta scelta di tempo, in piena pandemia, la loro richiesta: “Non vogliamo più partecipare al risanamento del bilancio dello Stato”. Poco meno di una moratoria. Firmato: le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano. Non hanno scritto una lettera ufficiale, come avevano fatto in altre occasioni. Hanno preferito chiederlo a voce e di persona, nel primo incontro che hanno avuto con la ministra agli Affari regionali Maria Stella Gelmini. Una richiesta, va detto, che si allinea perfettamente con il “bon ton” istituzionale del neo ministro al Turismo, Massimo Garavaglia che quasi in contemporanea scolpiva sul suo sito personale il motto leghista “Prima il Nord”. Un bell’esempio per chi si appresta a mettersi al servizio di venti regioni diverse che dovrebbero essere trattate tutte sullo stesso piano. Ma tant’è, questo passa il convento, anche un ministro a “credibilità zero” ancor prima di cominciare.

Ad avere il copyright, dicevamo, è comunque il presidente della Provincia autonoma di Trento, Massimo Fugatti, il principale ispiratore. Gli altri si sono accodati. Il friulano Massimiliano Fedriga, che sempre contestato il patto per l’autonomia firmato dall’allora presidente Debora Serracchiani; il valdostano Erik Lavévaz che ha chiesto di rimodulare il contributo regionale e infine l’altoatesino Arno Kompatscher che si accontenterebbe di un rinvio sui pagamenti.

Il ragionamento di Fugatti è una pietra miliare del pensiero circolare. Parte dalla constatazione che la diffusione del Covid ha avuto effetti pesanti sull’economia, “tali da mettere a dura prova l’equilibrio dei conti pubblici nazionali”. E fin qui nulla da dire. Ci si aspetterebbe, a questo punto, un gesto solidale da parte di una delle province più ricche, l’ente che in rapporto alla cittadinanza incassa più risorse verso i più poveri. La Provincia che può permettersi più asili nido, più servizi, che ha meno disoccupati, più ospedali, una sanità che funziona meglio, un reddito pro-capite più alto della media europea, e che dunque, anche per questo, accetta di contribuire a rimettere in ordine i conti dello Stato. Peccato però che la richiesta del presidente trentino vada in senso opposto e contrario: “chiediamo una sospensione del patto di garanzia”. Tradotto in euro, sommando gli ultimi due anni e considerando tutti gli enti autonomi fa poco meno di due miliardi. Bel colpo.

Il patto era entrato in vigore nel 2014 in seguito all’accordo di Milano firmato nel 2009. Stiamo parlando di minori introiti per lo Stato di 900 milioni per quanto riguarda Trentino e Alto Adige e 600 milioni per il Friuli Venezia Giulia.

E la ministra? La Gelmini ha girato i tacchi – si fa per dire – e ha fatto buon viso a cattivo gioco. Per incontrarla, ieri l’altro il presidente delle Provincia autonoma di Trento, il principale ispiratore di questa furbata, è venuto a Roma. Il rispetto della patto di garanzia per la sua Provincia – ha tirato fuori la calcolatrice Fugatti – vale 380 milioni che moltiplicati per 2, considerando anche la quota del 2020, fanno 760 milioni. “La Provincia trentina ha bisogno di guardare al futuro in un’ottica di sviluppo, servono investimenti per fare crescita”, ha dettato alle agenzie Fugatti.

RISPUNTA L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

La Gelmini ha preso appunti senza dire né sì né no. Sentita ieri mattina in audizione parlamentare, la ministra ha affrontato il tema dell’autonomia differenziata. Ha dato un calcio al cerchio e uno alla botte. Da una parte ha detto di voler ascoltare le richieste dei cittadini che si sono espressi con un referendum in varie regioni”, riferimento al voto-truffa del Veneto e della Lombardia, consultazione surreale al quale partecipò una minoranza di elettori. Dall’altra. la Gelmini ha ribadito che più autonomia “non vuol dire disgregazione nazionale”.

“Bisogna fondere – ha detto – l’autonomia dentro una legge quadro nazionale, ripartire dal livello di buono raggiunto a fatica da Francesco Boccia (il suo predecessore, ndr). Serve ordine nelle diverse competenze, non vogliamo il conflitto ma non sappiamo come essere concludenti. Bisogna trovare un formula, i ministri dell’Innovazione e della Pubblica amministrazione ci stanno già lavorando, Draghi per questo ha voluto sin dalla prima riunione creare dei comitati interministeriali”.

GOVERNATORI SOLI E IN FUGA DALLA FIRMA

La Gelmini ha scelto la strada della concertazione per evitare un nuovo scontro con le regioni. Ha difeso i governatori dicendo che spesso “vengono lasciati soli” aggiungendo però che “serve ordine; una cornice dentro la quale ciascuno sa che cosa fare e non può fare, come raggiungere gli obiettivi, invece ascoltavo i governatori e mi ha colpito il presidente Emiliano che diceva toglieteci la responsabilità sulla scuola perché rischia di essere un problema e non ci dare gli elementi per risolverli. Cioè siamo al paradosso laddove decidi rischi responsabilità penali e quindi per paura di di responsabilità penali, dirigenti e funzionari non decidono e tutto si ferma”, Che un po’ come scoprire l’acqua calda, la fuga dalla firma. L’unica sindrome che colpisce da Nord a Sud senza distinzione.


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